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La responsabilità sociale d’impresa – Le Linee Guida OCSE per le imprese multinazionali.

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Le norme e le procedure internazionali destinate alla governance dell’economia vanno assumendo ulteriore crescente rilievo in una fase caratterizzata dal perseguimento – a tutti i livelli – degli obiettivi dello sviluppo sostenibile affermati nell’Agenda ONU 2030 e in numerosi altri atti adottati dai forum della cooperazione intergovernativa (si pensi alla Conferenza di Glasgow sul clima o alle conclusioni del G 20 2021). Su quali aspetti lei e l’ISGI state focalizzando le vostre ricerche?

L’ISGI dedica da tempo grande attenzione alla interrelazione tra imprese, diritti umani e tutela dell’ambiente e negli ultimi anni abbiamo focalizzato l’attenzione sulle questioni concernenti la responsabilità sociale delle imprese e l’attività dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel settore. Come lei sa, il diritto internazionale si sta facendo carico in modo crescente del tema della responsabilità sociale d’impresa, mediante strumenti giuridici che sono per lo più di soft law per le imprese, ma comunque obbligatori per gli Stati che li sottoscrivono.

In un Libro Verde del 2001, la Commissione europea ha definito la ‘responsabilità sociale delle imprese’ come ‘l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate’. Quali sono i principali documenti di riferimento adottati a livello internazionale in materia?

Sicuramente i Principi Guida su imprese e diritti umani (Guiding Principles on Business and Human Rights: Implementing the UN ‘Protect, Respect and Remedy Framework’) adottati nel 2011 dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Risoluzione 17/04 del 16 giugno 2011), rappresentano un punto di arrivo e di partenza fondamentale per tutta l’evoluzione normativa successiva.

Peraltro, già nel 1976 l’OCSE aveva adottato una‘Dichiarazione sugli investimenti internazionali e le imprese multinazionali’ con in allegato delle Linee Guida volte a favorire, contestualmente, la libertà degli investimenti internazionali e lo sviluppo sostenibile. Le Linee Guida per le imprese multinazionali sono state modificate cinque volte da allora e la loro attuale versione, che risale al 2011, è stata condivisa e firmata da 50 Stati (di cui 38 membri dell’OCSE e 12 non membri), che, di conseguenza, sono, ad oggi, vincolati al rispetto delle stesse.

Su cosa vertono queste Linee Guida OCSE?

Si tratta di un insieme di principi e raccomandazioni che i Governi firmatari rivolgono alle imprese multinazionali, o attive sui mercati internazionali, affinché contribuiscano allo sviluppo sostenibile, gestendo i rischi di impatto negativo socio-ambientale delle attività che svolgono. Le Linee Guida affrontano in maniera organica tutti gli aspetti più qualificanti di una condotta responsabile, a partire dal rispetto dei diritti umani e del lavoro per arrivare alla protezione ambientale, indicando, ogni volta, a quali standard, riconosciuti a livello internazionale, fare riferimento. In particolare, per quel che riguarda il Capitolo VI delle Linee Guida dedicato interamente alla protezione dell’ambiente, le imprese dovrebbero dotarsi non solo di una policy di prevenzione e protezione ambientale per tutte le proprie attività, ma anche garantire che gli standard ambientali internazionalmente riconosciuti siano rispettati in tutti i contesti nei quali operano ed indipendentemente dal Paese in cui operano.Le imprese sono quindi tenute a rispettare la due diligence necessaria al fine di contribuire al più ampio obiettivo dello sviluppo sostenibile ovunque si trovino ad operare. Questo implica l’onere di “valutare e affrontare, nel processo decisionale interno, i prevedibili effetti che i processi, prodotti e i servizi dell’impresa, lungo tutto il ciclo di vita, possono avere sull’ambiente, la salute e la sicurezza, con l’obiettivo di evitarli o, se inevitabili, di mitigarli”. Le imprese devono inoltre tener conto dei particolari rischi specifici di ciascun Paese in cui operano e, in caso di minacce di seri danni per l’ambiente che potrebbero derivare dalle loro attività, dovrebbero adottare tutte le misure preventive e precauzionali, per prevenire e mitigare gli impatti negativi.

Il sistema delle Linee Guida OCSE contribuisce quindi allo sviluppo di forme intergovernative e di esperienze nazionali di attuazione e rispetto dei principi e degli standard su imprese e diritti umani affermatisi a livello internazionale.

Esattamente. A partire dal 2016, grazie alla conclusione di Accordi di cooperazione sulla diffusione e l’applicabilità delle Linee Guida OCSE con il MISE, abbiamo avuto la possibilità di constatare questo aspetto e abbiamo lavorato su queste tematiche. In particolare, ci siamo occupati di varie questioni concernenti i tre Pilastri previsti dai Guiding Principles on Business and Human Rights e cioè l’obbligo dello Stato di proteggere gli individui dalle violazioni dei diritti umani compiute dalle imprese (primo pilastro); la responsabilità̀ delle imprese di rispettare i diritti umani (secondo pilastro); la responsabilità̀ degli Stati e delle stesse imprese di offrire accesso a rimedi effettivi (terzo pilastro).

