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HATSHEPSUT, LA REGINA CHE VOLLE FARSI RE.

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sabato, Novembre 23, 2024

In una assolata giornata sulla sponda occidentale del Nilo, di fronte alla città di Luxor, i numerosi turisti salgono affascinati la lunga rampa che conduce all’elegantissimo Tempio di Deir el-Bahari, il monumento funerario fatto costruire dalla Regina Hatshepsut. O meglio: dal Faraone Hatshepsut. Se per la maggioranza di essi il nome quasi impronunciabile (ci vuole un po’ di esercizio per farlo con una certa disinvoltura) dice poco o nulla, tranne per il fatto che fu un faraone donna e che fece qualcosa, per i pochi che hanno avuto la voglia di approfondire l’argomento prima di intraprendere il viaggio in uno dei luoghi più meravigliosi del pianeta, hanno la consapevolezza che Hatshepsut fu un personaggio che ha lasciato un segno indelebile nella storia del Nuovo Regno e dell’Egitto in generale. Il tempio funerario è solo la realizzazione più appariscente di una donna che, prima di Cleopatra, ha saputo imporsi in un mondo e in una società in cui il trono poteva essere occupato solo da eredi maschi. E, nonostante la damnatio memoriae di cui fu oggetto dopo la morte, il suo nome impronunciabile ha sfidato i millenni ed è giunto fino a noi, raccontandoci una storia straordinaria, una storia che riproponiamo in questo nuovo articolo per La Stele di Rosetta, in esclusiva per IQ.

TABELLA DEI CONTENUTI

IL CONTESTO STORICO: IL NUOVO REGNO

Hatshepsut si inserisce nel periodo di maggior splendore dell’antico Egitto: il Nuovo Regno. Esso nasce dalle ceneri di ciò che viene chiamato Secondo Periodo Intermedio, noto per la dominazione che il paese dovette subire ad opera di popolazioni straniere non meglio identificate, note come Hyksos (“Re pastori”), chiamate dagli Egizi Hika-Khasut (“Capi di Paesi stranieri”).

Disegno della processione della tomba del gruppo Aamu di Khnumhotep II a Beni Hassan.

Gli Hyksos
Essi non erano barbari nel vero senso della parola, ma erano un insieme di popoli semiti e indoeuropei che da tempi immemorabili bussavano alle frontiere orientali dell’Egitto, specie in periodi di carestia, per far pascolare il loro bestiame nelle praterie del Delta, venendo accolti e sistemati in alcune zone loro riservate. Approfittando dell’inefficienza dei controlli, effettuavano migrazioni sempre più numerose, autorizzate o no. In tempi normali non avrebbero destato preoccupazioni: si trattava per lo più di pacifiche tribù di pastori nomadi che, finita la carestia, se ne tornavano ai loro paesi. Ma ora, dopo venti o trent’anni di immigrazioni incontrollate, erano diventati una folla. Ad un certo punto, elessero un loro re, Ciarak (Saratis) il quale chiamò i suoi connazionali, scalzò dal trono un certo faraone Nehesi e assunse la titolatura di “Re dei Due Paesi”, fondando così la XV Dinastia. Dal nord, a sostenerlo, giunsero agguerrite armate che stabilirono ad Avaris una poderosa roccaforte con duecentocinquantamila soldati.

Gli Hyksos avevano “armi segrete” potentissime e sconosciute agli Egizi: le corazze, gli archi a lunga gittata e, soprattutto, il carro da guerra trainato da due cavalli.

L’invasione, la prima nella storia d’Egitto, avvenne, pare, senza colpo ferire. I nuovi venuti, pur usando talvolta il pugno di ferro dei dominatori, non furono affatto insensibili ad una civiltà tanto superiore alla loro, anzi la assorbirono volentieri: Ciarak assunse tutte le prerogative e i titoli di un faraone egizio.

