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La democrazia nell’orizzonte degli eventi.

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giovedì, Novembre 21, 2024

Cari e temutissimi lettori, sono stato chiamato in questa giovane famiglia per esprimere alcune considerazioni che scaturiscono dalla semplice osservazione del mondo in cui viviamo, della realtà che ci avvolge. Mi chiamo Lorenzo Maria Malara, la mia formazione, iniziata con gli studi umanistici, è proseguita nel campo del diritto conseguendo la laurea in Giurisprudenza. Da diversi anni svolgo la professione di avvocato che mi ha consentito di avere un contatto diretto e costante con le trasformazioni del contesto sociale e politico. La frequentazione degli uffici giudiziari mi permette un quotidiano confronto con persone ed istituzioni, ed è per me fonte di inesauribili esperienza ed apprendimento. Inizio questa mia nuova avventura confidando nella Vostra benevolenza.

LA DEMOCRAZIA NELL’ORIZZONTE DEGLI EVENTI

Trascorsa l’epoca degli Stati Nazionali, dei totalitarismi, delle guerre mondiali per il dominio geo-politico, archiviato anche il primo tentativo di globalizzazione – arrestato da un violento rigurgito di finanzocrazia valutaria, in un clima di assoluta confusione politica ed economica, soprattutto in ordine alle prospettive future -, la competizione internazionale ha posizionato gli stati con sistema di governo democratico in situazioni di inadeguatezza e deriva, in balia di una gestione totalmente emergenziale degli scenari politici in fase di radicale mutamento.
La democrazia come forma di governo è vissuta ormai, soprattutto in Italia, come un corpo galleggiante in balìa delle correnti sovranazionali ed internazionali, incapace di qualsivoglia pianificazione e programmazione sia politica, sia economica, ed ormai incapace di fornire risposte adeguate in termini di politica interna ed internazionale; in quest’ultimo ambito limitandosi all’adesione “suggerita” dalle alleanze in essere.
Siamo storicamente nel punto più lontano da quel “governo del popolo” che l’etimologia greca del termine attribuiva con mirabile sintesi alla partecipazione collettiva dei cittadini alle scelte politiche di uno Stato.
La questione assume, in realtà, un rilievo più generale ed ha origini non recenti connesse alla nascita degli “Stati di diritto” che caratterizzano una parte delle singole espressioni politico-istituzionali dei Paesi prevalentemente occidentali. In particolare per le moderne democrazie un breve excursus sulla loro nascita e formazione fornisce indicazioni utili a comprendere quanto attualmente accade

Lo Stato di diritto. I diritti riconosciuti dalle prime formazioni ed i riferimenti nella nostra Costituzione.
Il degrado dei meccanismi di partecipazione alle scelte politiche ed istituzionali degli stati si era già andato delineando dal momento successivo alla creazione degli stati liberali, formatisi in accoglimento delle istanze libertarie propagate dai moti rivoluzionari che avevano incendiato il continente europeo con la rivoluzione francese, ed anticipati nel continente americano con i moti di indipendenza.
I falliti tentativi di restaurazione delle ormai consumate aristocrazie, avevano spinto gli Stati di nuova formazione alla creazione dello “Stato di diritto” ovvero di un modello di Stato che si dotava di una costituzione (principi fondamentali e struttura legislativa, amministrativa e giudiziaria) e di leggi volute dal popolo che vedevano il riconoscimento assoluto e la centralità dei diritti dei cittadini anche rispetto agli stessi apparati statali. Questi ultimi nel loro funzionamento e nella esplicazione del loro potere erano strettamente vincolati ed assoggettati alle disposizioni normative e costituivano essi stessi nelle loro emanazioni istituzionali la garanzia della rigorosa, imparziale e costante applicazione delle “regole” poste a fondamento dello Stato di diritto.
Un meccanismo apparentemente corretto, formalmente ineccepibile, basato su meccanismi normativi aderenti a logiche matematiche, tali da suscitare l’universale approvazione per la loro equanimità.
Da questo punto di partenza, la concezione di democrazia prevedeva una effettiva partecipazione di tutti gli individui alle scelte politiche e garantiva alla collettività, intesa come l’insieme delle singole posizioni giuridiche attive e passive, pari dignità ed un riscontro diretto con i valori declinati nella Carta Costituzionale.
Il preambolo della Costituzione degli Stati Uniti d’America così definisce le intenzioni e le volontà trasfuse dai Padri fondatori nella creazione della Carta dei diritti fondamentali: “Noi, il popolo degli Stati Uniti, al fine di perfezionare la nostra Unione, garantire la giustizia, assicurare la tranquillità all’interno, provvedere alla difesa comune, promuovere il benessere generale, salvaguardare per noi e per i nostri posteri il bene della libertà, ordiniamo e stabiliamo questa Costituzione per gli Stati Uniti d’America.”

