IQ. 09/07/2013 – Gli artigiani dichiarano che il Made in Italy non vale più molto visto che le griffe preferiscono i cinesi. La Riviera del Brenta, tra Venezia e Padova, capitale della scarpe griffate, non lo sarà ancora per molto, a sentire i lavoratori, se le nostre marche continueranno a preferire la Cina.
La norma sull’etichettatura europea infatti consente di realizzare all’estero le parti più importanti di qualunque prodotto manifatturiero e le nostre marche prediligono l’Europa dell’est e l’Asia grazie ai bassi costi della manodopera. Ma in realtà questa legge porta alla perdita, nel lungo termine, di clienti. Se si sceglie di pagare un prodotto molto è perché quell’oggetto di lusso racchiude anche l’esclusività, il dettaglio, la lavorazione e l’attenzione anche al suo più piccolo componente. Tutta questa attenzione non la si potrà avere nella grande produzione. Nel settore pelli calzature dal 2001 al 2012 le imprese individuali cinesi sono aumentate da 30 a 205 mentre hanno chiuso bottega 90 imprese artigiane italiane. I Cinesi hanno sostituito gli Italiani a colpi di concorrenza sleale. Illegalità e sfruttamento della manodopera sono alla base di un’inesorabile avanzata dei laboratori cinesi in tutti i distretti del Made in Italy; ma molta della colpa è rintracciabile anche nella nostra politica economica. Se la classe dirigente non ritiene importante proteggere il Made in Italy e non rende accessibili le tasse da pagare per chi, qui, vuole produrre, che colpa ne hanno i cinesi? Sulla responsabilità sociale di queste aziende si può discutere ma gli imprenditori nascono per fare affari; e se uno Stato non tutela il suo artigianato la colpa non è certo di chi investe per un guadagno. Finché non si applicheranno severe sanzioni anche contro i committenti e finché non si farà una norma che disponga la distruzione della merce pregiata trovata nei laboratori irregolari non cambierà niente. Denunciare è l’unica arma rimasta in mano agli artigiani.