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“I Due Nemici”: Berlinguer e Craxi, il contrasto che ha segnato la Sinistra.

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Il ritorno del mito di Enrico Berlinguer.

In tempi di crisi per tutti, persino per la Chiesa Cattolica, a corto di veri santi, la sinistra post-comunista rispolvera il mito di un “canonizzato” evergreen: Enrico Berlinguer. Già ai suoi tempi, il leader comunista fu visto come martire e simbolo di un’Italia diversa, un’anima pia in un mondo di peccatori. Oggi assistiamo a una resurrezione del mito, come dimostrano il recente “dibattito” su La7, “officiato” da Corrado Augias e Walter Veltroni, e il bel film di Andrea Segre.

Craxi: il culto rock e la memoria nostalgica

Craxi, invece, sopravvive nel ricordo di un pubblico nostalgico e di nicchia: reduci socialisti approdati in Forza Italia, laici impenitenti, appassionati di politica, e persino qualche leghista. Ma il suo culto è decisamente rock, non pop.

Berlinguer e Craxi: due visioni opposte della politica

Negli anni Settanta, quando i costumi e i consumi cambiavano a ritmo febbrile e la società tradizionale della prima repubblica iniziava a disorientarsi sotto l’onda crescente dell’individualismo e delle spinte libertarie, Berlinguer rappresentava un rimedio; Craxi, un sintomo. Berlinguer, aristocratico, con una sobrietà quasi francescana, cercava di incanalare il cambiamento attraverso la tradizione e il rigore marxista, in nome di un partito “chiesa” neanche tanto laico. Craxi, invece, da molti era visto come l’arrivista figlio della Milano da bere, il prodotto dell’ultima generazione socialista imbevuta di fumose idee laico-libertarie e un po’ troppo “descamisada” per essere considerata degna dell’attenzione del mondo dei grandi.

Berlinguer: il leader sobrio e autentico

In questo scenario di cambiamento, i due leader rappresentano stili e visioni opposte: rigore morale e tradizione contro modernizzazione e pragmatismo. Berlinguer, tra i suoi meriti, ha quello di aver incarnato più che una morale – Dio ce ne scampi – uno stile. Quest’uomo, molto serio e perbene, era autenticamente capace di stare vicino al popolo attraverso il suo partito ricco di quadri e sezioni. Anche gli altri politici dell’epoca lo facevano, ma Berlinguer aveva un rispetto e uno spirito di servizio intimo e non esibito che veramente ne davano la cifra e lo rendevano umano e vivo oltre ogni apparato.

Craxi: il leader assertivo e divisivo

Craxi invece, che di Berlinguer era l’antitesi anche fisica, aveva una comunicazione interessante, ma divisiva. Fu il primo a parlare da leader più che da uomo di partito e a mostrare un esibito stile assertivo, ma alcuni suoi limiti caratteriali, probabilmente dovuti all’intellettualismo e all’introversione, rendevano la sua figura arrogante e algida.

Le scelte storiche: il compromesso di Berlinguer e il pragmatismo disinvolto di Craxi

Berlinguer, da uomo delle istituzioni, resta famoso per il suo sofferto sì al compromesso storico e per il suo fermo no alle trattative per la liberazione di Moro. Craxi, invece, era un disinvolto sovversivo, per quanto spietatamente e lucidamente tattico, rispetto agli equilibri “sacrali” della politica dell’epoca.

Gli anni Ottanta: Berlinguer contro Craxi.

La fine degli anni Settanta e l’inizio del nuovo decennio cambiano rapidamente i rapporti di forza tra i due . Berlinguer, terminata la solidarietà nazionale, va all’opposizione con un partito stabile che non cresce più. Craxi , “l’edonista”, diventa invece il modernizzatore: il referente dei ceti medi produttivi e il presidente del Consiglio.

Berlinguer non voleva gli anni Ottanta della “ tv a colori”: non gli piacevano lo sfarzo del garofano, gli euromissili, Reagan e l’economia del mercato che stava emergendo. La sua fatwa assume il nome di “ questione morale”e, con questa, includeva il rifiuto di analizzare con occhi moderni il mondo postfordista.  

 A Craxi, invece, il decennio  piaceva e, oltre a cene e aperitivi, cercava di comprendere come il socialismo, per innovarsi, avesse bisogno di essere riformista, liberale e tricolore, proprio perché avrebbe dovuto rapportarsi a un mondo sempre più interconnesso e globale. Da qui Sigonella e la sua scomposta ma tentata difesa dell’IRI e della lira, ma anche l’approccio sociologico anticapitalista e antimoderno del PCI, che si tradusse nel  “nulla cosmico” post-muro di Berlino con i sì ai diktat dell’euro e della finanza globale.