I documenti su questo periodo, durato circa un secolo e mezzo, sono così scarsi che si può parlare solo per supposizioni. La presenza in Egitto di questi conquistatori non provocò alcun rinnovamento: l’Egitto, già tornato per conto suo allo stato feudale, rimase com’era, ma sotto il tacco di Avaris.

Immagine artistica di Avaris.

Gli Egizi, tuttavia, appresero dagli invasori una tecnica di guerra infinitamente più progredita della loro e, soprattutto, l’utilità dei cavalli che gli Hyksos si portarono dal Caucaso e dalla Mongolia, stanziandone grandi allevamenti in Egitto.

La riscossa di Tebe
A Tebe (Luxor) regnava una dinastia indipendente, la XIV, la quale, pur costretta al tributo, mantenne una completa autonomia. Ma fu la XVII dinastia a prendere l’iniziativa: fiera delle proprie tradizioni, gelosa dell’autonomia facilitata dalla lontananza da Avaris e trafficando attivamente con la Nubia, acquisendo ricchezza e potere, strinse alleanza con i forti signori di El Kab (Nekheb) iniziando la riscossa.

Kamose, successore del faraone Sekenenre, attaccò una città vassalla degli Hyksos al Nord, saccheggiandola. La sua impresa, pur significativa, non sembra tuttavia aver avuto seguito, perlomeno con battaglie decisive.

Fu Ahmose, forse suo figlio, a riprendere le ostilità e, dopo una serie di campagne, riuscì finalmente a cacciare gli Hyksos. La città di Avaris fu rasa al suolo e il nemico fu inseguito fino in Galilea, dove si asserragliò a Sciaruhen, che fu infine espugnata dopo tre anni di assedio. La vittoria dev’essere stata decisiva e totale perché da questo momento la Storia non ci dà più notizie degli Hyksos.

Statua di Ahmose. Parigi, Museo del Louvre.

Un nuovo inizio
Ahmose I (1575-1550 a.C.) cinse la Doppia Corona fondando la XVIII Dinastia, la più gloriosa della storia d’Egitto (quella a cui appartenne, lo ricordiamo sempre, anche Tutankhamon). In conseguenza delle sue sfolgoranti vittorie, troviamo ora i suoi sudditi animati da uno spirito guerriero che non avevano mai posseduto. Il servizio militare, fino ad allora sopportato come un male necessario, assumeva ora nuove allettanti prospettive, e la carriera militare apriva ora nuove porte. Ahmose I morì ancora giovane, dopo un regno di ventidue anni, lasciando l’Egitto libero e unito, ma esausto. I suoi successori, Amenhotep I (1550-1528) e Thutmose I (1528-1510) consolidarono il riordino e la ricostruzione del Paese.

HATSHEPSUT, “LA PRIMA TRA LE NOBILI”

Hatshepsut era figlia di Tuthmose I e della sua Grande Sposa Ahmose (figlia dell’eroico liberatore dell’Egitto, Ahmose I). Aveva anche un fratello, Tuthmose II, che generò con la moglie secondaria Mutnofret. In linea con la tradizione reale egizia, Hatshepsut venne fatta sposare col suo fratellastro prima che lei avesse ancora vent’anni.

Tuthmose I. Torino, Museo Egizio.

Durante questo periodo, venne elevata alla posizione di Moglie del Dio Amon, il più alto onore che una donna potesse ottenere in Egitto dopo la posizione di regina, che conferiva molto più potere di quanto la maggior parte delle regine avesse mai conosciuto. Questa carica era un titolo onorifico conferito ad una donna di classe elevata che assisteva il sommo sacerdote nelle sue funzioni presso il Grande Tempio di Amon a Karnak. Al tempo del Nuovo Regno, una donna che deteneva il titolo di Moglie del Dio Amon era abbastanza potente da influenzare la politica. Hatshepsut e Thutmose II ebbero una figlia, Neferu-Ra; Tuthmose II ebbe anche un figlio dalla moglie secondaria Iside: il futuro Thutmose III.