Scena della firma della Costituzione degli Stati Uniti-dipinto di Howard Chandler Christy.

La Costituzione Francese del 26 agosto 1789 è di manifesta ispirazione a quella degli Stati Uniti del 15 settembre 1787. Vale la pena riportarne i contenuti del preambolo e dei primi 4 articoli:

“I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del potere legislativo e quelli del potere esecutivo dal poter essere in ogni istanza paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati da ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:
Art. 1. Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.
Art. 2. Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.
Art. 3. Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani direttamente da essa.
Art. 4. La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla legge.”

La vigente Costituzione Francese così identifica in Francia lo Stato di Diritto:
“Il Popolo francese proclama solennemente la sua fedeltà ai diritti dell’uomo e ai principi della sovranità nazionale definiti dalla Dichiarazione del 1789, confermata ed integrata dal preambolo della Costituzione del 1946, e ai diritti e doveri definiti nella Carta dell’ambiente del 2004.
Sulla base di questi principi e di quello della libera determinazione dei popoli, la Repubblica offre ai territori d’oltremare che manifestano la volontà di aderirvi nuove istituzioni fondate sull’ideale comune di libertà, di eguaglianza e di fraternità e concepite ai fini della loro evoluzione democratica.
ARTICOLO 1. La Francia è una repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale. Essa assicura l’eguaglianza dinanzi alla legge a tutti i cittadini senza distinzione di origine, di razza o di religione. Essa rispetta tutte le convinzioni religiose e filosofiche. La sua organizzazione è decentrata.”

“Libertà che guida il popolo”-dipinto di Eugène Delacroix.

La legge fondamentale della Repubblica Federale di Germania (la Germania non ha adottato una Carta Costituzionale, ma una “Legge fondamentale” o Grundgesetz) stabilisce che:

Preambolo

Consapevole della propria responsabilità dinanzi a Dio e agli uomini, animato dalla volontà di servire la pace nel mondo quale membro dotato di pari diritti in un’Europa unita, il popolo tedesco ha adottato, in forza del suo potere costituente, la presente Legge fondamentale.
La presente Legge fondamentale è perciò valida per l’intero popolo tedesco.

1.Dignità dell’uomo – Diritti dell’uomo –
Vincolatività giuridica dei diritti fondamentali.

  1. La dignità dell’uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale
    rispettarla e proteggerla.
  2. Il popolo tedesco riconosce quindi gli inviolabili e inalienabili diritti dell’uomo come fondamento di qualsiasi comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo.
  3. I seguenti diritti fondamentali vincolano la legislazione, il potere esecutivo e la giurisdizione come diritti immediatamente applicabili. [comma 3] modificato dalla Legge integrativa del 19 marzo 1956, I 111

2. Diritti concernenti la libertà personale.

  1. Ognuno ha diritto al libero sviluppo della propria personalità, in quanto non violi i diritti degli altri e non trasgredisca l’ordinamento costituzionale o la legge morale.
  2. Ognuno ha diritto alla vita e all’integrità fisica. La libertà della persona è inviolabile. A questi diritti possono essere recate limitazioni soltanto in base ad una legge.

3. Uguaglianza davanti alla legge.

  1. Tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge.
  2. Gli uomini e le donne sono equiparati nei loro diritti. Lo Stato promuove la effettiva attuazione della equiparazione di donne e uomini e agisce per l’eliminazione delle situazioni esistenti di svantaggio.
  3. Nessuno può essere discriminato o favorito per il suo sesso, per la sua nascita, per la sua razza, per la sua lingua, per la sua nazionalità o provenienza, per la sua fede, per le sue opinioni religiose o politiche. Nessuno può essere discriminato a causa di un suo handicap.

