La sera del 26 settembre 1983 il tenente colonnello Stanislav Evgrafovic Petrov si trovava nella propria abitazione, quando arrivò una telefonata dal comando in cui gli si chiedeva di sostituire un suo collega che si era ammalato.
Il servizio consisteva nell’assumere il comando del turno di sorveglianza presso il Centro di Comando nucleare nel bunker Serpukhov 15, nei pressi di Mosca. All’interno del bunker si trovavano i monitor ed i rilevatori collegati al sistema satellitare di sorveglianza dei siti missilistici degli Stati Uniti d’America. Il compito dei satelliti “spia” era quello di verificare e tenere sotto controllo l’attività di tali siti e segnalare ogni possibile attività, onde prevenire qualsiasi mossa connessa ad iniziative militari e/o attacchi nucleari verso l’Unione Sovietica.
Il tenente colonnello Petrov dirigeva il Gruppo di Alta qualificazione dell’unità, e due volte al mese doveva effettuare il servizio operativo.
Quella sera, però, era convocato in sostituzione del responsabile del turno.
Alle ore 00.14 (ora di Mosca) il sistema satellitare diede l’allarme segnalando il lancio di un missile balistico intercontinentale USAF Minuteman, dotato di testata nucleare, dalla base di Malmstrom in Montana, la cui traiettoria era diretta sul territorio sovietico.
Petrov inizialmente dubitò della segnalazione, in quanto un attacco costituito da un unico missile non corrispondeva ad un possibile scenario di aggressione; pertanto inizialmente non fu diramato alcuna allarme alle autorità superiori.
Tuttavia il sistema satellitare segnalò, a distanza di pochi minuti, altri quattro lanci di missili balistici intercontinentali dotati di testate nucleari, per un totale di cinque missili lanciati ed in viaggio verso l’Unione Sovietica.
OKO
Il sistema satellitare di sorveglianza del governo sovietico era affidato al sistema OKO (in russo “occhio”), basato su una rete di satelliti distribuiti in orbite Molnija e geosincrona.
L’orbita Molnija (termine che in russo significa “lampo”) è un particolare tipo di orbita definita “altamente ellittica”, con un periodo orbitale di 12 ore, e con periodo da perigeo +2 a perigeo +10 per trasmettere nell’emisfero nord.
L’orbita geosincrona è un’orbita sincrona con quella della Terra, caratterizzata da un periodo orbitale che è pari al giorno siderale.
Lo sviluppo del sistema OKO iniziò nei primi anni ‘70 ed il primo satellite che ne fece parte viene identificato come Cosmos 520, lanciato il 19 settembre 1972. Furono poi effettuate diverse missioni “Cosmos” che andarono a comporre la rete di satelliti di sorveglianza del sistema OKO, che divenne operativo ed entrò in funzione nel 1982.
OKO era in grado di individuare il lancio di missili balistici attraverso la rilevazione a raggi infrarossi dei gas di scarico dei loro motori, collegando poi la rilevazione codificata a sistemi antimissile progettati per l’intercettazione e la distruzione dei missili balistici nella loro fase discendente.
La gran parte dei satelliti che componeva il sistema, ovvero 86 satelliti su 101, erano satelliti di prima generazione modello US-K operanti su orbite Molnija. I satelliti erano di forma cilindrica di circa 2 metri di altezza e 1,7 di diametro e del peso di 1250 kg. La strumentazione era alimentata da energia solare fornita da pannelli in grado di sviluppare 2,8 KW. Le strumentazioni in dotazione erano essenzialmente costituite da telescopi (tra cui uno ad infrarossi ed altri più piccoli) puntati verso la Terra ed in grado di fornire visione ampia e dettagliata delle zone di territorio.
Il sistema OKO aveva due centrali di controllo a terra, la centrale occidentale si trovava nel bunker Serpukhov-15, collocato vicino al villaggio di Kurilovo alla periferia di Mosca, mentre quello orientale era collocato nel bunker Pivan-1 vicino alla città di Komsomol’sk-na-Amure nel territorio di Chabarovsk sulle rive del fiume Amur nella parte della Russia orientale.