LA DELUSIONE DI HATSHEPSUT

Alla morte prematura di Thutmose I, Hatshepsut era nella posizione migliore per succedergli al trono: sembra infatti che il padre l’avesse designata come erede. Questa volontà non venne tuttavia rispettata poiché il trono passò al marito Thutmose II il quale, a differenza di Hatshepsut, era di sangue reale solo da parte di padre. In effetti, l’autentica erede, in linea di sangue, dei fondatori della XVIII Dinastia era la madre di Hatshepsut, la regina Ahmose. Pur discendente diretta dei grandi faraoni che avevano liberato l’Egitto dagli occupanti Hyksos, Hatshepsut dovette accontentarsi del titolo di “Grande Sposa Reale” del fratellastro, cosa che, forse, costituì un duro colpo al suo orgoglio.

Thutmose II in un rilievo del Tempio di Karnak, in Egitto.

Di Thutmose II non sappiamo molto, ma è certo che dovette cedere una parte molto importante del governo alla sua ambiziosissima moglie. Infatti, si dimostrò un sovrano scialbo e debole, persino malfermo di salute e non lasciò segni della sua personalità, regnando solo tre anni e morendo non ancora trentenne nel febbraio del 1479 a.C.

HATSHEPSUT: L’ASCESA AL POTERE

Durante questo periodo, Hatshepsut si circondò di abili e potenti sostenitori, come Hapuseneb e Senenmut, il cui rapporto con la regina rimane misterioso, e del quale parleremo più avanti. Fatto sta che alla morte del marito-fratellastro, Hatshepsut non aveva generato alcun principe ereditario, ma una figlia, Neferu-Ra, appunto. Ciò comportò una crisi di successione perché il futuro Thutmose III che, lo ricordiamo, era nato da una concubina, aveva scarsissimi titoli per regnare, oltre ad essere ancora un bambino, e fu perciò assegnato al tempio di Karnak con il rango di profeta.

Hapuseneb. Parigi, Museo del Louvre.

La regina che, negli ultimi anni dell’infermo Thutmose II aveva praticamente assunto la guida dello Stato, essendo ora rimasta la sola erede legittima, l’unica di sangue divino, continuò a regnare come se nulla fosse, con l’appoggio dell’aristocrazia e dei suoi fedelissimi.

Tuttavia, i sacerdoti di Amon non erano d’accordo, e sulle mura del Tempio di Karnak è descritto ciò che vi accadde un giorno, all’improvviso. Durante una grande cerimonia, mentre il simulacro del dio veniva recato in gran pompa dal sancta sanctorum al grande cortile, il giovane profeta Thutmose se ne stava nella sala ipostila insieme ai suoi colleghi. Quand’ecco che la statua di Amon sembrò ad un certo punto vagare per la sala come se cercasse qualcuno, e alla fine si fermò proprio davanti al principe che si prosternò davanti al dio. Ma Amon lo fece alzare e, come per voler esprimere il suo volere, lo fece accomodare sul seggio reale, sul quale soltanto il re poteva assidersi.

Con questo fatto “portentoso”, Amon aveva pubblicamente eletto il nuovo faraone, Thutmose III che, da quel preciso momento, assunse la titolatura completa di Re dei Due Paesi; essendo tuttavia poco più che un ragazzo, la reggenza spettava ad Hatshepsut, la quale non contestò le “decisioni” del Dio Amon ma, in pratica, non ne tenne alcun conto. Non solo, ma si diede a fronteggiare abilmente tutte le difficoltà che le si paravano davanti, prima fra tutte la legge successoria, la quale non contemplava una donna sul trono dei faraoni.