La Costituzione Italiana definisce nel primo articolo la forma politica con la quale si esplica la sovranità, che appartiene al popolo, dichiarando che l’elemento di appartenenza ed il fondamento della coesione sociale (fratellanza) è individuato nel lavoro. Il lavoro costituisce l’elemento che unisce, con pari dignità e piena uguaglianza formale e sostanziale (artt. 3 e 4), i cittadini dello Stato, nell’esplicazione della libertà agli stessi riconosciuta nell’ambito dell’ordinamento giuridico. I cittadini hanno l’obbligo, dal canto loro, di contribuire al progresso materiale o spirituale della società, ciascuno secondo le proprie possibilità. I diritti ed i doveri del cittadino vengono poi enunciati negli articoli dal 13 al 54 costituenti la parte prima della nostra Carta costituzionale.
Come si evince da questi quattro esempi di legislazione costitutiva degli Stati di diritto, potremmo riassumere il cuore del concetto di Stato di diritto quella formazione sociale, territoriale e politica che poggia il fondamento della propria esistenza sul riconoscimento dei valori fondamentali di libertà, uguaglianza ed appartenenza (fratellanza) del proprio popolo.
Emerge con evidenza che promotore ed allo stesso tempo destinatario delle scelte e dei contenuti delle diverse Costituzioni prese in esame è il Popolo; un’entità, questa, la cui definizione da un lato richiama direttamente quei principi di uguaglianza, libertà e fratellanza, da un altro sembra stemperare già nella sua espressione il concetto di democrazia intesa come attività di partecipazione alle scelte politiche, attività che invece viene enfatizzata nella individuazione del cittadino elettore o del cittadino promotore.

La definizione di popolo, di cittadino e di elettore.
Nell’ambito dello Stato di diritto i cittadini sono i destinatari diretti delle norme costitutive dell’organismo statale. Sembrerebbe sufficiente allora definire lo Stato come l’insieme dei cittadini che ne fanno parte; ma possiamo ritenere valida questa equazione matematica?
Lo Stato definisce i cittadini ed i cittadini a loro volta definiscono uno Stato?
La risposta è negativa. Per definire uno Stato non è sufficiente l’elemento personale (concetto di popolo e non di cittadinanza come vedremo infra) ma sono necessari altri elementi come quello territoriale e quello degli organi istituzionali che ne caratterizzano la sovranità ed il funzionamento.
Negli Stati di diritto democratici, la democrazia è individuata come la forma politica della partecipazione dei cittadini al governo ed alla sovranità dello Stato che si realizza con le forme previste dall’ordinamento.
Nello specifico caso italiano, l’articolo 1 della Costituzione attribuisce la sovranità al popolo, quasi che questo possa costituire un Ente giuridico inteso come Stato-comunità differenziato dall’Ente statale inteso come Stato-apparato.
Non ci addentreremo nel dibattito dottrinale, ci basti qui considerare che le esigenze di coerenza sistemica hanno necessariamente dovuto distinguere tra l’elemento personale e l’elemento dell’apparato istituzionale, lasciando a quest’ultimo il potere di esercizio della sovranità inteso come attività di funzionamento dello Stato all’interno ed all’esterno di esso, ed attribuendo al popolo la scelta sui contenuti politici ed istituzionali esercitata mediante l’attività elettorale espressa dai cittadini.
Occorre anche evidenziare che non abbiamo una definizione di popolo nella nostra Costituzione, ma un riferimento ai cittadini quali destinatari dei diritti e dei doveri declinati nella Carta Costituzionale e che vengono individuati nella manifestazione delle scelte democratiche dall’art. 48 come elettori.
Il diritto elettorale al voto spetta, quindi, a tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età. Tale diritto viene considerato un dovere civico.
Sembrerebbe quindi evidente una certa omogeneità tra la definizione di popolo, quella di cittadini e quella di elettori, quasi una sovrapponibilità tra i concetti.
Il concetto di popolo, però, delinea riferimenti diversi rispetto agli altri due. Elettori e cittadini si rapportano tra loro come specie a genere: elettori sono soltanto i cittadini di maggiore età; cittadini sono tutti coloro che acquisiscono lo status della cittadinanza (appartenenza allo Stato) che ne definisce la posizione all’interno dell’ordinamento sociale.
Il popolo è costituito dall’insieme dei cittadini che compongono uno Stato. Ci si riferisce al popolo come titolare della sovranità (art. 1 Costituzione) come vertice di riferimento al quale si collega direttamente il territorio e la forma di ordinamento (Repubblica), l’emanazione della volontà costituente referendaria nelle cui mani è affidata l’intera esistenza dello Stato italiano.
Ci si riferisce ai cittadini in quanto individui destinatari dei diritti e dei doveri declinati nella Carta costituzionale, nel loro pieno riconoscimento giuridico all’interno dell’ordinamento: cittadini sono anche coloro che ricoprono cariche istituzionali, di governo e/o espressione dei tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), tutti chiamati al rispetto delle disposizioni dell’ordinamento secondo i principi delle responsabilità previste; cittadini sono anche coloro che vivono in uno stato estero, ma detengono lo status dato dalla cittadinanza.

