RUBRICA TERZO SETTORE E DINTORNI
Proseguiamo la nuova Rubrica di IQ con una doppia intervista, rispettivamente al Presidente ed al Direttore della “Fondazione Inclusione Salute (ISC) e Cura di Roma Litorale“ per vedere più da vicino un’ interessante trasformazione organizzativa di una Associazione come Anffas (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettive e/o Relazionali) onlus Ostia che a seguito dell’adeguamento alla Riforma del Terzo Settore, il 31 ottobre 2020 è diventata una Fondazione, Ente del Terzo settore.
Senz’altro c’è stato un cambio di denominazione ma come vedremo nelle interviste ai protagonisti di questa trasformazione è rimasto inalterato lo spirito che ha contraddistinto questa iniziativa dalla nascita per mano di un comitato di genitori guidato dalla Fondatrice Ilde Plateroti. Iniziamo pertanto da Lei la doppia intervista:
Presidente Plateroti cosa è cambiato, perché da associazione a Fondazione? Si è ampliato il raggio di azione: non soltanto disabilità ma anche malattie rare, degenerative ed oncologiche e la tutela delle persone anziane. Il cambio di denominazione può dirsi quindi una formalità se non un’occasione, attraverso l’organizzazione in Fondazione, di portare la nostra esperienza quarantennale a supporto anche di altre fragilità guardando al futuro e agli altri. Rimane intatto tutto ciò che eravamo, le persone e le famiglie continueranno a essere il perno delle attività e l’impulso delle stesse. Così come forte e imprescindibile sarà il legame con il nostro passato e soprattutto con i Partner che dal 2007 si sono legati indissolubilmente all’organizzazione, tra cui ricordo Scuole di ogni ordine e grado, Confassociazioni, partner Istituzionali, brand internazionali, artisti di fama nazionale e non, ma soprattutto le migliaia di Persone che hanno concorso a creare un polo di inclusione sul litorale della Capitale d’Italia, con un suo preciso carattere e modus operandi tenace e corretto distinguibile tra tutti.
Presidente Plateroti il cambio di organizzazione in Fondazione porta novità anche economiche, cosa è cambiato per Voi? La Fondazione ISC Roma Litorale è amministrata da un CDA eletto tra i fondatori e dipendenti e tra i delegati dell’APS ‘La Nostra’, associazione di promozione sociale che mantiene il filo indissolubile con il territorio dell’organizzazione, costituita da Persone e Famiglie con fragilità e Professionisti che hanno dato un contributo importante al settore Welfare. Le cariche di entrambi gli enti operano statutariamente in modo volontario e a titolo gratuito, mantenendo una caratteristica tipica sin dalla fondazione, non ci siamo modificati di una virgola anche se le nuove regole avrebbero consentito a noi genitori di persone fragili nel CDA, di poter maturare uno stipendio. Abbiamo cercato di riproporci in tal modo come uno dei più virtuosi sistemi di welfare, nel quale ogni risorsa è destinata alle Persone con fragilità in carico e al capitale umano. La squadra, con in testa il direttore generale Stefano Galloni e il direttore sanitario Francesco Cesarino, sarà ampliata affiancando ai validi professionisti attualmente in essere anche altre professionalità, che ci auguriamo sapranno fare della Fondazione ISC Roma Litorale un polo di carattere extraregionale esportabile. Un luogo di Inclusione, Salute e Cura che parte dalle Persone per ogni Persona. Il concetto di presa in carico globale è e continuerà a essere il faro della nostra mission”.
Possiamo chiederle Direttore Galloni come nasce e cosa rappresenta il rapporto con CONFASSOCIAZIONI? “Certamente con piacere, perché il rapporto con Confassociazioni ha segnato un punto di svolta, ha camminato di pari passo con la necessità di dare più risposte ai bisogni che prima non potevamo gestire. E’ stato evidente sin da subito come vi fossero valori di base sovrapponibili relativi ad ogni fragilità e in generale al sistema Welfare; il rapporto è nato e si è sviluppato poi attraverso un attento avvicinamento tra le parti e favorito dal pregresso rapporto con la Confederazione di alcuni nostri soci, professionisti e partner e in primis mio a livello personale. Ho avuto occasione quindi di conoscere ed apprezzare il Presidente e Fondatore nel 2013 della Confederazione Confassociazioni, dottor Angelo Deiana, manager e coach a 360 gradi, autore di molteplici libri stimolanti e formativi ed il Presidente di Confassociazioni Lazio Sardegna, ing. Franco Savastano.
Confesso che ha pesato anche il rapporto con l’attuale Presidente di Confassociazioni Terzo Settore, dottor Massimo De Meo, la cui vicinanza umana oltre che professionale ha giocato un ruolo fondamentale, per quella che è stata una scelta vitale che abbiamo deciso di fare, funzionale al cambiamento in termini organizzativi interni e normativi generali, conseguenti alla riforma del Terzo Settore promossa dal decreto legislativo 117/2017.
