Una Fondazione dedicata a Giulia Cecchettin, la studentessa di 22 anni uccisa dal fidanzato nel novembre dell’anno scorso, contro la violenza di genere e “per dare voce e sostegno a chi vive nella paura”. E’ quella inaugurata oggi alla Camera dei deputati dal papà di Giulia, Gino Cecchettin.
“Siamo qui per dare forma concreta a un sogno, nato da una tragedia immane. A volte quando si affrontano sofferenze tali da togliere qualsiasi speranza – ha affermato il padre di Giulia – la vita ti sorprende con uno scopo nuovo, un’opportunità di trasformare il dolore in significato, la perdita in impegno, l’oscurità in azione”.
“Ho attraversato la morte nella sua essenza più profonda: prima con la perdita di mia moglie Monica e poi con quella di Giulia che mi ha spaccato il cuore. Ho provato paura quando ho sentito la morte avvicinarsi, dolore quando l’ho incontrata, incredulità di fronte a una sorte che appare ingiusta. La morte ti dà coscienza della fine e ti fa capire che la vita è una leggera brezza che non può essere sprecata perché non c’è tempo di recupero. Ho imparato a mie spese – ha scandito Cecchettin – il valore del tempo: ne abbiamo così poco che lo utilizziamo per litigi sterili, per battaglie di potere, per una eterna rincorsa che ci distoglie da noi stessi. Da quando è stata uccisa la mia Giulia sono state uccise 120 donne solo in Italia, migliaia nel mondo. Numeri inimmaginabili, non possiamo permetterci di essere indifferenti, non c’è più tempo per voltare lo sguardo altrove”.
“Se siamo qui oggi – ha spiegato – è perché voglio credere che sia perché ognuno di noi desidera cambiare qualcosa, perché non possiamo più tollerare che il silenzio sia l’unica risposta per chi ha bisogno di aiuto. La fondazione Giulia Cecchettin è qui per dare voce e sostegno a chi non può più urlare, a chi vive nella paura. Non possiamo più voltare le spalle a chi ha bisogno di noi, dobbiamo essere noi con le nostre azioni a costruire un futuro dove la violenza non ha più spazio. La violenza di genere – conclude Gino Cecchettin – non è una questione privata o isolata, è un fallimento collettivo di una cultura che troppo spesso tollera l’indifferenza e il silenzio”.
Valditara
Alla presentazione della Fondazione il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha inviato un videomessaggio in cui ha bollato come “ideologica” la visione “che vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato”.
“Quando una donna viene offesa o addirittura uccisa, è la stessa civiltà ad essere offesa e a venire negata. Il fenomeno della violenza sulle donne si manifesta nel femminicidio, nella violenza sessuale, ma anche nella discriminazione. Consentire a una donna di sentirsi sicura, libera, non discriminata e di avere pari opportunità di realizzazione personale e professionale è un obiettivo fondamentale di chi crede nei valori della dignità di ogni persona”, ha detto Valditara.
“Abbiamo di fronte due strade: una concreta, ispirata ai valori costituzionali. L’altra ideologica: in genere i percorsi ideologici non mirano mai a risolvere i problemi ma ad affermare una personale visione del mondo. La visione ideologica è quella che vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato. Massimo Cacciari indubbiamente esagera quando dice che il patriarcato è morto 200 anni fa. Ma certamente come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975 che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia, la famiglia fondata sulla eguaglianza. Piuttosto – prosegue Valditara – ci sono ancora nel nostro Paese residui di maschilismo, diciamo pure di machismo, che vanno combattuti e che sono quelli che portano a considerare la donna come un oggetto, come una persona con minore dignità, che deve subire”.
“Poi c’è il tema del femminicidio che allarma sempre di più: se una volta era frutto della concezione proprietaria, oggi sembra più il frutto di una grave immaturità narcisista del maschio, che non sa sopportare i no. La vera battaglia è culturale. Non si può accettare la cultura della violenza. Della violenza verbale, fisica, non si può accettare la cultura dell’insulto, della minaccia, della prepotenza. Della mancanza di rispetto verso ogni persona”.
Fonte: adnkronos.com