I principi della democrazia. La democrazia inclusiva.
Nello Stato così concepito, la democrazia si manifesta secondo in ordine ai diritti riconosciuti ai cittadini di uno Stato e in ordine alle possibilità di partecipazione alla vita politico-istituzionale previste dall’ordinamento giuridico nelle norme codificate.
In particolare, l’estrinsecazione della democrazia nello Stato italiano si manifesta con l’esercizio dei diritti civili e dei diritti politici attribuiti ai cittadini nelle forme previste dalla stessa Costituzione.
L’esercizio dei diritti è consentito sia agli individui, come espressione delle singole posizioni giuridiche, sia alle loro forme associative con la concessione della possibilità di operare, in particolare con l’espressione dei diritti politici, le scelte di indirizzo e di governo dello Stato, tanto per quello che riguarda il governo interno allo stesso, tanto per quello che concerne i rapporti con gli altri Stati o con le entità sovranazionali.
In senso assoluto sembrerebbe, quindi, che la partecipazione politica e la possibilità di esprimere un proprio indirizzo alle scelte politiche e governative, goda di una libertà assoluta e di nessuna limitazione, se non quella di garantire comunque, nella propria scelta, il rispetto di tutti i diritti codificati concessi agli altri cittadini in sede costituzionale e delle norme poste a garanzia del funzionamento dello stesso Stato.
Lo Stato democratico così concepito sarebbe quindi in grado di garantire, a tutti i suoi appartenenti, la capacità e la possibilità di effettuare le scelte di politica e di governo rendendoli pienamente e direttamente partecipi della vita politica dello Stato.
Ormai da tempo, però, gli stati di diritto ed in particolare l’Italia hanno maturato la piena esperienza del totale distacco tra le scelte politiche e governative operate sia a livello interno che a livello internazionale dalle effettive scelte e dalla volontà dei cittadini elettori.
I diritti ed i doveri riconosciuti nell’ordinamento hanno certamente carattere generale, ma destinatari diretti sono i singoli individui intesi come cittadini e titolari di posizioni giuridiche soggettive e/o di interessi legittimi, il cui valore è pienamente riconosciuto nella carta costituzionale con una specifica scala di rilevanza declinata nella stessa Costituzione.
Quello a cui stiamo assistendo nel nuovo millennio, e che si era affacciato a partire dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale, è uno schiacciamento e livellamento verso il basso, progressivo ed inesorabile, di tutti i diritti e le garanzie costituzionali direttamente collegate all’individuo, in nome di presunti e pretesi diritti ed interessi generali e astratti appartenenti non più ai cittadini o al popolo, ma ai popoli ed in generale all’umanità, ed in nome dei quali i diritti dei singoli sono destinati a soccombere secondo il principio a tutti ben noto ubi maior, minor cessat.
Tuttavia la progressiva applicazione di questa capitis deminutio a carico dei cittadini, se da un lato viene propinata come tutela di interessi superiori e generali, da un altro lato non qualifica, in senso assoluto, la prevalenza del principio o dell’autorità sui diritti costituzionali, in virtù della quale viene compiuta questa progressiva erosione.
Abbiamo infatti visto che, in particolare nel sistema giuridico italiano, il popolo è allo stesso tempo principio dell’ordinamento giuridico e sovrano rispetto all’espressione politica repubblicana. Principio generato dalla volontà referendaria espressa dallo stesso popolo che ha declinato la propria forma di democrazia nella Carta Costituzionale.
Nella situazione italiana l’art. 11 della Costituzione introduce un’apertura attraverso la quale si è agito direttamente e contemporaneamente sulla sovranità nazionale e sui diritti riconosciuti ai cittadini.
Stabilisce infatti l’art. 11 che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolta a tale scopo.”
Già a partire dall’adesione alla NATO avvenuta con la sottoscrizione del trattato il 4 aprile 1949 e successivamente con l’adesione ai trattati CEE, CECA ed EURATOM il concetto di sovranità ha dapprima incominciato ad alleggerire il proprio peso sullo scacchiere internazionale e, successivamente, ha iniziato ad operare e livellare la sovranità del popolo agendo anche sulle norme di diritto interno, fino ad un totale asservimento delle necessità e delle esigenze interne alla disciplina delle norme comunitarie. Un processo, questo, al quale ultimamente stiamo assistendo in forma sempre più stringente ed incisiva.