Dal 2015 il sistema OKO fu progressivamente integrato e sostituito dal nuovo sistema EKS (Edinaya Kosmicheskaya Sistema) o “Sistema Spaziale Unificato”, avente le stesse caratteristiche, ma dotato di adeguamenti ed aggiornamenti tecnologici, oltre che da satelliti di nuova generazione.
I segnali di allarme
Il protocollo relativo alle decisioni da adottare, in caso di attacco esterno con missili balistici intercontinentali, era quello di rispondere con un contrattacco nucleare su vasta scala nel territorio degli Stati Uniti d’America, secondo la strategia MAD (Mutual Assured Destruction), che costituiva un deterrente assoluto, implicando la distruzione di tutti i contendenti. La strategia MAD prevedeva che in risposta sarebbero dovuti partire missili balistici sufficienti a distruggere obiettivi strategici in Inghilterra, Francia, Germania Ovest e Stati Uniti.
Il primo segnale di allarme comunicò il lancio di un missile dalla base di Malmstrom in Montana. Dopo questo primo allarme, il Tenente Colonnello Petrov ritenne di non avvisare i superiori della segnalazione interpretando la segnalazione come un errore del sistema. I successivi quattro allarmi segnalarono altrettanti missili lanciati sempre verso il territorio dell’Unione Sovietica.
Petrov, però, anche in questo frangente valutò che l’attacco con soli cinque missili non potesse essere compatibile rispetto alla dotazione degli Stati Uniti ed allo scenario di un attacco nucleare contro obiettivi strategici.
Avviate, quindi, le analisi di riscontro con gli altri mezzi di informazione terrestri, il Tenente Colonnello Petrov non trovò altre segnalazioni di riscontro di un attacco missilistico su territorio russo.
Il satellite segnalava il lancio del missile, ma lo schermo radar non confermava la sua presenza nello spazio aereo.
La situazione da accertare era anche complicata dal fatto che mentre a Mosca era notte, sulla costa occidentale americana era giorno e il sito di lancio del missile si trovava proprio sulla linea di divisione tra la notte e il giorno, rendendo l’individuazione e la visione dei missili ancora più difficile.
Petrov decise comunque inizialmente di considerare le segnalazioni come frutto di una serie di errori.
Tuttavia i trenta controlli effettuati tramite computer per verificare se effettivamente i missili fossero in volo, fornivano un univoco riscontro positivo, confermando l’attacco missilistico statunitense.
Petrov avrebbe dovuto avvertire i superiori ed innescare i lanci di missili nucleari secondo i protocolli di attuazione della strategia MAD.
A quel punto, però, quale che fosse la situazione, anche gli Stati Uniti avrebbero dato fondo al proprio arsenale nucleare per una completa controffensiva nei confronti dell’Unione Sovietica, scatenando un’escalation di attacchi missilistici dai quali non si sarebbe più potuti tornare indietro.
Era letteralmente lo scenario della fine del mondo che conosciamo, con conseguenze drammatiche e definitive per l’intero pianeta.
Fu il consapevole pensiero di innescare una totale e definitiva guerra termonucleare ad indurre Petrov ad assumersi il rischio di non comunicare gli allarmi ed i riscontri ai propri superiori.
Peraltro, secondo i protocolli di comando sovietici non sarebbe stata una sola persona ad assumere la decisione di un attacco nucleare, ma una macchina, nel caso di specie un computer appositamente programmato.
Il tema della decisione di un attacco nucleare era stata discussa dai vertici militari e scientifici, ed era stato stabilito che non fosse prudente ed opportuno lasciare la decisione relativa ad un attacco nucleare in capo ad una singola persona. Il rischio sarebbero state le interferenze costituite dalle debolezze umane, le incertezze, i tentennamenti, gli stati umorali, le reazioni alla pressione psicologica e via dicendo.
La macchina, invece, era in grado di garantire l’assoluta applicazione matematica delle decisioni dettate dalle circostanze, senza alcuna possibilità di deviazione o di rimorso: la fredda decisione operativa e la sua piena attuazione.