Poi abbiamo analizzato la questione dell’obbligatorietà o meno delle Linee Guida per gli Stati firmatari e per le imprese, nonché il funzionamento del meccanismo delle ‘istanze specifiche’ previsto dalle Linee Guida OCSE che si colloca nell’ambito del terzo pilastro relativo all’accesso ai rimedi.

Può spiegarci di che meccanismo si tratta?

Vede, le Linee Guida OCSE prevedono l’obbligo per gli Stati che le hanno firmate di creare un Punto di Contatto Nazionale (PCN) che sia in grado, tra le altre cose, di gestire il sistema delle istanze specifiche, consistente in una procedura non giudiziale volta alla risoluzione, su base volontaria, di controversie sottoposte da individui, sindacati, organizzazioni non governative o altri stakeholders che abbiano un interesse specifico per far valere la presunta violazione delle Linee Guida da parte di una o più imprese italiane operanti sul mercato globale.

Quindi possiamo facilmente immaginare che la gestione di un meccanismo di tal natura richieda una conoscenza specifica e profonda del diritto internazionale.

Assolutamente sì, una valutazione approfondita del diritto internazionale è tra agli aspetti di maggiore complessità di questo meccanismo rimediale, visto che per decidere un caso portato all’attenzione del Punto di Contatto Nazionale è necessario sviscerare non solo gli aspetti fattuali del caso, ma anche il contesto normativo del paese dove si verifica la presunta violazione e la fattispecie giuridica internazionalistica. Abbiamo così analizzato, attraverso l’esame dei casi concreti portati all’attenzione del PCN italiano, questioni pertinenti ambiti diversi del diritto internazionale, come ad esempio l’autodeterminazione dei popoli indigeni e la correlata libertà di ciascun popolo di disporre delle proprie risorse economiche e naturali, l’obbligo di prior and informed consent delle popolazioni indigene interessate da un’attività economica impattante sul territorio, e gli obblighi e le responsabilità degli enti certificatori nel diritto internazionale e interno.

Tenga presente che, oltre alle attività di consulenza e assistenza in tutte le fasi procedurali di talune Istanze specifiche, in due casi abbiamo seguito anche la fase della Conciliazione internazionale tra istanti e aziende, condotta da un esperto indipendente e di alto profilo internazionale.

L’ISGI CNR ha dunque seguito istanze specifiche contro alcune grandi aziende italiane, azionate da organizzazioni non governative e individui direttamente interessati da presunte violazioni di diritti umani e norme in materia ambientale. Qual è stata la vostra esperienza come ente di ricerca? Quali gli aspetti positivi o negativi di questa esperienza?

La nostra esperienza è stata indubbiamente molto proficua anche sotto il profilo scientifico perché ci ha permesso di enucleare alcuni aspetti chiave del sistema di attuazione delle Linee Guida OCSE e di individuare le maggiori criticità che emergono dall’applicazione dei principi previsti, in singole fattispecie concrete verificatesi peraltro fuori del territorio nazionale. Ci siamo infatti confrontati con l’arduo compito di valutare i rischi derivanti da attività produttive ad impatto negativo sul rispetto dei diritti umani e sulla protezione ambientale di territori in cui vengono effettuati investimenti di imprese italiane.

Da questo punto di vista, spesso abbiamo potuto constatare quanto sia difficile bilanciare gli interessi contrapposti delle parti alla procedura in un contesto fattuale complesso e in ambiti normativi difficili da ricostruire. Le Linee Guida rappresentano, in realtà, una sorta di “rinvio permanente” a tutto il corpo di regole internazionali sui diritti umani e spesso esiste un ampio margine di incertezza sui contenuti precisi di tali norme e sulle forme della loro applicabilità alle imprese. I PCN si trovano talvolta ad affrontare questioni ancora aperte e dibattute in materia di diritti individuali e di protezione dell’ambiente, senza alcuna pretesa di poter risolvere tali questioni, ma con l’unico obiettivo di facilitare il dialogo tra le Parti all’istanza e una soluzione concordata della controversia.

Questioni di grande attualità, come dimostra il fatto che molte grandi imprese tendono ormai ad accreditarsi sui mercati internazionali e di fronte ai loro clienti affermando di perseguire una transizione equa e di aver integrato gli obiettivi dello sviluppo sostenibile di cui all’Agenda 2030 nella propria missione per accompagnare la loro crescita a quella dei Paesi che li ospitano (così ad esempio ENI). Lei ha parlato di investimenti italiani all’estero che hanno sollevato questioni concernenti la responsabilità sociale d’impresa, dove in particolare?