La morte di Berlinguer e l’esilio di Craxi

Vero è che, nell’immaginario collettivo di quegli anni convulsi, Berlinguer muore in piedi, mentre Craxi finisce in esilio o in contumacia, tra le ironie di tanti e il disprezzo di un Paese che, forse, anche nel successo non lo amò mai. Craxi non piaceva alla destra, che gli rimproverava le idee; ai liberisti, per la sua politica economica; ai cattolici, per la laicità; ma soprattutto alla sinistra non socialista. Non mancarono eccezioni, ma per l’immaginario berlingueriano e post, Craxi era ed è l’emblema di una sinistra corrotta: non tanto dai soldi, ma dal potere, dal sistema capitalistico e dall’imperialismo americano. Meglio i “preti buoni” o i repubblicani legati a Cuccia  e Agnelli.

Berlinguer: il leader controverso e realistico

A più di un quarantennio di distanza, andrebbe ristabilita la verità: Berlinguer merita rispetto come uomo di potere per definizione controverso, perfettamente inserito nelle logiche di quella “gioiosa e seriosa macchina da guerra” che era il PCI. Probabilmente il suo eurocomunismo fu una strategia concordata con Mosca più di quanto si pensi per accedere al governo e ottenere consenso. Certo è, invece, che il suo partito fu finanziato irregolarmente dall’URSS.

La “questione morale” e il rifiuto di modernizzare

Se il PCI, dopo il 1989, avesse abbandonato la sua retorica moralista, avrebbe potuto affrontare questi e altri aspetti della sua storia con maggiore lucidità politica. L’alleanza con i socialisti di Craxi avrebbe potuto creare una grande sinistra moderna. I berlingueriani di Occhetto, però, preferirono insistere sulla “questione morale”, distruggendo il PSI e creando un partito al servizio del capitale assistito e dei grandi sindacati. Bene è che si studino le figure di Craxi e Berlinguer, ma occorre ricordare che nessuno dei due fu un santo o un diavolo.

Craxi l’incauto , Berlinguer l’accorto.

Berlinguer, accorto custode di equilibri, fu un grande leader iconico di un partito ideologico e di potere, ma trovava i suoi limiti nella cultura antimoderna del suo partito e della sua burocrazia. Craxi, al contrario, era un genio tattico e di grandi visioni, ma strategicamente incauto. Il primo lasciò un partito-comunità convinto di essere estraneo al sistema di cui faceva parte; il secondo lo fece percepire da troppi, a giudizio persino di alcuni  suoi  esponenti, “una corte di nani e ballerine” e talmente dentro il potere, in cui in realtà era intruso, da esserne considerato il simbolo smargiasso e sgraziato.

I reduci di Bettino, la riflessione dei piddini.

A distanza di anni, sarebbe onesto fare alcune considerazioni. I reduci di ‘Bettino’ dovrebbero riconoscere che la loro casa madre non è con la destra, i liberisti o i baciapile, ma a sinistra, dove sarebbe imprescindibile tornare allo stile autenticamente democratico di Berlinguer, che, chiariamolo, oggi manca. Tuttavia, i piddini, pur senza sermoni o incensi a Craxi, almeno un cero dovrebbero accenderlo: fare chiarezza su ciò che fece e raccoglierne almeno una parte dell’eredità darebbe sostanza alla loro politica.

La rivalutazione di Craxi e Berlinguer.

Bisogna riconoscere, infine, che Berlinguer si dimostrò un politico di straordinario realismo, consapevole del fatto che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, il PCI dipendeva strutturalmente  dal suo blocco sociale e da Mosca, e che immaginare una reale autonomia sarebbe stato, per l’epoca, una chimera. Si spinse al limite, ma mai oltrepassò certi confini. Craxi, invece, tentò di ridisegnare i rapporti con gli Stati Uniti nel periodo successivo alla caduta del Muro di Berlino, proponendo un terzoforzismo ambizioso e un europeismo  che, tuttavia, si tradussero in conseguenze personali drammatiche e lo resero una figura tragica della nostra politica. I due partiti della sinistra italiana e i loro due leader incarnano, al di là delle agiografie, due tradizioni distinte: da un lato, il “Craxi visionario”, con un disegno ambizioso, utopico e moderno; dall’altro, il “Berlinguer realista”,  incentrato sulla consapevolezza dei limiti imposti dal contesto storico. Questa dualità, per quanto a tratti inconciliabile, potrebbe offrire un equilibrio interessante ed è forse l’eredità meno evidente del particolare gioco di specchi che prende corpo raffrontando le due biografie.

Come nei tarocchi, anche i personaggi storici svelano il loro significato più profondo solo quando li si guarda al rovescio.

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