HATSHEPSUT FARAONE D’EGITTO

Durante i primi anni di reggenza, Hatshepsut preparò una sorta di “colpo di Stato” destinato a rivoluzionare la società tradizionale egizia. Messo da parte il potentissimo funzionario Ineni, tra i fautori del regno di Thutmose II (quindi particolarmente ostile alla regina), Hatshepsut investì i suoi fedelissimi Hapuseneb e Senenmut di onori ed incarichi prestigiosi. Hapuseneb riunì in sé le cariche di Visir e Sommo Sacerdote di Amon. Con essi, la Reggente iniziò un’opera di propaganda tesa a dimostrare come il padre, Thutmose I, l’avesse nominata sua diretta discendente e quindi nel diritto di salire al trono. Uno dei momenti più famosi della propaganda è il mito della sua nascita, fatto raffigurare dalla sovrana in un ampio ciclo iconografico sulle pareti del Tempio di Deir el-Bahari. Praticamente, Hatshepsut implicò sua madre in un divino adulterio, affermando che Amon apparve ad essa sotto forma di Thutmose I e l’aveva concepita, cosa che la rendeva una semidea.

Statua di Hatshepsut nel Tempio di Deir el-Bahari.

L’incoronazione e le raffigurazioni in veste maschile
Nel settimo anno di reggenza, Hatshepsut si fece incoronare faraone d’Egitto, assumendo tutti i titoli e i nomi reali usando la forma grammaticale femminile, ma facendosi raffigurare come un faraone maschio. Nel doppio ruolo di Regina e Faraone, Hatshepsut assunse sempre più caratteristiche maschili, facendosi a volte rappresentare con la barba posticcia e la doppia corona dell’Alto e Basso Egitto. Le statue la mostravano in tutta la sua grandezza regale, in primo piano, con Tuthmose III reso in scala più piccola dietro o sotto di lei, per indicare il suo status inferiore. Si riferiva ancora al figliastro come al re, ma lo era solo di nome. Hatshepsut sentiva chiaramente di avere lo stesso diritto di governare l’Egitto di qualsiasi uomo e ciò era chiaramente sottolineato dalle rappresentazioni artistiche.

Nessuna ideologia woke
Non è ancora successo, che noi si sappia, ma prima che l’ideologia woke gender fluid ne prenda indebitamente il possesso, stravolgendo e forzando la storia per legittimare i capricci di varie minoranze, come è successo per Eliogabalo, andiamo subito a precisare che Hatshepsut non si faceva raffigurare come un uomo perché si sentiva tale e il suo abbigliamento maschile non aveva lo scopo di ingannare i cittadini per far loro credere che il faraone fosse un uomo. Le statue ritraggono inequivocabilmente una donna, il cui sesso, in ogni caso, sarebbe stato ovvio per qualsiasi egizio grazie al nome “La prima tra le nobili”. Hatshepsut non negava quindi la sua femminilità, ma proclamava di essere anche un faraone, un ruolo che tradizionalmente era stato ricoperto da uomini.

HATSHEPSUT E L’ORGOGLIO ANTI-HYKSOS

Il nuovo Faraone promosse la propria legittimità sostenendo che Amon aveva predetto la sua ascesa al potere tramite un oracolo e collegava sé stessa all’espulsione degli Hyksos, avvenuta circa ottant’anni prima. La memoria egizia degli odiati asiatici era forte e Hatshepsut ne fece buon uso. Una delle sue iscrizioni recita: “Ho restaurato ciò che era distrutto. Ho sollevato ciò che era stato spezzato quando gli Asiatici arrivarono ad Avaris, nel Delta, quando i nomadi tra loro stavano rovesciando ciò che era stato fatto. Essi governarono senza il Dio Ra e non agirono per decreto divino fino al tempo del mio regno”.

