Stop alle porte girevoli tra magistratura e politica e ai doppi incarichi, nuove regole per l’elezione dei togati al Csm, per spezzare il legame con le correnti e favorire il pluralismo, più rigore nelle nomine e nelle valutazioni periodiche di professionalità e una stretta sui magistrati fuori ruolo. Sono i cardini della riforma del Consiglio superiore della magistratura e dell’ordinamento giudiziario approvata dal Consiglio dei ministri, a conclusione di un iter a tratti complicato, per le divergenze tra i partiti di maggioranza, ma che ha visto oggi il via libera unanime del governo. Un dossier su cui il premier Mario Draghi e la ministra della giustizia Marta Cartabia hanno imposto un’accelerazione, anche alla luce del nuovo richiamo del capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel suo discorso di insediamento. E una riforma che la guardasigilli ha rivendicato come “ineludibile” non solo per la scadenza imminente, a luglio, dell’elezione del nuovo Csm ma anche “per stare a fianco della magistratura in questo percorso di rinnovamento e di recupero di fiducia e credibilità” e che era “dovuta ai tantissimi magistrati che lavorano silenziosamente, fuori da ogni esposizione”.
Sul punto centrale, il divieto di tornare a vestire la toga dopo incarichi politici, la riforma prevede che magistrati che hanno ricoperto cariche elettive di qualunque tipo o incarichi di governo (nazionale, regionale o locale) al termine del mandato, non possono più tornare a svolgere alcuna funzione giurisdizionale, ma saranno collocati in ruoli dell’amministrazione. Con una differenza, introdotta in Cdm, che per gli incarichi tecnici il divieto vale se l’incarico dura almeno un anno. Stesso divieto, per tre anni, per i magistrati che si sono candidati in competizioni elettorali e non sono stati eletti: la destinazione sarà individuata dai rispettivi organi di autogoverno. No anche ai doppi incarichi: nella riforma è stabilito che non si può contemporaneamente esercitare funzioni giurisdizionali e ricoprire incarichi elettivi e governativi, nazionali e locali.
All’eleggibilità dei magistrati sono posti nuovi limiti territoriali: per cariche elettive nazionali, regionali, per le province autonome di Trento e Bolzano, il Parlamento europeo, e per gli incarichi di assessore e sottosegretario regionale, non sono eleggibili nella regione in cui è compreso, in tutto o in parte, l’ufficio giudiziario in cui hanno prestato servizio negli ultimi tre anni. All’atto dell’accettazione di una candidatura politica i magistrati devono essere posti in aspettativa senza assegni, obbligatoria per l’intero periodo di svolgimento del mandato, con diritto alla conservazione del posto e computo del periodo di aspettativa a soli fini pensionistici.
La riforma disegna poi il nuovo Consiglio superiore della magistratura, che torna a essere composto da 30 membri: 20 togati; 10 laici. Il sistema elettorale è misto: si basa su collegi binominali, che eleggono due componenti del Csm l’uno, ma prevede una distribuzione proporzionale di 5 seggi a livello nazionale. Per le candidature non sono previste liste ma candidature individuali. Ciascun candidato si presenta liberamente nei collegi binominali, per ognuno dei quali devono esserci un minimo di 6 candidati, di cui almeno tre del genere meno rappresentato. Se non arrivano candidature spontanee si integra con il sorteggio per arrivare al minimo dei candidati previsti; sorteggio previsto anche per riequilibrare le candidature del genere meno rappresentato. E’ un sistema che introduce elementi di imprevedibilità, in modo che si renda più difficile fare calcoli e quindi prevedere spartizioni, soprattutto per i posti assegnati col proporzionale.