Siamo curiosi. Eravate e siete presenti nel panorama welfare da decenni, perché scegliere Confassociazioni piuttosto che altri aggregati che immaginiamo siano interessati ad un rapporto con la Fondazione?
Fattore principale che ci ha convinto è la totale libertà di potersi rapportare con chiunque, persona, azienda o rete e la volontà di porsi sempre in modo non conflittuale con gli altri ma proattivo, competente ed elegante, caratteristiche che il Presidente Angelo Deiana incarna e che ci hanno portato a fare quello che ormai potremmo definire come un passo naturale. Non a caso il nostro rapporto e la nostra idea di contributo a Confassociazioni nasce e si sviluppa dalla necessità e dall’utilità di sviluppare politiche congiunte, coinvolgendo tutti gli altri settori che Confassociazioni ha in sè, grazie ad una operatività e conoscibilità diversa da quella del mero Terzo Settore che già abbiamo. Fattore di diversificazione fondamentale che Confassociazioni può offrire rispetto a chiunque altro è, pacificamente, quello di poter veicolare i valori dell’ente aderente e il relativo know how fuori dal contesto tipico. E’ stato ed è per noi possibile dare luce alle politiche trasparenti di sviluppo, attività innovative a saldi invariati e anticicliche, che da anni mettiamo in atto rispetto a sistemi rispettabili ma per noi vetusti e prettamente assistenzialistici. Si sono aperte possibilità di giocare un ruolo ancor più da protagonisti anche nei rapporti istituzionali, nel welfare e nella sanità territoriale, che la Confederazione garantisce attraverso un sistema aperto ad ogni impulso.
Comprendiamo che siete entusiasti ma non vi preoccupa l’esperienza relativamente di breve periodo di Confassociazioni nel comparto Terzo Settore? Non è un rischio a livello manageriale? In realtà ci ha convinto anche questo. Abbiamo un macro aggregato che chiaramente garantisce una tutela per lo sviluppo delle politiche e della mission di Terzo Settore, fatto di oltre un milione di anime che lo compongono, in ogni settore della società civile, in ogni settore produttivo e delle professioni, probabilmente la massima espressione in Italia e che quindi per la sua stessa struttura garantisce l’inclusione tanto agognata al Terzo Settore”.
Quali sono in ambito sanitario le prossime sfide che vi preparate ad affrontare?Partiamo da un dato significativo e delicato: 900 bambini in lista di attesa per riabilitazione.
Come registrato dai dati della nostra Direzione Sanitaria, i casi di Adhd, (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività) BES (Bisogni Educativi Speciali) e DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento che coinvolgono l’abilità di lettura, di scrittura e di calcolo.) sigle per molti lettori, ma per noi rappresentano scoperte dolorose da parte delle famiglie che hanno bambini con sindromi di questo tipo, sono molto aumentati negli ultimi anni e questo ci chiama a un forte impegno per il futuro. Siamo da tempo in campo in collaborazione con la neuropsichiatria delle varie Asl, abbiamo in programma di stringere anche rapporti di partenariato con le associazioni di familiari più valide e impegnate esclusivamente su questa patologia, in parte già conosciute nel vincente “progetto holter”, per capire se e come migliorare il sistema di presa in carico. Un modello partecipato con le famiglie, alla stregua di quello che è stato il progetto sperimentale per l’autismo poi divenuto una best practice nel Lazio e non solo”. Come è stato per i disturbi generalizzati dello sviluppo, ci stiamo organizzando per dare risposte immediate con un progetto e risorse specifiche, se del caso anche sperimentali, in attesa di interventi specifici del sistema sanitario nazionale, che per come continua ad essere congegnato non può nell’immediatezza coordinare omogeneamente, regione per regione, le nuove sfide che si affacciano. Un secondo passo lo abbiamo già fatto insieme ad altri organismi di terzo settore e singole famiglie, supportando il progetto holter che ho citato, ideato dal Dott. Toni Lorenzo e reso operativo da una equipe multispecialistica tutta dell’Asl Roma 3, partendo dagli specialisti dell’Ospedale Grassi. L’holter è uno strumento che consente di effettuare diagnosi e rilevare dati anche per ADHD, fondamentali alla neuropsichiatria per poter agire con efficacia e indirizzare la rete dei servizi territoriali e scolastici che operano sul bambino. Un fiore all’occhiello del Municipio Roma X, i cui costi e risultati, sono replicabili in tutti i macro e micro distretti sanitari. Con poco meno di 25mila euro è possibile fare la differenza in termini di diagnosi precoci e corrette. Lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle per l’autismo, questo è il primo punto da cui partire”.
Tante politiche per l’età evolutiva e per l’inserimento lavorativo riprese anche in Europa e di cui vi chiederemo presto, ma permane un problema “durante e dopo di noi” per adulti e grandi adulti.