LE CAMPAGNE MILITARI

Il regno di Hatshepsut è ricordato come un regno di pace e prosperità, durante il quale l’Egitto poté respirare e leccarsi le ferite della dominazione straniera. Hatshepsut si dimostrò fin da subito una sovrana pacifica e si dedicò maggiormente ad impiegare risorse nella costruzione di edifici più che nella conquista di nuovi territori; non fu comunque una sovrana imbelle, trascurando le sorti del regno che aveva ereditato: per la difesa dei suoi confini si adoperò particolarmente nel dissuadere i vicini più bellicosi, ed a tale scopo intraprese almeno sei campagne militari nei suoi ventidue anni di regno. L’esatta natura delle campagne non è chiara, ma gli obiettivi erano le regioni della Siria e della Nubia. Infatti, come sempre in passato, alla morte di un faraone i nubiani assalivano i confini meridionali dell’Egitto e le sue fortezze, quasi per verificare le reazioni del nuovo faraone. Hatshepsut reagì subito con forza, recandosi personalmente a condurre il contrattacco.

Si è pensato che le campagne avessero semplicemente lo scopo di sostenere la tradizione del faraone come re guerriero che porta ricchezza al paese attraverso le conquiste; o che potrebbero essere state una continuazione delle campagne di Thutmose I in quelle regioni, per legittimare ulteriormente la posizione di Hatshepsut. I faraoni del Nuovo Regno ponevano grande attenzione sul mantenimento di zone cuscinetto sicure in tutto il paese per evitare il ripetersi di quella che consideravano l’invasione degli Hyksos.

I PROGETTI EDILIZI DI HATSHEPSUT

I maggiori sforzi del Faraone Hatshepsut si concentrarono sui progetti edilizi. La portata e le dimensioni delle sue costruzioni, che superavano di gran lunga quelli dei suoi predecessori, così come la loro elegante bellezza, sono segni di un regno molto prospero. La produzione di statue reali assunse proporzioni ineguagliabili. Hatshepsut costruì su una scala più grande di qualsiasi faraone precedente e successivo, ad eccezione di Ramses II.

Durante la maggior parte dei venti anni del suo regno, l’Egitto fu in pace e Hatshepsut fu in grado di sfruttare le ricchezze delle risorse naturali sue e della Nubia. L’oro affluiva dai deserti orientali e dal sud, le miniere di pietre preziose erano in funzione, a Bebel el-Silsila si cominciò a lavorare intensamente la pietra arenaria, da Oriente si importava il cedro e dall’Africa l’ebano.

Il Tempio di Karnak.

Il Tempio di Karnak
Tuttavia, nessun sito più di Tebe ricevette attenzione da parte di Hatshepsut. Qui la regina seguì la tradizione dei grandi faraoni facendo costruire opere di abbellimento del Grande Complesso Templare. Sotto la sua supervisione il Tempio di Karnak si accrebbe; riportò alla sua originale bellezza il Recinto di Mut, dedicato alla dea Grande Sposa di Amon. Il Recinto aveva subito gravi danni in seguito alle devastazioni del periodo Hyksos.

Tempio di Karnak, l’Obelisco di Hatshepsut, detto anche “l’Obelisco nascosto”.

Famosi per la loro imponenza sono i due obelischi che la regina fece erigere all’entrata del Tempio di Karnak, dopo il quarto pilone. Uno dei due è ancora in piedi ed è il più alto obelisco presente in Egitto, 29.26 metri, mentre il gemello è crollato spezzandosi in due parti.

Il grande obelisco incompiuto
Nella cava che si trova a due chilometri a sud di Assuan, è ancora oggi possibile vedere un obelisco in fase di costruzione, il cosiddetto “Obelisco incompiuto di Assuan”. Ne venne ordinata la realizzazione in occasione del sedicesimo anno dell’ascesa al trono di Hatshepsut. L’intenzione era quella di scolpire due obelischi che avrebbero dovuto superare in altezza tutti quelli esistenti. Ma un inconveniente che si verificò a lavoro quasi finito frenò l’ambizione della regina. L’obelisco più grande, che avrebbe misurato 41,75 metri di altezza ed un peso di circa 1.200 tonnellate, ad un certo punto si crepò: una lunga fenditura perpendicolare al suo asse verticale, che parte dalla cima e scende per parecchi metri vanificò tutto il lavoro fino ad allora svolto. Abbandonato nella cava, è rimasto lì per 3.500 anni ed oggi attira migliaia di turisti che ogni anno, compreso lo scrivente, si recano ad ammirarlo.

