IQ. 28/03/2013 – Il figlio dell’altra, nelle sale dal 14 marzo 2013, è un film sull’odio razziale e sull’amore materno. Tra Tel Aviv e nei territori arabi della Cisgiordania la regista ebrea-francese Lorraine Lévy ambienta la storia raccontata nel film “Il figlio dell’altra”, che ripropone, in quel particolare contesto socio-politico, un grande classico della letteratura, ovvero il tema dello scambio di neonati nella culla. Joseph e Yacine, oggi diciottenni, sono i neonati scambiati, uno israeliano, l’altro palestinese.
Durante la visita per il servizio di leva nell’esercito israeliano, il giovane Joseph scopre che il suo gruppo sanguigno è incompatibile con quello dei suo genitori e pertanto non può essere biologicamente figlio della coppia che l’ha cresciuto con tanto amore. Cosa è accaduto? La notte in cui fu partorito, 18 anni prima, il reparto maternità dell’ospedale di Haifa, a causa di un bombardamento nel corso della Prima Guerra del Golfo, venne evacuato per motivi di sicurezza. Passato il pericolo, nella concitazione del momento, un’infermiera per un tragico errore, scambiò le culle di due bambini appena nati, consegnando così alle due mamme il figlio dell’altra. La rivelazione getta in una crisi profonda i due ragazzi e sconvolge la vita delle due famiglie che si troveranno a fare i conti sia con le rispettive identità, che sul significato profondo di un sanguinoso conflitto politico e religioso che dura da molto, troppo, tempo. I due ragazzi dovranno capire le ragioni di chi, fino a poco prima, era considerato il nemico e riconoscersi come fratelli; i due padri, invece, (il rigido Alon, ufficiale dell’esercito israeliano e il palestinese Bilal, così come il fratello di Yacine) istintivamente più rigidi, si faranno sopraffare dalla nuova realtà e faticheranno non poco a capire che non esiste alternativa possibile. Saranno le donne (l’ebrea Orith e la palestinese Leila), naturalmente più comprensive e tolleranti – forti della consapevolezza che i figli che hanno allevato continuano ad essere i loro figli – a favorire un discorso pacificatore fra gli uomini, capace di superare l’astio ideologico che li separa per trovare un modo per conoscersi e convivere. Due ragazzi cresciuti con valori, ideali e possibilità differenti ma che, costretti a confrontarsi, iniziano a conoscersi. La regista sceglie un dramma familiare per raccontarne uno più grande come quello storico della questione israelo-palestinese. Un sorta di Isacco ed Ismaele moderni. Due ragazzi messi a confronto e che danno vita, grazie anche alla sapiente regia e alle immagini, ad una nuova prospettiva. La Levy racconta in modo sapiente e toccante la storia che si fa più intensa nelle tante sequenze girate a ridosso del muro, che sovrasta, gigantesco e opprimente, sulle vite della gente. Il susseguirsi delle perquisizioni e dei controlli di sicurezza, lungamente inquadrati, generano pathos e insicurezza, quasi a preannunciare un tragico avvenimento. Ma il film riesce a trasmettere bene una bella idea. L’altro non è più visto come un nemico ma si fonde e confonde col sé. Sono le vite e i due cuori di ragazzi a far capire che i sogni, le paure, le difficoltà, le incomprensioni, la vita stessa, sono uguali e diverse per ogni essere umano, israeliano o palestinese, occidentale o orientale. Resta semplicemente la volontà di capire e accettare l’altro nel suo essere così uguale e così diverso da sé.