Diritti direttamente costituzionalmente garantiti nell’adozione dei principi costituzionali, quali la proprietà, la famiglia, l’istruzione e persino il lavoro, – che nel nostro ordinamento costituisce il basamento di fondazione dell’intera Repubblica – sono trasmigrati dalla sovranità del popolo alle sovranità di alcuni popoli declinate dalle Istituzioni comunitarie sulla base del peso politico ed economico dei Paesi che ne fanno parte e che riescono maggiormente ad imporre le loro scelte ed i loro indirizzi.
I presunti meccanismi di integrazione dello Stato Italiano nella comunità internazionale, enunciati come volontà di cooperazione e di collaborazione e finalizzati ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni, si muovono oggi in scenari di guerra e di asservimento ai poteri delle lobby finanziarie transnazionali alle quali la politica ha da tempo ceduto le chiavi di accesso al governo dei popoli.
In questo tipo di sistema il concetto di democrazia è stato svuotato dal di dentro e galleggia, come in un buco nero, nell’orizzonte degli eventi in attesa di collassare su se stesso sotto l’azione di forze distruttive.
Anche se formalmente i cittadini sono invitati ad esprimersi sulle scelte politiche, sociali e governative, ed anche nell’esercizio dell’azione referendaria concessa come diretta espressione del popolo sovrano, la recente storia ci ha dimostrato con i fatti che i governanti possono facilmente, e apparentemente senza conseguenza alcuna, indirizzare il timone in direzioni diverse e spesse volte contrarie a quelle indicate dalla partecipazione democratica dei cittadini alla politica e al governo dello Stato.
Questa situazione di fatto ha creato un ulteriore scollamento all’interno dei “sistemi democratici” tra i governanti e i governati, il cui effetto è costituito da una disgregazione sociale che mette in luce tutte le disparità che si sono ormai consolidate a carico di una cittadinanza tagliata fuori dalle scelte politiche e governative, e che subisce in forma del tutto passiva e con resistenza le imposizioni che provengono da una classe governativa privilegiata.
La deformazione della democrazia operata in tal senso ha creato una diretta spaccatura in quei principi di libertà, uguaglianza ed appartenenza (fratellanza) che erano stati assorbiti dalle costituzioni dei moderni Stati di diritto, e che si stanno dissolvendo con il dissolversi dei diritti costituzionali garantiti ai singoli individui all’interno degli Stati.
Si è tentato di approdare, alla fine del millennio, ad una nuova concezione di democrazia, per di arginare le disfunzioni e le inadeguatezze rilevate nei sistemi democratici connessi allo Stato di diritto, introducendo il concetto di democrazia inclusiva, ovvero con la teorizzazione di un sistema politico-economico di carattere socialista libertario, modellato su una forma di economia pianificata e di carattere mutualistico, in grado di garantire l’esercizio di una democrazia diretta di stampo Ateniese.
Una sorta di ritorno alle origini, con l’aggiunta di temi di politiche sociali che includono una specifica attenzione alla ecologia e al rapporto delle società moderne con lo sfruttamento delle risorse naturali fondato su criteri di compatibilità e sostenibilità.
Tale tesi teorizzata dall’economista-filosofo greco Takis Fotopoulos alla fine del millennio scorso non ha trovato concretamente fortuna, e non si è tradotta in modelli politici economici che abbiano potuto dimostrare in concreto la fattibilità di tale sistema.
Piuttosto occorre considerare che, nel corso dello sversamento delle varie identità politiche ed economiche nazionali nella piscina entropica della globalizzazione, la globalizzazione stessa ha improvvisamente fallito nel momento in cui ha cercato di completare il proprio percorso, cedendo sotto i colpi delle problematiche connesse ai decentramenti produttivi, ai temi dell’ecologia e al governo dei mercati finanziari, selvaggiamente gestito da gruppi di potere transnazionali fortemente allergici a subire un inquadramento politico e normativo dotato di regole certe e trasparenti.