L’obelisco incompiuto di Assuan.

IL TEMPIO DI DEIR EL-BAHARI

Veduta aerea del Tempio di Hatshepsut.

Hatshepsut si circondò, come abbiamo visto, di collaboratori di primissimo ordine: in testa, il principe Senenmut, uno dei più grandi architetti dell’antichità (e forse anche suo amante) che costruì per la sua sovrana forse il più bello, raffinato ed elegante di tutti i monumenti egizi (e uno dei più belli al mondo), il Grande Tempio di Deir-el-Bahari. Benché ispirato al vicino Tempio di Montuhotep, di cinque secoli precedente, è una costruzione del tutto originale. Senenmut, con genialissima sapienza scenografica, lo concepì per farne il centro del grande anfiteatro roccioso alla scalata del quale sembra voler fornire una comoda rampa; su una serie di ampie terrazze in declivio elevò tre colonnati sovrapposti; le linee sono semplici, diremmo palladiane, e l’effetto è di serena ed elegante imponenza. Un centinaio di statue, molte raffiguranti la regina, coronavano la splendida architettura. La lunga rampa era fiancheggiata da piccole piscine e da un cortile di alberi: alcuni di essi erano stati portati da Punt e nella storia sono i primi trapianti di alberi da una nazione all’altra che siano riusciti. I resti di questi alberi, tronchi fossilizzati, sono ancora oggi visibili nel cortile del tempio. La terrazza inferiore era fiancheggiata da colonne e una rampa conduceva ad una seconda terrazza altrettanto imponente.

Ricostruzione del Tempio di Hatshepsut.

Il porticato del secondo piano, sul lato nord, fu certamente oggetto di molte attenzioni da parte dei Greci che, pur modificandoli, ne adotteranno i moduli in patria; l’ispirazione è evidente anche in un preciso particolare: le scanalature delle prime colonne doriche saranno sedici, esattamente come le facce di queste.

Il tempio era decorato anche con rilievi ed iscrizioni. La sua camera funeraria era scavata nelle rocce che formano la parte posteriore dell’edificio. In alcuni rilievi Hatshepsut fece incidere, oltre ai suoi mirabolanti fasti prenatali ed infantili, anche le sue effettive imprese. Inoltre, è ampiamente rappresentata la famosa spedizione a Punt, di cui parleremo a breve.

Il tempio di Hatshepsut rappresenta una innovazione architettonica che crea un punto di fusione tra quella egizia e quella classica, anticipando di oltre un millennio quella che possiamo ammirare nel Partenone di Atene. L’edificio fu così ammirato dai faraoni successivi che tutti scelsero di essere sepolti nelle vicinanze, e questa necropoli venne infine conosciuta come La Valle dei Re!

LA SPEDIZIONE NELLA TERRA DI PUNT

La spedizione a Punt (l’odierna Somalia) fu agli occhi di Hatshepsut il coronamento del suo successo. Punt era stato un partner commerciale fin dai tempi del Medio Regno, ma le spedizioni erano lunghe e costose. Il fatto che la regina potesse inviare un’imponente spedizione è la prova di quanto fosse prospero il suo regno.

La regina Ati, raffigurata nel Tempio di Deir el-Bahari.

Nel suo nono anno di regno, cinque grandi vascelli con un ricchissimo carico di merci di scambio, al comando del tesoriere Nehesi, salparono da Tebe puntando la prua al Nord, giungendo nell’Uadi Tumilat, attraverso il quale sboccarono nel Mar Rosso e di qui alla costa somala, festosamente accolte dal capo locale e dalla sua corpulenta moglie, la regina Ati.

