Gli eventi della storia recente, relativi all’emergenza sanitaria vissuta a causa della pandemia, ci hanno fatto assistere ad un confronto, aspro e serrato, tra le scelte adottate in sede istituzionale e governativa, relative alle misure restrittive della libertà ed alle scelte sanitarie imposte sui singoli individui, e le libertà garantite in sede nazionale e sovranazionale, a partire dalle convenzioni sui diritti dell’Uomo fino a quelle individuate nella Carta Costituzionale.
Non ci soffermeremo sull’analisi degli eventi sotto un profilo strettamente tecnico-giuridico: il tema necessita di un ampio approfondimento, per il quale non sarebbe appropriata una trattazione sommaria. Rinviamo in proposito alla brillante analisi della collega ed amica Angela Di Benedetto nella sua pubblicazione “180 giorni di emergenza (per la Costituzione italiana)”, nella quale viene affrontato l’aspetto dei contrasti e delle contrapposizioni normative che hanno, di fatto, operato evidenti alterazioni nei diritti costituzionalmente declinati e riconosciuti.
Il campo di indagine della riflessione odierna è, piuttosto, individuato nel confine tra obbligo e dovere nei confronti dello Stato, da un lato, ed esercizio della libertà personale dall’altro. L’oggetto dell’indagine è relativo all’integrità psico-fisica dell’individuo, intesa come quel patrimonio fisiologico che la natura ci fornisce in dotazione alla nascita.
A chi spetta l’amministrazione di questa dotazione? E le scelte che possono operarne alterazioni e modificazioni? Quale tipo di responsabilità è connessa alla gestione di questa dotazione e nei confronti di quali soggetti e/o entità si è responsabili?
La questione è delicata e molto complessa.
Le politiche demografiche e di eugenetica
Sin dai tempi antichi, la strutturazione dell’apparato statale doveva poter contare su una popolazione in grado di essere produttiva, di saper combattere per difendere i confini territoriali, di assicurare alti tassi di natalità, necessari per garantire il perpetuarsi ed il prosperare futuro dello stato nell’efficiente funzionamento di tutti i suoi apparati.
Nasce così, in fase embrionale, il concetto di eugenetica, termine derivato dal greco εὐγενής “ di buona nascita”, e coniato soltanto nel 1883 da Sir Francis Galton sulla base delle teorie formulate da Charles Darwin (che peraltro risultava essere il cugino del predetto) relative ai meccanismi dell’evoluzione e della selezione naturale delle specie animali.
Il concetto era, in realtà, molto più antico, seppure scientificamente declinato da Dalton, risalendo le prime teorizzazioni di eugenetica ai tempi della civiltà ellenistica prima, e successivamente romana, teorizzate da alcuni filosofi del tempo.
In considerazione dell’attualità ed incidenza del tema, dedicheremo all’argomento un prossimo approfondimento.
In questa sede, valga la considerazione che tra gli elementi di programmazione delle politiche degli stati moderni, rientrano (seppure con le dovute precisazioni, limitazioni e distinzioni) politiche di impatto demografico e politiche dettate da profili di eugenetica, ed a volte i due aspetti coniugati insieme.
Basti pensare alle recenti politiche di contenimento della crescita demografica adottate sulla natalità ed applicate in Paesi come la Cina, dove fino a poco tempo fa, sotto la direzione di Deng Xiaoping, era imposta per legge la limitazione del figlio unico per ogni nucleo familiare, con eccezione per le famiglie contadine nel caso il primo figlio fosse stata una femmina. L’imposizione normativa ha comportato, principalmente, una serie di abusi e violenze evidenziate dalle organizzazioni internazionali con le denunce di sterilizzazioni forzate, rapimenti ed omicidi a carico dei figli “fuori quota”.
Ulteriormente, tale politica ha comportato una evidente distorsione di genere nella nuova generazione della popolazione, in quanto nel modello culturale di riferimento il figlio maschio (preferito per garantire la prosecuzione della famiglia e per il contributo al lavoro ed al sostentamento della stessa) è divenuto la scelta prevalente, con l’effetto di uno sbilanciamento netto, all’interno della popolazione, tra la presenza di uomini e donne, ed a sfavore di queste ultime.
Per paradosso, invece, nell’ambito dei Paesi che fanno parte del contesto europeo ed occidentale (Stati Uniti), si registra la necessità di adottare politiche volte a favorire l’incremento della natalità e l’abbattimento del fenomeno della infertilità e delle malattie.
Anche in tale prospettiva, l’apertura favorevole a fenomeni migratori, auspicata da molti governi soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, dovrebbe intervenire ad assicurare il ripristino di corretti tassi di fertilità ed un incremento demografico in grado di contrastare, negli Stati interessati, il declino sociale, culturale e demografico che stanno vivendo.
