“Sono semplicemente un imprenditore che fa miracoli”, così si descriveva Silvio Berlusconi. Il giorno della morte del Cavaliere il giornale spagnolo El pais ha titolato “l’uomo che definì l’Italia del XXI secolo”, la frase giusta, un perfetto ritratto sintetico di quel che è stato Berlusconi per il paese. Proprio di miracoli si può parlare e si deve parlare, soprattuto nella sua carriera sportiva perché lui oltre ad essere stato imprenditore e politico diventando il volto del paese, è stato anche l’immagine della storia calcistica europea portando il concetto di vittoria alla sublimazione rossonera. Il 20 febbraio 1986 è il giorno in cui iniziò il miracolo di Berlusconi: il Milan era una squadra martoriata dal calcioscommesse, sommersa e affondata dai debiti che non le permettevano di vedere la luce della superficie alla quale apparteneva. La condanna della Serie B, giunta mentre la penisola festeggiava Bearzot e giocava a carte con Pertini sull’aereo di ritorno dal Mundial di Spagna 1982, sembrava aver inserito il Diavolo in un limbo calcistico: saranno gli altri a festeggiare, l’orizzonte del Milan era opaco e malinconico. Invece Berlusconi decise di salvarlo, per riportarlo agli antichi splendori: “ho insegnato al Milan come si gioca a calcio” e infatti bastarono appena due anni e il vento olandese che vestì la squadra con le ali del cigno -di Utrecht- per restituire al Milan lo scudetto del 1988. Un’innovazione totale, e d’altronde il Cavaliere di innovazioni se ne intende: cambiò lo sport ancor prima della televisione e della politica, un cambiamento che passava dai nuovi schemi, dal nuovo calcio del Profeta di Fusignano. Fu una scelta di Berlusconi, dalla certezza alla scommessa, sostituì Nils Liedholm e ingaggiò l’emergente Arrigo Sacchi, “una follia non priva di saggezza”. La strada giusta, i volti del tempo con indosso quella maglia non saranno mai dimenticati, dal capitano Franco Baresi- “le bandiere del calcio non si vendono e non si comprano”- agli olandesi van Basten e Gullit, passando per Galli, Costacurta, Ancelotti, Evani, Donandoni, Tassotti, sono loro gli uomini del presidente.
Italia, Europa, Mondo: Berlusconi e il Milan, collezione di trofei
“Prendi una buona idea e mantienila. Inseguila e lavoraci fino a quando non funziona bene”, Walt Disney ha sempre custodito e accudito le sue convinzioni, le sue idee, raggiugnendo dei risultati inimitabili e questa sua frase ne è la testimonianza. Berlusconi lo aveva immaginato così il suo Milan e iniziò a perfezionarlo, con alcuni piccoli storici ritocchi continui che si trasformavano presto in brillanti trofei: passò una sola stagione e dopo il Gre-No-Li svedese degli anni cinquanta si compose il trio olandese: Frank Rijkaard ritrovò van Basten e Gullit. Il secondo turno di Coppa dei Campioni conto la Stella Rossa di Belgrado verrà a lungo ricordato per la nebbia, l’espulsione di Virdis e i rigori nella ripetizione che poi lancairono il Milan verso la gloria prima con un 5-0 al Real Madrid e in finale un 4-0 contro la Steaua Bucarest al Camp Nou di Barcellona, la prima Champions League (si direbbe oggi), soltanto la prima.
Quello del Milan è indubbiamente un cielo di stelle, oggi sarebbe complicato comporre un Dream Team in grado di sconfiggere la squadra di Berlusconi. Al termine dle 1989 Chicco Evani firmò con il suo nome la Coppa Intercontinentale, i rossoneri erano Campioni del Mondo. Se la coppia della leggenda madridista, Sanchez-Buitragueno non ha mai vinto una Champions League/Coppa dei Campioni è anche colpa del Milan di Berlusconi. Il risultato finale non è di 5-0, ma ad accedere ai quarti di finale della Coppa nel 1990 è sempre Sacchi e anche quello fu un antipasto del successo: Rijkaard fece suo sia il Prater di Vienna che il National Stadium di Tokyo portando il bis sia in Europa che nel mondo, nessuno poteva battere il Milan. La squadra brillava, i tre tulipani con Sacchi e Silvio avevano portato un’età dell’oro apparentemente irripetibile. Ma proprio quella accecante luce che emanava il club rossonero si spense improvvisamente il 20 marzo 1991: al Velodrome di Marsiglia un riflettore si guastò e su decisione di Galliani in rappresentanza della società i ragazzi del profeta di Fusignano abbandonarono il campo. La UEFA reagì duramente, 3-0 a tavolino per i francesi e squalifica dall’Europa, la favola era finita, serviva un nuovo miracolo.