Lo scenario in cui ci troviamo attualmente è quello di un complesso di Stati e di sistemi che ancora ambiscono a definirsi democratici, e che stanno dimostrando, in una situazione in cui è necessario un radicale cambio di rotta e una capacità di pianificazione e di governo di lungo periodo, tutta la loro inadeguatezza ad affrontare le crescenti emergenze che sollecitano in diversa misura i singoli Stati e che non riescono a trovare alcuna valida risposta né sotto il profilo del Governo Nazionale né, e tanto meno, con l’intervento degli organismi e delle entità sovranazionali.
E proprio questi ultimi hanno di fatto congelato e pietrificato le democrazie (in particolar modo quelle occidentali).
Lo stesso organismo dell’ONU, che si proponeva essere un’organizzazione intergovernativa avente come obiettivo il mantenimento della pace e della sicurezza tra le Nazioni e lo sviluppo di relazioni di cooperazione internazionale e di sviluppo, ha conseguito dalla fine del millennio scorso ad oggi una serie di disastrosi fallimenti, e manifestato evidenti contraddittorietà con i propri compiti istituzionali, tali da mettere in discussione il significato dell’appartenenza a tale organizzazione da parte dei singoli Stati.
Così anche le organizzazioni a noi più vicine come quella della Comunità Europea, in grado di elargire “innovative” e bislacche disposizioni agli Stati ad essa aderenti, prive di ogni tipo di collegamento e di riferimento storico e socioculturale ai popoli destinatari, senza affrontare in alcun modo temi emergenziali di attualità ed urgenza ha manifestato tutti i propri limiti.
(Basti pensare alle previsioni normative di efficientamento energetico degli edifici delle quali l’Italia, detentrice di una percentuale compresa tra il 60% ed il 75% del patrimonio artistico mondiale, sarebbe destinataria).
Al cambio dei “valori” intesi come diritti costituzionalmente garantiti, i diritti persi, compressi e sacrificati negli ordinamenti statali in favore ed in nome degli interessi sovranazionali, dei quali i predetti enti si sono proclamati promotori e latori, hanno costituito uno scambio iniquo paragonabile al baratto dell’oro degli Inca proposto dai conquistadores spagnoli.
Le percentuali di affluenza ai seggi nelle tornate elettorale in piena caduta libera, per le varie tipologie di elezioni, forniscono un quadro chiaro anche a chi la realtà non vuole considerarla.
Il cittadino si sente ormai abbandonato dal proprio Stato, in balia di problemi concreti della normale vita di tutti i giorni che restano irrisolti e alla cui soluzione lo Stato dovrebbe provvedere per compito istituzionale, in balia del totale disservizio amministrativo, della totale mancanza di incisività e concretezza della politica, della totale abdicazione dello Stato alla funzione giudiziaria. Si rileva infatti, sia nel settore penale sia in quello civile in cui i problemi di carattere sociale e interpersonale sono lasciati alla bonaria composizione dei singoli ed a soluzioni lasciate alla buona volontà delle parti in causa, che lo Stato ha rinunciato a rendere effettive quelle norme così copiosamente e dettagliatamente codificate, contribuendo così a diffondere ed alimentare i conflitti sociali.
In questa situazione non soltanto non è ipotizzabile alcuna partecipazione dell’individuo alle scelte politiche e governative dello Stato, ma è da rilevare che la sistematica violazione dei diritti costituzionalmente codificati viene vissuta dai cittadini come un’aggressione da parte dello Stato nei confronti degli individui.
Il rischio è che la percezione diffusa di questa rivalità tra Stato e cittadino, o ancor meglio tra norme sovranazionali imposte e diritti costituzionali compressi in danno dei cittadini dei singoli Stati, possa alimentare una contrapposizione vera tra l’elemento personale che costituisce lo Stato ovvero il popolo e l’apparato governativo istituzionale che lo guida.
Un conflitto di tale portata sarebbe in grado di disgregare dalle sue fondamenta lo Stato di diritto e sovvertire l’ordine costituito.

Ne cogliamo attualmente i segnali, ed auspichiamo una inversione di tendenza che possa scongiurare (come purtroppo la storia ci ha già insegnato in diverse occasioni), la svolta autoritativa che costituisce l’ineluttabile esito di un protratto immobilismo e di una protratta agonia istituzionale.

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3 COMMENTS

  1. Non posso che essere d’accordo con la lucida e accorta descrizione dello stato attuale politico e sociale dell’Italia, dell’Europa e delle democrazie occidentali.

  2. Lorenzo complimenti per il contenuto eccellente del tuo articolo. Ottime osservazioni che fanno riflettere molto.

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