Negli Stati Uniti è sorto il movimento dei “pronatalisti”, che vede tra i simpatizzanti anche Elon Musk, e registra la simpatia di alcuni personaggi (come Sam Altman, co-fondatore con Elon Musk di OpenAI) e la nascita di società e start-up dedicate ai test di indagine genetica (LifeView di Genomic prediction , con 173 cliniche in 37 Paesi e 6 continenti per i test preimpianto finalizzati a ridurre il rischio di malattie come diabete, cancro e malattie cardiache , Conception che definisce la propria missione nell’aiutare i genitori ad avere figli e, tramite lo screening embrionale a ridurre il rischio di “malattie devastanti per le generazioni future” ) .
La finalità è quella di programmare, con l’ausilio delle tecnologie scientifiche di ultima generazione, la scelta delle caratteristiche genetiche da combinare (per ora nella fecondazione in vitro), idonee a garantire la longevità ed a preservare al meglio l’individuo dalle malattie, scegliendo l’identità del patrimonio genetico da trasmettere.
Le ricerche sulla longevità
Di particolare interesse sembra essere la ricerca sulla longevità e sul patrimonio genetico che la può assicurare; i personaggi della Silicon Valley tra i quali Jeff Bezos (Ceo di Amazon, Sergey Brin (fondatore di Google) e Larry Ellison (fondatore di Oracle) hanno effettuato cospicui investimenti nella ricerca di biotecnologie finalizzata a rallentare l’invecchiamento e la morte.
A queste ricerche si affiancano gli studi sull’alimentazione e sullo stile di vita delle popolazioni della cosiddetta “blue zone”, ovvero dei territori che hanno la più alta concentrazione mondiale di uomini centenari. I territori dell’Ogliastra in Sardegna, dell’isola di Okinawa, in Giappone, ai quali si uniscono i territori di Ikaria in Grecia (con il tasso di demenza senile più basso del mondo), della penisola di Nicoya in Costarica (con il tasso più basso di mortalità nella mezza età) e Loma Linda in California (con i membri della Chiesa avventista del settimo giorno che vivono mediamente 10 anni di più degli altri nordamericani).
Queste cinque aree sono oggetto di studio da parte degli antropologi, dei demografi e degli epidemiologi, con un grande ed affiancata attenzione dei genetisti che più volte si sono mostrati interessati a studiare il fenomeno, per capire e carpire il segreto della longevità, nel tentativo di acquisire dati che siano indipendenti dal contesto sociale e dallo stile di vita, ma che attengano piuttosto a profili geneticamente trasmissibili.
Interessi di Stato: il diritto alla salute come diritto dell’individuo e come interesse collettivo
Il dato emergente è costituito dal fatto che risulta ormai interesse primario dello Stato, quello di garantire ed assicurare l’integrità psicofisica degli individui e della popolazione, nell’ottica delle prospettive di programmazione di sviluppo e crescita del contesto socio-economico.
Persiste, inoltre, un particolare interesse anche di carattere economico e commerciale, relativamente ad una programmata ottimizzazione della integrità psico-fisica dell’individuo.
Nel nostro ordinamento, la traduzione semplificata dei tanti aspetti e delle tante sfumature è quella del riconoscimento del diritto alla salute, declinato nelle norme a partire dall’art. 32 della Costituzione.
La predetta norma costituzionale prevede testualmente che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce le cure agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Dunque, l’integrità fisiologica e psico-fisica dell’individuo sembrerebbe essere configurata esclusivamente come diritto fondamentale dell’individuo. In ogni caso, l’eventuale interesse non individuale, e di carattere diverso, dovrebbe fare i conti con i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Eppure, nell’oceano liquido delle normative che proteggono l’individuo nella sua integrità fisiologica e psicologica, offrendo meccanismi di garanzia che si affiancano al più ampio concetto di libertà intesa come autodeterminazione nei comportamenti, scelta dello stile di vita, scelta delle cure e delle terapie, si inserisce da diverso tempo in forma palese l’interesse dello Stato che è titolare degli interessi generali e collettivi della popolazione sia sotto il profilo della tutela e del controllo sanitario, sia (e ritengo maggiormente) sotto il profilo dell’interesse ad assicurarsi le prospettive dello sviluppo e della crescita socio-economica che ne forma il tessuto vitale, con ulteriore riguardo al profilo economico relativo al controllo ed al contenimento della spesa pubblica e sanitaria.
Pertanto in forma latente, silenziosa e quasi impercettibile, la tendenza che si è manifestata è quella di sottrarre ogni giorno campo alla libertà di autodeterminarsi dell’individuo in situazioni che possano implicare conseguenze sull’integrità psicofisica della persona, tanto più se le conseguenze possono estendersi ad una collettività.