Detto fatto; il rivoluzionario Sacchi salutò, un nuovo Re Mida varcò i cancelli di Milanello. Fabio Capello già dal 1992 vinse lo scudetto senza perdere neanche una partita e replicò il successo l’anno successivo: fu una festa totale pronta a culminare con una nuova coppa dalle Grandi Orecchie da conquistare all’Olympiastadion di Monaco contro il Marsiglia. Doveva essere la partita in cui Capello avrebbe dovuto indossare il Revenge Dress di Sacchi, e invece i francesi recarono ancora dispiaceri, un calcio d’angolo di Abedi Pelè favorì il volo di Boli e vinse l’OM. La vittoria del campionato era orami un’abitudine che non venne abbandonata e nel 1994 il Milan indossò veramente l’abito della vendetta-come fece Lady D in quello stesso anno- : senza il trio olandese gli eroi meneghini diventarono Massaro, Savicevic e Dasailly, il Barcellona del Cruijff allenatore andò al tappeto, Tassotti alza la Champions League sotto il cielo di Atene.
Anche il ciclo Capello terminò, dopo aver perso una finale contro l’Ajax al Prater di Vienna, ma il Milan della gloria non aveva nessuna intenzione di fermarsi, la collezione di trofei a casa Berlusconi non era ancora completa. Zaccheroni vinse uno scudetto e poco altro. Nel grande ciclo vincente berlusconiano anche il cuore vuole la sua parte, nel nuovo millennio Carlo Ancelotti si accomodò sulla panchina rossonera ottenendo l’eterna gratitudine dei tifosi. L’Euroderby 2003 dipinse il Duomo con i colori del Diavolo e all’Old Trafford uno straordinario portiere, Dida, parò i rigori di Trezeguet, Zalayeta e Montero, Juventus Ko, iniziò una nuova celebrazione. Il Milan di Ancelotti non era una squadra che si fece scoraggiare, neanche dopo il dramma di Istanbul. Nel 2007 ad Atene l’avversario era ancora il Liverpool. Era il Milan dei brasiliani che volevano riscattare la tragica sconfitta in Turchia: Dida, Cafu, Kakà e Serginho, pezzi fondamentali per il trionfo, ma il marcatore allo Stadio Olimpico portava un solo nome, Pippo Inzaghi che firmò una doppietta anche contro il Boca Juniors. Il Milan era ancora una volta campione d’Europa e del Mondo. “Vorremmo fare una squadra che dura nel tempo, tornando con stile e con classe sulle scene nazionali e internazionali” l’obiettivo posto da Berlusconi è stato ampiamente raggiunto e superato.
Una lingua nuova: l’ultimo miracolo Monza
Il 26 gennaio 1994 Berlusconi “scendeva in campo” in politica, lo stesso anno in cui il suo Milan “venne eletto” campione d’Europa. Questa inversione dei linguaggi ha modificato anche il panorama politico italiano dando inizio ad una nuova era che relegò agli archivi la Prima Repubblica. “Il Milan dovrà sempre scendere in campo per comandare il Giuoco” Berlusconi è stato preso alla lettera dai suoi allenatori e calciatori; anche dopo il 2017 quando la società venne venduta al cinese Yonghong Li lui non lasciò mai la sua passione per il calcio, da supporter del Milan-“rimarrò sempre il primo tifoso”- fino al protagonismo in una nuova sfida. Nel 2018 ricomiciò a “lavorare su di un sogno” direbbe Bruce Springsteen; rilevò la squadra del Monza che militava in Serie C. I brianzoli erano falliti nel 2015, costretti a ripartire dal dilettantismo; dall’arrivo del Cavaliere iniziarono a scalare le gerarchie fino alla Serie A. Nel 2022-23, anche grazie ai processi contro la Juventus e alle relative penalizzazioni, il Monza si avvicinò addirittura alla zona europea prima di concludere il campionato all’undicesimo posto: è questo l’ultimo miracolo di Silvio Berlusconi.