Gli analisti del settore avevano stimato che nella prima risposta ad un attacco nucleare statunitense, la controffensiva sovietica avrebbe distrutto tutti gli obiettivi strategici ed eliminato almeno metà della popolazione. La successiva risposta degli Stati Uniti, avrebbe ugualmente distrutto tutti gli obiettivi strategici ed eliminato metà della popolazione russa. Successivamente, il volume degli attacchi nucleari avrebbe di fatto eliminato la vita dapprima dai due Stati e dai due continenti, e successivamente -a causa di diversi effetti direttamente ed indirettamente connessi alle deflagrazioni nucleari, alla diffusione della radioattività ed alla incidenza climatica ed atmosferica- avrebbe estinto la vita umana sul nostro pianeta.
La decisione assunta in quella manciata di minuti avrebbe deciso il destino dell’intero pianeta.
Il clima politico e la decisione di Petrov
Il clima politico del 1983 era un clima di gravi tensioni a livello internazionale.
Il clima di tentata distensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica era cambiato sotto l’amministrazione Reagan, ed iniziava una nuova corsa al riarmo ed alla guerra fredda.
Stavolta il tavolo dello scontro ideologico e geopolitico era dominato dalla propaganda, dalla guerra psicologica, dallo spionaggio e dall’uso degli strumenti di pressione commerciale e finanziaria, quali ad esempio l’embargo.
Le riforme liberali della Russia di Gorbacev, note come glasnost e perestrojka, di fatto avvicinavano il modello russo alle democrazie occidentali.
Tuttavia il nuovo corso della presidenza Reagan voleva da un lato riaffermare la supremazia degli Stati Uniti d’America nel panorama geopolitico mondiale, da un altro lato mantenere la netta distinzione tra il comunismo russo e le democrazie occidentali, rifiutando il processo di riavvicinamento.
Il terreno di scontro si era manifestato principalmente in Afganistan, dove i russi si trovavano impegnati ad assumere il controllo del Paese, e gli americani si trovavano a contrastarli appoggiando i movimenti islamici e musulmani ed addestrando milizie per combatterli.
In un discorso pronunciato l’8 marzo 1983 davanti all’Associazione Evangelica Nazionale ad Orlando, in Florida, il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan definì l’Unione Sovietica come “Evil Empire”, l’Impero del Male.
Riportiamo un passaggio del discorso del Presidente:
“In your discussion of the nuclear freeze proposal, I urge you to beware the temptation of pride, the temptation of blithely declaring yourselves above it and label both sides equally at fault, to ignore the facts of history and the aggressive impulses of an evil empire, to simply call the arms race a giant misunderstanding and thereby remove yourself from the struggle between right and wrong and good and evil.”
Un episodio recentissimo, rispetto alla nostra vicenda, aveva ulteriormente inquinato i rapporti tra i due Paesi: in data 01 settembre 1983 il volo Korean Air Lines 007 del Boeing 747, che copriva la tratta da New York a Seul passando per Anchorage, era stato intercettato dai caccia Su-15TM Flagon F dell’aeronautica russa nello spazio aereo della penisola del Kamcatka ed abbattuto con due missili AA-3 Anab nei pressi dell’isola di Moneron.
Nell’abbattimento morirono tutti i 269 occupanti di cui 29 membri dell’equipaggio e 240 passeggeri.
Le successive inchieste appurarono che il volo Kal 007 aveva violato lo spazio aereo russo, stabilendo che tale violazione fosse accidentale e connessa ad una errata interpretazione della direzione da parte del pilota automatico. Tuttavia i sovietici interpretarono tale violazione come un tentativo di intrusione con lo scopo di spionaggio.
L’abbattimento era evidentemente il frutto della tensione maturata fino a quel momento tra Stati Uniti ed Unione Sovietica.
Tornando quindi a quella notte del 26 settembre 1983, ovvero 25 giorni dopo l’abbattimento dell’aereo coreano, gli allarmi evidenziavano un attacco missilistico americano.
Le risultanze degli allarmi e le analisi effettuate dai computer davano come indiscutibile esito la certezza di un attacco missilistico statunitense.
Ma il dubbio che tratteneva Petrov dal prendere una immediata decisione era costituito dalla circostanza che la rilevazione del lancio missilistico derivava esclusivamente dalle risultanze telecamere ad infrarosso, mentre il monitoraggio visivo del cielo non dava alcuna risultanza circa l’esistenza di missili in volo.
L’unica possibilità di riscontro effettivo era quella dei sistemi radar; tuttavia quando i missili si fossero trovati a portata di rilevazione radar, ormai sarebbe stato troppo tardi per intervenire.