Ci troviamo, attualmente, nella situazione in cui lo Stato, nella necessità di operare un’accurata programmazione in tema di crescita, produttività e sviluppo che possa garantire il futuro dello Stato stesso e della propria cittadinanza, si pone di fronte ad un evidente bivio: procedere ad una programmazione per il tramite dell’adozione di politiche demografiche ed eugenetiche intese in senso lato (includendo in tale termine anche le politiche che favoriscono l’accoglienza migratoria), con l’innesto di popolazione non appartenente al contesto continentale; oppure procedere ad una limitazione diretta dei diritti e delle libertà dell’individuo in favore della declinazione di obblighi e doveri di programmazione statale.
Nel primo caso, ovvero quello dell’intervento di politiche demografiche e di eugenetica, da una parte l’allarme rosso è ancora acceso sul recente passato di molti Stati (Germania nazionalsocialista, Norvegia, Svezia, Australia e Stati Uniti) caratterizzato da insuperabili problematiche etiche, discriminatorie, morali, religiose ed in molti casi di diretta violazione dei fondamentali principi di diritto che afferiscono alla persona umana e che, nel caso del contesto dell’Italia, sarebbero di diretta violazione dell’art. 32 ultimo comma della Costituzione. Da altra parte, nelle politiche di accoglienza migratoria, ci troviamo di fronte ad evidenti problemi di integrazione e di assimilazione, la cui soluzione risulta difficile e di lungo periodo, che non forniscono la dovuta stabilità necessaria alla programmazione di sviluppo.
Nel secondo caso, appaiono con evidenza i contrasti e gli stridori normativi che comportano una necessaria revisione delle norme fondamentali poste a protezione delle libertà individuali, sebbene l’intervento normativo risulti avere quelle caratteristiche di efficacia e di stabilità che consentirebbero, in tempi brevi, una corretta programmazione.
La gestione dei diritti individuali e degli interessi collettivi
Nel recente evento verificatosi nel contesto italiano, relativo alla gestione dell’emergenza pandemica, la necessità di uniformare i comportamenti individuali per quanto concerne la profilassi, il contenimento dei rischi, il trattamento sanitario e la prevenzione della diffusione del contagio, ha indotto il governo dello Stato ad operare in deroga ad alcuni dei fondamentali principi costituzionali ed alla sospensione di fatto di alcuni diritti fondamentali riconosciuti alla persona.
Ed in queste forche Caudine, nelle quali si sono trovati a confrontarsi i diritti fondamentali dell’individuo con le esigenze di intervento e di programmazione dello Stato, con l’evidente e frustrante umiliazione di entrambi gli aspetti, nasce attuale l’esigenza di ridefinire i confini ed i limiti posti alla libertà individuale rispetto ad una tutela generale e collettiva.
In particolare, se è vero che il patrimonio di integrità psicofisica, concesso a ciascuno di noi alla nascita, è affidato alla responsabilità ed alle decisioni del singolo, tuttavia quello stesso patrimonio è, al tempo stesso, una risorsa finalizzata ad assolvere direttamente a quanto previsto dall’art. 4 comma 2 della Costituzione Italiana, secondo il quale “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Quanto previsto dalla Costituzione implica che ogni cittadino abbia in dotazione la libertà di amministrare e gestire la propria integrità psicofisica, ma anche che questa gestione debba essere sempre finalizzata ad un apporto produttivo di progresso materiale e spirituale, nonché al rispetto dell’interesse della collettività previsto nell’art. 32 della Costituzione.
Pertanto, tutti quei comportamenti individuali che si manifestano come lesivi e/o depauperativi della capacità produttiva e/o dell’integrità psicofisica dell’individuo, pur afferendo a comportamenti che si estrinsecano in manifestazioni della libertà individuale, si pongono in diretto contrasto con un interesse generale e superiore previsto in sede Costituzionale, interesse nel quale trova limitazione la libertà di autodeterminazione dell’individuo.
In merito alla questione, viene subito all’attenzione il tema dell’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Il “fumarsi uno spinello” o abbandonarsi a comportamenti, seppure leciti, che importino un’alterazione fisiologica, psichica e percettiva, costituiscono una diretta violazione dei principi di conservazione dell’integrità psico-fisica.
Lo stesso può dirsi dell’abuso di sostanze alcoliche, ed anche del comportamenti alimentari che favoriscono l’insorgenza e la manifestazione di patologie irreversibili ed invalidanti.
Appare di tutta evidenza che, in tali campi, lo Stato ha di fatto potere di incidenza limitativa e repressiva diretta, che potrebbe legittimamente esercitare in qualunque momento.