Da due secoli non si vedevano navi egizie da quelle parti e l’avvenimento fu dunque per gli indigeni una gradevole sorpresa. Scambiate le mercanzie e colmate le stive di preziosi prodotti esotici, di interi alberi di mirra, e imbarcata anche una pantera viva, gentile omaggio di Nehesi alla sua regina, le cinque navi presero la via del ritorno. L’approdo a Tebe fu un avvenimento memorabile: Hatshepsut, offerto al Tempio di Amon un ricco tributo di avorio, mirra, incenso e profumi, ordinò che gli alberi di mirra fossero trapiantati sulla terrazza del suo Tempio a Deir el-Bahari.

Le navi di Hatshepsut
Una piccola digressione sulle navi che fecero parte della spedizione a Punt è quasi obbligata. Secondo le descrizioni dei bassorilievi, erano navi lunghe una trentina di metri e a metà scafo avevano un albero sul quale veniva issata un’ampia vela di lino. Se il vento non spirava favorevole, non soltanto la vela, ma anche l’albero veniva ammainato. Si era già manifestata la differenza tra navi da guerra e navi da carico: più snelle e fornite di sperone a scopo offensivo, le prime; tondeggianti, più capaci e pesanti, quelle mercantili. All’epoca di Hatshepsut la tecnica delle costruzioni navali aveva compiuto seri progressi, anche se quei bastimenti erano più da fiume che da mare aperto, anche se il chiodame era di legno, anche se la robustezza dello scafo era in parte affidata a cavi, anche se l’ancora non era stata inventata.

Alla lunga e grossa trave longitudinale, che costituiva la chiglia, era probabilmente applicata l’ossatura trasversale, formata da quinti ai quali erano sovrapposti i bagli (robuste travi a sezione rettangolare), le cui estremità sporgevano oltre le murate. Uno o più grossi cavi univano l’estremità di prora e quella di poppa, passando sopra la coperta, per conferire solidità all’intera costruzione.

Da una parte la chiglia aveva un prolungamento che terminava verticalmente formando la ruota di prora, e subito al di qua vi era una piattaforma sulla quale trovavano posto gli arcieri e gli altri soldati. Il dritto di poppa era curvo e terminava a forma di fiore di loto; una seconda piattaforma per gli arcieri si trovava all’altezza dei due timoni, che per forma assomigliavano ai remi ed erano tenuti verticali, manovrati, ciascuno, da un marinaio. Una larga vela, tesata tra due pennoni, veniva usata quanto più possibile per risparmiare i trenta vogatori, suddivisi metà per banda. In caso di combattimento, però, l’albero veniva calato e la propulsione era affidata ai soli vogatori, perché più affidabili e costanti del vento.

Fu con cinque di queste navi, costruite da fenici e condotte da un capitano e dodici marinai, anch’essi fenici, oltre ad un reparto di soldati egizi, che Hatshepsut poté compiere l’impresa che la rese celebre.

LA MORTE DI HATSHEPSUT

La Stele di Ermonti.

Nel 1457 a.C. Tuthmose III, ormai adulto, condusse il suo esercito a reprimere una ribellione da Kadesh, una campagna forse anticipata e voluta da Hatshepsut, dopo la quale, però, il suo nome scompare dai documenti storici. Tuthmose retrodatò il suo regno alla morte del padre Tuthmose II, facendo quindi scomparire la regina dagli annali. Fino a poco tempo fa non si sapeva quando e come fosse morta la grande sovrana. Nessuna fonte contemporanea, infatti, menziona la causa del suo decesso. Secondo una stele rinvenuta ad Ermonti (una località situata a 10 km a sud ovest di Luxor), Hatshepsut morì in età matura, circa 55 anni, intorno al suo ventiduesimo anno di regno, il 16 gennaio del 1458 a.C. Venne sepolta nella tomba KV20 nella Valle dei Re, insieme al suo amato padre Tuthmose I. Quando nel 1903, l’archeologo Howard Carter esplorò la tomba, scoprì che questa era vuota. Della regina si era persa ogni traccia!