Petrov, contro le risultanze degli allarmi, contro le verifiche dei computer e contro il parere dei tecnici, decise di non attivare il comando superiore e non attivare la risposta nucleare.
Pochi minuti dopo, alla portata della rilevazione, i sistemi radar confermarono con certezza che non c’era alcun missile in cielo diretto in Unione Sovietica e che nessun missile era stato lanciato.
I reali accadimenti e l’epilogo L’incidente del 26 settembre 1983 avrebbe potuto scrivere la parola fine sulla storia dell’umanità.
Soltanto a posteriori, e con accertamenti tecnici, venne stabilito che si trattava realmente di falsi allarmi.
Gli allarmi erano stati generati dalle errate rilevazioni ad infrarossi dei telescopi installati sui satelliti del sistema OKO.
Quel giorno, una particolare congiunzione astronomica tra la Terra, il Sole e il sistema satellitare OKO, collegata all’equinozio autunnale che si era appena verificato, aveva dato luogo a particolari riflessi solari sulle nubi ad alta quota. Questi riflessi erano stati visualizzati e letti dai sistemi di rilevazione ad infrarossi e successivamente decodificati come risultanze di lanci di missile. Pertanto il sistema dei computer aveva letto come corretta la decodifica e l’aveva confermata in tutti i successivi test.
Il risultato dell’incidente del 26 settembre 1983 fu quello di manifestare le gravi carenze e debolezze del sistema di sorveglianza basato sulla rilevazione satellitare e sulla codifica dei computer.
Le autorità superiori di Petrov non riconobbero mai i suoi meriti, ed anzi evidenziarono le sue mancanze nel non attenersi ai rigidi protocolli imposti dalla situazione.
La storia e le notizie dell’incidente furono divulgate dopo 10 anni dai fatti accaduti.
Petrov ottenne riconoscimenti particolari dagli Stati Uniti, dove furono ricordati i suoi meriti nell’aver scongiurato un disastro nuclare, e fu premiato presso la sede dell’ONU nel 2006, oltre a ricevere onorificenze anche in altri diversi Paesi del mondo, ma non in Russia.
Petrov morì all’età di 77 anni a Frjazino, un villaggio vicino Mosca il 19 maggio 2017.
In suo onore e perenne ricordo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha introdotto nel 2013 la Giornata Internazionale per l’eliminazione di tutte le armi nucleari che si celebra ogni anno il 26 settembre.
Conclusioni Il momento storico che attraversiamo merita di riconsiderare questo episodio con grande attenzione. Historia magistra vitae, un motto latino tratto dal De Oratore di Marco Tullio Cicerone, ci ricorda sempre che i fatti accaduti devono costituire allo stesso tempo insegnamento e monito per i tempi futuri.
E’ altresì vero, sempre per citare un illustre filosofo e giurista italiano del passato, quale Giambattista Vico, la storia si ripete sempre, secondo la teoria dei corsi e dei ricorsi storici.
Tra questi due estremi, ovvero da una parte la storia come insegnamento per un cammino futuro e per non cadere negli errori del passato, e dall’altra parte una debole umanità che non riesce a liberarsi degli istinti di dominio e prevaricazione e non riesce a convivere con se stessa, ripetendo sempre gli stessi ricorrenti errori, si aprono i prossimi scenari internazionali.
L’aver sfiorato la catastrofe non sembra aver insegnato nulla a coloro che hanno in mano le sorti del nostro mondo.
I mezzi di comunicazione di massa hanno, però, messo in grande evidenza che gli individui comuni che abitano i blocchi contrapposti sono maggiormente dotati di buonsenso e di ragionevolezza, rispetto alle classi politiche che continuano a seminare tensioni e contrapposizioni.
La speranza è che l’umanità riesca a superare tutte le barriere e le divisioni che alimentano le contrapposizioni, e si converta ad utilizzare le risorse prodotte per combattere la fame e le malattie e non per alimentare gli arsenali di distruzione, riprendendo anche il cammino di esplorazione e di espansione verso lo spazio che ci circonda.
La vicenda di Stanislav Evgrafovic Petrov costituisce l’ammonimento con cui affrontare questi tempi difficili.