Ma risulta altresì evidente che, tornando all’esempio del caso della pandemia, il governo abbia agito direttamente ed a gamba tesa sui diritti dei singoli con l’esercizio di poteri autoritativi in forma diffusa e generalizzata, spiegati in ambito territoriale fino ad arrivare al dispiegamento delle forze dell’ordine e dell’esercito con finalità di controllo e repressive.
Per le emergenze legate soprattutto alla droga ed all’alcolismo, non sembra valere lo stesso principio, e la tutela è affidata non ad un’attività repressiva e di controllo capillare manifestata sul territorio, ma alla predisposizione di norme penali lasche e, di fatto, reinterpretate elasticamente nei tribunali, che incidono fondamentalmente solo sulla repressione di singoli comportamenti individuali, legati al superamento di limiti imposti alla cessione ed al consumo, piuttosto che su azioni di controllo, prevenzione e sterilizzazione del fenomeno.
Ed è proprio in queste discrepanze che l’azione dello Stato diviene incoerente, ed in cui lo Stato stesso si manifesta, su molti temi di pari e fondamentale interesse, patrigno piuttosto che padre.
E così, se da un lato quando vengono in considerazione interessi economici generali e di grande rilevanza che minacciano la stessa sussistenza dello Stato in maniera diretta, intesa in prima battuta come capacità economico-produttiva, la reazione a determinati fenomeni è tempestiva, adeguata e determinata (è il caso della pandemia, con il profilarsi del collasso del sistema economico-produttivo dello Stato); la reazione, invece, a fenomeni i cui effetti si riversano a carico di una cerchia ristretta di individui, o addirittura di singoli individui, seppure riferentesi a identici profili di tutela, è tardiva, se non del tutto assente, del tutto inadeguata e mai risolutiva.
Eppure interesse individuale ed interesse collettivo all’integrità psicofisica, dal punto di vista Costituzionale, confluiscono nell’unico contesto dell’art. 32 della Costituzione.
Conclusioni
L’incoerenza nell’indirizzo morale ed etico dell’azione dello Stato, lascia il campo libero ai fenomeni degenerativi di degrado e di deliberata infrazione delle regole stabilite, che conducono ad una diffusa confusione sociale sui principi che fondano la comunità statale.
Per utilizzare un esempio botanico, diremmo che a fronte di solide radici (costituite dai principi costituzionali) il tronco (il contesto sociale) è stato scavato da patogeni infettanti, e la stentorea chioma (vertici istituzionali) poggia su un tronco che rischia di essere cavo.
L’integrità fisiologica e psicofisica dell’individuo costituisce un patrimonio da tutelare fin dalla fase antecedente alla nascita dell’individuo, ovvero dalla fase embrionale, dal concepimento del nascituro.
Anche i comportamenti adottati nel corso della gravidanza possono incidere sull’integrità dell’individuo che dovrà nascere.
In questo caso i profili di responsabilità sono amplificati anche dalla circostanza che l’embrione prima, e il feto poi, non hanno alcun tipo di autonomia e sono, per così dire, soggetti passivi rispetto alla gravidanza in corso.
Proprio nella valutazione della necessità, per lo Stato, di poter contare su una efficace programmazione socio-economica e di sviluppo, negli attuali limiti che impediscono (giustamente) l’adozione e l’applicazione di politiche di eugenetica, e nelle attuali problematiche legate alla complessità dei fenomeni migratori, la strada da percorrere è quella di far valere il peso dell’interesse collettivo sulla questione dell’integrità fisiologica e psicofisica dell’individuo come interesse primario e prevalente rispetto ai comportamenti individuali che, seppure letti come estrinsecazione della libertà della persona, hanno incidenza pregiudizievole sui valori di integrità fisiologica e psicofisica.
Occorre, quindi, ripartire da solide radici per costruire una società che sappia interpretare, con piena coerenza in tutti i contesti sociali, i principi costituzionali per il tramite di un’azione Statale che deve assolvere al compito di dirigere la società secondo i principi stabiliti democraticamente, senza zone d’ombra, e con pieno ed efficace interesse alla tutela dei propri cittadini.
Nelle prospettive di pianificazione dello sviluppo e della crescita di uno Stato, la tutela dell’integrità fisiologica e psicofisica degli individui e della popolazione costituisce il primo grande passo per la piena realizzazione degli obiettivi di programmazione della crescita economica, sociale e culturale.
Questo particolare aspetto costituisce, peraltro, il presupposto per il corretto funzionamento dell’apparato statale e, conseguentemente, per l’effettivo riconoscimento e per la concreta attuazione degli altri diritti previsti dalla carta costituzionale, costituendo l’unico possibile tempestivo intervento in grado di fermare il progressivo decadimento, il degrado ed il disfacimento dello Stato.