LA “DAMNATIO MEMORIAE”

Tempio di Deir el-Bahari: i nomi di Hatshepsut cancellati.

Durante il suo regno, Tuthmose III fece cancellare dai monumenti tutte le tracce della matrigna e distruggere tutte le tracce del suo regno. Gli scribi più tardi non la menzionarono mai e i suoi numerosi templi e monumenti furono spesso considerati opera di faraoni successivi. Della sua esistenza si seppe solo quando l’orientalista Jean-Francois Champollion, famoso per aver decifrato la Stele di Rosetta, scoprì di non poter conciliare i geroglifici, che indicavano una sovrana, con le statue, che raffiguravano un uomo.

Statua di granito di Hatshepsut, danneggiata volutamente. New York, Metropolitan Museum of Arts.

I motivi della “damnatio memoriae”
Nel corso degli anni sono state avanzate molte teorie sul motivo per il quale Tuthmose III abbia cercato di cancellare il nome di Hatshepsut dalla storia: la ragione più probabile è che il suo sia stato un regno che si discostava troppo dalle convenzioni e dalle tradizioni. La principale responsabilità del faraone era il mantenimento del ma’at (armonia, equilibrio) e una donna in una posizione maschile era vista come un elemento di disturbo per quell’equilibrio. Il faraone temeva che altre donne potessero seguire l’esempio di Hatshepsut, allontanandosi così dalla tradizione, secondo la quale solo gli uomini dovevano governare l’Egitto e le donne essere solo consorti. Un faraone donna, indipendentemente dal successo del suo regno, si poneva al di fuori dell’idea della monarchia comunemente accettata: quindi ogni ricordo di quel faraone doveva essere cancellato.

Hatshepsut fu dimenticata per tutto il periodo del Nuovo Regno e continuò ad esserlo per secoli.

HATSHEPSUT RITROVATA

Il rettangolo blu evidenzia l’ingresso, moderno e sigillato, della KV60, situato all’ingresso della KV19.

Nel 1903, Carter portò alla luce una tomba, denominata KV60, sempre nella Valle dei Re, in cui giacevano due donne, una identificata come Sitra, la balia di Hatshepsut e un’altra, mai identificata (una donna di mezz’età, obesa, dalla pessima dentatura e dai capelli ramati, alta poco più di un metro e sessanta centimetri).
La particolarità di questa mummia era la sua posa tipica dei sovrani egizi ed un’espressione così forte da essere soprannominata “Strong Mummy”.

Zahi Hawass mentre esamina la mummia di Hatshepsut identificata.

All’identificazione della grande regina abbiamo dedicato un articolo che vi invitiamo a leggere per approfondimenti. Qui diremo che fu identificata solo nel 2007 dal dottor Zahi Hawass grazie ad un molare. La sua morte è stata attribuita all’uso di una pomata cancerogena, che l’avrebbe portata a sviluppare il tumore osseo che la uccise. La notizia del ritrovamento della leggendaria regina fece il giro del mondo e in una conferenza stampa presso il Museo Egizio del Cairo, il Ministro della Cultura egiziano Farouk Hosni e l’allora Segretario Generale del Consiglio Supremo per le Antichità Zahi Hawass affermarono: “L’identificazione certa della mummia è stata possibile grazie al matrimonio tra tecnologia, scienza e archeologia”.

La Regina ritrovata, finalmente riconosciuta da tutti come Hatshepsut, ha fatto parte della Pharaoh’s Golden Parade, la spettacolare parata di ben 22 mummie reali avuta luogo il 3 aprile del 2021, durante la quale è stata trasferita al nuovo Museo nazionale della Civiltà egiziana con tutti gli onori che meritava. Hatshepsut, in questo modo, ha ritrovato il posto che le spettava come uno dei più grandi faraoni della storia dell’Egitto.

Il carro con le spoglie di Hatshepsut, durante la Parata d’oro.

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