“La riabilitazione territoriale, così come l’assistenza domiciliare di natura sociale o i fondi per assistenza indiretta per le persone anziane e/o con disabilità, rappresentano i sostegni più comuni a disposizione in tutte le regioni d’Italia, al netto delle differenze e specificità tra un ente territoriale e l’altro, che il sistema porta in sé per come è congegnato. Supporti e sostegni però sistematicamente slegati tra loro e che si infrangono su risorse economiche non sovrapponibili al reale fabbisogno. Basti pensare che nella nostra Capitale, una donna con disabilità grave accertata ex art. 3.3 della L. 104/92, presa in carico dai servizi sociali per assistenza domiciliare, al raggiungimento dei 60 anni di età (65 per gli uomini) viene di fatto “deportata” dall’area disabili a quella anziani, per ragioni meramente burocratiche. A prescindere dal fatto che gli enti che operano su tale settore siano realmente specializzati anche sulle necessità delle persone con disabilità oltre che sulle fragilità tipiche dell’anziano, ma soprattutto in barba a qualsiasi diritto di scelta e continuità assistenziale.
Inoltre i tagli reiterati alla spesa sanitaria, terminati nelle regioni già in commissariamento da pochi mesi e perduranti in quelle ancora non risanate, evidenziano, almeno nel Centro Italia, difficoltà nella presa in carico della persona anziana nei servizi di assistenza territoriale (ad esempio per fisioterapia o logopedia post ictus o malattie degenerative), in quanto le risorse a disposizione sono necessariamente spacchettate e indirizzate, ragionevolmente, soprattutto sui più piccoli e dove previsto sui giovani adulti. Giovani adulti che dobbiamo ricordare spesso hanno pochissimi servizi sociosanitari, soprattutto una volta abbandonata l’età evolutiva nei territori in cui non sono presenti enti di livello, accreditati con il servizio sanitario regionale.
Ci sono risposte di breve periodo che potrebbero essere messe in atto? Ci può descrivere per esempio alcune che abbiamo trovate sul libro collettaneo di Confassociazioni Lazio e Sardegna “Risanare il Lazio facendo cose semplici” di cui è stato coautore.
E’ necessario da un lato standardizzare l’offerta dei servizi su tutta la penisola, volendo fare un esempio ed essere semplici, per far terminare proprio quelle “deportazioni” per ragioni di burocrazia di cui parlavamo e soprattutto attivare il budget personale di salute, sviluppato in progetti unici di vita che consentano realmente di comprendere come e quali risorse siano da destinare al singolo cittadino con disabilità e/o anziano, garantendo il diritto di scelta senza attendere sanzione dall’Unione Europea. Una misura operabile con la messa a dimora, per ogni ente locale e Asl, di una piattaforma informatizzata in cui far confluire dati sociali, sanitari e previdenziali di ogni persona con disabilità, anziana e non. Una manovra di medio e lungo periodo che può trovare risorse nelle nuove tecnologie per la vita e nei fondi attivabili anche attraverso il PNRR, tale da garantire risparmi e messa a disposizione di risorse, attraverso una formazione e aggiornamento degli operatori pubblici e privati. Ad oggi l’anziano con e senza disabilità è in situazione di protezione soltanto lì dove afferente ad enti e reti di terzo settore che intrattengono anche attivamente un dialogo con la pubblica amministrazione. Principalmente in quei casi dove non abbiano disabilità gravissime tali da rendere autorappresentazione e autodeterminazione difficilmente possibile in via diretta e soprattutto quando vivano in Regioni in cui l’ente territoriale abbia già costituito sistema e rete con i comuni per utilizzare alcune significative risorse messe a disposizione per il “dopo di noi”. La situazione è come di consueto ancor più difficile nelle Regioni del Sud Italia e in parte in quelle centrali, soprattutto nei piccoli comuni, dove i distretti sanitari fanno ciò che possono. Gravissima e da sanare nel breve periodo è la presa in carico degli adulti e degli anziani in cui la disabilità sia insorta non per nascita ma per evento acuto causato da malattie, incidenti e similari, dove spesso l’unica alternativa nei casi più gravi è la corsa ad un posto in una RSA, per la quale tipicamente la modalità, che abbiamo registrato essere quella più utilizzata, è quella del passa parola con conoscenti, amici e reti informali. Rete cui il familiare chiede come prima informazione se la Persona sarà trattata bene o male… fattore che la dice lunga sulla percezione della vicinanza del sistema welfare in questi casi. Situazione che porta a scartare peraltro anche le case per anziani che spesso sono, di fatto, prive di standard per prendere in carico a costi ragionevoli, persone che non deambulano. Si dovrebbe operare sugli standard minimi e interventi fiscali di natura deduttiva o comunque di detrazione per deflazionare la presenza di persone a reddito più alto, nelle strutture prettamente pubbliche, consentendo di fatto anche di rafforzare gli interventi che il sistema assicurativo e anche mutualistico stanno mettendo sul mercato, avendo compreso i bisogni della cittadinanza.