Di Cristiano Ottaviani
Erano anni che in televisione non si vedeva quasi più. Con la vecchiaia aveva capito che era meglio evitare un eccessivo contatto con il pubblico perché la memoria si era fatta più debole. Quando però appariva, oramai fragile e con gli occhi azzurri divenuti stanchi, riusciva ancora con un filo di voce a prendersi e prenderci in giro.
Luciano De Crescenzo è stato davanti al grande pubblico l’ultimo testimone di una città diversa rispetto alla spazzatura di Gomorra e alle lagne politicamente corrette.
Giunto al mondo quasi novantuno anni fa, il futuro ingegnere filosofo nasceva in una Napoli che era tutta poesia. La fu capitale borbonica regnava benigna sui vicoli poveri e sui palazzi aristocratici mentre il mare e il cielo la coloravano insieme alla solare umanità e alla millenaria, argentea saggezza.
La guerra arriva quando Luciano è un ginnasiale spensierato.
Nel 1943 il papà lo trasferisce con la famiglia a Cassino per scampare ai pericoli, ignorando che lì ci sarebbe stato una delle più grandi devastazione del conflitto.
E’ un paradosso, un’iniziazione.
Temprato dalle bombe, dai classici e dalla borsa nera, il futuro professor Bellavista con la pace torna nella sua città in tempo per usufruire degli ultimi placidi anni che precedono la legge Merlin.
Garbato pigmalione di giovani e attempate meretrici, il futuro ingegnere, mentre studia nei bordelli, è allievo di un genio come Cacciopoli e segretamente scrive poesie. De Crescenzo come tanti meridionali va a lavorare al nord ove diventa dirigente Ibm; perde però la moglie e l’amore.
Arriva malinconico alla soglia dei cinquanta. Milano, il management, i computer e la carriera sono lontani dai colori e dai suoni della sua gioventù.
Sente di dover scrivere “Così parlò Bellavista” che, sia pure in modo leggero, è un piccolo trattato di filosofia ma anche evocazione di uno Spirito Guida.
Ancora una volta inizia una nuova vita, quella della notorietà, che si protrae per decenni con venti milioni di libri venduti nel mondo, film e apparizioni tv. Sornione e guizzante Luciano De Crescenzo è stato uno dei più simpatici affabulatori e divulgatori italiani.
Se ne è andato in punta di piedi, passando l’ultima periodo della sua esistenza “appartato, nudo a leggere libri”, un po’ come i filosofi cinici e i vecchi bramini.
La stampa l’ha quasi ignorato. Lui, che dalla vita ha avuto tutto e poteva ostentare ogni opulenza, ha salutato il mondo con una bara chiara, quasi spoglia, affidandosi all’abbraccio della sua amata città.
Filosofo laico del dubbio, artista con il taglio e lo sguardo del grande artigiano, De Crescenzo è stato uno sciamano scienziato, capace di cogliere la formula alchemica in grado non di “allungare ma di allargare” il tempo.
Qualcuno ha detto di lui che aveva “gli occhi del mare e il cuore del Vesuvio”, può essere; ma la sua forza medianica stava nella sua voce, nell’ eloquio e nella scrittura colloquiale che avevano la saporita umanità del gorgoglio di una macchinetta del caffè.
Arcinapoletano come pochi, De Crescenzo giocava con le forze della sua città senza farsene travolgere.
Il Gennaro Bellavista, che chiede al mafioso “ma a fine voi non fate na vita è merda?”, è l’amico di Socrate e Platone, l’uomo razionale che trasforma il mito in logos.
I secoli bui, che sembrano tornati purtroppo d’attualità, ci hanno portato ad associare l’Italia, e in particolare Napoli e il Sud, alla retorica querula e alla truce volgarità di un mondo sguaiato che vive di viscere.
Falso. Nessuna cosa è più napoletana dell’armonia.
Greca di spirito e razionale per segreta e atavica virtù Napoli, con il suo regno che è il Sud, è povera e sconfitta perché si è lasciata convincere che per essere moderni bisogna settentrionalizzarsi, ma è una superstizione
Affianco alla Napoli becera e talvolta spettrale ne esiste una che le altre corregge e sublima, la Napoli olimpica e apollinea.
Il rigore scientifico, il pensiero logico, la suprema armonia delle leggi matematiche e musicali che regolano ogni cosa sono meridionali più dei babbà e dei mandolini.
In De Crescenzo sciamano scienziato, uomo della tradizione e della modernità, c’è speranza senza retorica, futuro immune all’isteria.
Bisogna essere molto leggeri per non conoscere il legame persino esoterico che lega Napoli e il Sud al pensiero razionale e scientifico.
Ogni giorno leggiamo di giovani meridionali premiati nel mondo per le loro ricerche in medicina, ingegneria, chimica e in tutte quelle discipline dove servono rigore analitico e genialità creativa. Non è un caso.
De Crescenzo, epicureo pitagorico, lo sapeva benissimo quando ricordava : “Non credo nei luoghi comuni, sono di natura portato a sperare nell’evoluzione dell’uomo… Non ci rendiamo conto che la vera povertà è rappresentata dall’ignoranza” .
Senza moralismi e toni profetici, questo fatalista un po’ scettico insegnava il valore della cultura e della ragione. Queste per lui le virtù, se legate al socratico e tollerante dubbio, che per Napoli non solo erano forze antiche e amiche, ma capaci anche di dare armonia agli spiriti della città senza smarrirne umanità e bellezza.
La speranza di riscatto De Crescenzo però non la viveva con ansia, ma la sentiva bilanciata da un’aristocratica consapevolezza. Se Napoli con la sua tradizione può divenire moderna, è soprattutto la modernità ad avere bisogno della civiltà partenopea.
Napoli “guarirà, se proprio deve. Ma pure da malata continuerà a insegnare qualcosa al mondo”.
Tecnologia, numeri e ingranaggi con lancette ben calibrate rischiano di portare alla pazzia se non si comprende come sia sacro scambiarsi un sorriso mentre si prende un caffè.
L’antica città di Bellavista infatti nasconde un arcano. Dietro la vitalità, la prontezza e la veloce inventiva capace anche di drammatizzare per convincere e convincersi, Napoli ha una natura più profonda e misterica.
Nessuna anima come la sua sa fermare il tempo per comprenderlo e ricondurlo all’ umano. Napoli infatti rallenta, dilata, colora e riempire di odori, suoni e sapori gli attimi, distillandone un elisir fatato da cui basta un sorso per scorgere l’altra dimensione delle cose che scorrono; quella del segreto mondo in cui regnano gli Dei e gli archetipi perché Cronos è stato sconfitto da Zeus.
Ecco perché De Crescenzo amava filosofeggiare ” in questo mondo del progresso, in questo mondo pieno di missili e di bombe atomiche, io penso che Napoli sia ancora l’ultima speranza che ha l’umanità per sopravvivere.”
Così parlò Bellavista, mortalmente interpretato da De Crescenzo Luciano in arte filosofo umorista, scienziato alchimista, istrione e ma soprattutto sciamano e napoletano.