“Gli Ostacoli alla crescita” QN Il Giorno, il Resto del Carlino, La Nazione – Achille Colombo Clerici del 5 dicembre 2015
Una spiegazione sulle reali cause della pluridecennale perdita di competitività dell’Italia nei confronti dei Paesi europei più avanzati è venuta dal rapporto presentato al Collegio Ghislieri di Pavia dalla Banca d’Italia di Milano. La perdita di competitività dipende principalmente dal fatto che il nostro tessuto imprenditoriale è composto prevalentemente da industrie troppo piccole le quali non sono in grado di competere non potendo, con l’avvento dell’ Unione Europea, ricorrere al più semplice fra gli strumenti a disposizione: l’ inflazione.
Quindi: costo più alto del lavoro (infatti il costo del personale ha un andamento inversamente proporzionale alla dimensione dell’ azienda), scarsa ricerca e innovazione ed una cultura d’impresa più arretrata. Se aggiungiamo i nostri primati continentali nel campo della illegalità e della corruzione, il panorama è completo.
Mettendo a confronto i clusters (insieme di imprese, fornitori e istituzioni strettamente interconnessi ) di 12 Paesi europei con il cluster Nord Ovest d’Italia, si rileva come dal 2000 al 2011 – ultimo dato a disposizione – si sia visto scendere il Nord Ovest, che rimane la punta produttiva del Paese, di ben 7 punti percentuali. Con ricadute sul pil, sull’occupazione, sull’economia delle famiglie e quant’altro.
In un panorama non roseo – nella “guerra economica” dei sette anni il Paese ha perso il 25% della capacità produttiva e il 10% del pil – la Lombardia se la cava. Si conferma e si rafforza, la ripresa in termini di produzione, di export, di attività turistica, di occupazione e pure di consumi. E’ anche merito dell’Esposizione internazionale, partita sotto i peggiori auspici, e diventata ormai il simbolo di quanto può fare lo “scatto di reni” dell’orgoglio lombardo e italiano.
Ma una rondine non fa primavera. Gli italiani – dagli imprenditori alle famiglie – non sono ancora sicuri dell’inversione di rotta, e lo confermano i depositi bancari in aumento. Meglio tenere i risparmi al sicuro invece di fare investimenti e spese. C’è bisogno di fiducia; è indispensabile perciò che la politica economica dia segnali chiari.
Emblematica a questo proposito la vicenda della tassazione della casa. Quest’ ultima rappresenta i ¾ della ricchezza degli italiani (6.000 miliardi di euro su 8.000). Non considerando gli alloggi in cui si abita, ma le cosiddette “seconde case” a reddito, l’ipertassazione ha azzerato i margini di economicita’ dell’investimento. Con il risultato che nessuno più investe nel settore, l’industria edilizia è in crisi ed ha trascinato con sé l’indotto, dai mobilieri agli idraulici, dai mediatori ai promotori. Quindi, calo della occupazione e riduzione dei consumi.
Le famiglie per parte loro,, colpite dalla perdita di valore degli immobili, seguono questo trend.