Come le dicevo, uno degli elementi distintivi di questo meccanismo rimediale consiste proprio nella possibilità di applicazione extraterritoriale delle Linee Guida, cioè nella possibilità di invocare la violazione di norme sui diritti umani e in materia di protezione ambientale verificatasi fuori dall’ambito della giurisdizione italiana, come ad esempio nei casi che abbiamo studiato, in Etiopia, Pakistan e Nigeria.

Vi sono stati casi rilevanti per il contributo al perseguimento di finalità di tutela dell’ambiente (e transizione ecologica) e sviluppo sostenibile?

Tra le varie questioni rilevanti in materia di protezione ambientale e valutazione di impatto ambientale e sociale di cui ci siamo occupati, possiamo citare l’Istanza specifica Egbema Voice of Freedom, Chima Williams and Associates (CWA), Advocates for Community Alternatives (ACA) contro ENI S.p.A. (CWA et al. v. ENI S.p.A.), che è possibile consultare sul sito web del PCN italiano presso il MISE1. In questo caso gli istanti (una comunità di residenti in Nigeria assistita da alcune ONG) avevano sollevato alcune presunte violazioni delle Linee Guida da parte di ENI derivanti dalla costruzione e mancata manutenzione di alcune strade di accesso agli impianti di estrazione petrolifera in un villaggio della Nigeria.

In base alle Linee Guida e al Manuale delle procedure del PCN italiano, che prevedono che sia garantito il contraddittorio, le Parti si sono scambiate memorie per chiarire e rispondere sui punti specifici sollevati e al termine della fase di ‘valutazione iniziale’, il PCN ha dichiarato ammissibile il caso e ha deciso di aprire la fase successiva di offerta dei buoni uffici sottoponendo alle Parti i Terms of Reference per la Procedura di Conciliazione internazionale condotta da un Conciliatore indipendente esperto di diritto internazionale. In particolare, Il Conciliatore, al termine di una serie di attività di negoziazione e di incontri, ritenendo opportuna l’adozione di misure tese a limitare o controllare gli effetti delle inondazioni nell’area indicata dagli Istanti e avendo considerato che entrambe le Parti erano concordi sulla necessità di migliorare la manutenzione e la gestione dei canali di scolo e drenaggio delle strade di accesso agli impianti indicati nell’Istanza, ha proposto alle Parti il testo di un Accordo che poi è stato accettato e firmato da entrambe. Grazie a tale accordo, e all’interno di un percorso di collaborazione con gli Istanti che avevano avviato questa procedura, Eni si è assunta l’onere di effettuare alcuni interventi nell’area per mitigare gli effetti negativi della propria attività d’impresa sull’ambiente e sulla salute delle persone residenti.

Vero, si tratta di accordo salutato dalla stampaitaliana con molto favore: la Repubblica lo definisce un accordo storico2.

Si, effettivamente questo può essere considerato un caso di successo perché sia gli istanti che l’azienda hanno operato in modo aperto e collaborativo per raggiungere un accordo, e non sempre questo avviene. A volte accade che una delle due Parti non accetti di entrare nella fase dei buoni uffici proposti dal PCN, oppure, pur entrando in questa fase, decida di non accettare le proposte di soluzione formulate dal Conciliatore. A quel punto, al PCN non resta che prendere atto del fallimento del tentativo di trovare una soluzione alla controversia e adottare delle raccomandazioni indirizzate alle Parti. La procedura delle istanze specifiche è infatti un rimedio non giudiziale e il PCN non è un giudice, ma un facilitatore che ha come obiettivo il favorire soluzioni pacifiche a controversie che possono avere conseguenze negative per le imprese sul piano reputazionale, in seguito all’azione di advocacy portate avanti dagli individui e dalle ONG interessate.

Dottoressa, tra le attività svolte di recente da lei e dall’ISGI, noterei anche il webinar: Impatto della pandemia sulle Istanze specifiche delle Linee Guida OCSE e sulla ‘due diligence’ delle imprese’, organizzato in cooperazione con il PCN italiano (MISE), che ha visto alcuni esperti, con background e provenienza professionale diversi, dialogare utilizzando il format “tavola rotonda”.

Sì, l’obiettivo del webinar era di aprire una riflessione su due questioni molto delicate dell’attuale situazione post pandemica. Da un lato, il Covid 19 ha determinato un peggioramento diffuso e profondo delle condizioni economiche, sociali e del lavoro in modo trasversale a Paesi anche molto diversi tra loro, generando un deterioramento, o comunque un rischio di complicazione, delle relazioni tra imprese, lavoratori e territorio. Dall’altro, la proposta di direttiva del Parlamento dell’Unione europea sulla due diligence delle imprese permette di avviare un confronto sulle modalità con cui si possano realmente raggiungere gli obiettivi fondamentali della responsabilità sociale d’impresa, e cioè il pieno e concreto rispetto dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori e della protezione ambientale da parte dei privati in tutti i luoghi dove si svolgono le loro attività. 

In questo contesto, nel corso della tavola rotonda, si è giunti a formulare due orientamenti di carattere generale. In primo luogo, è stato posto l’accento sulla necessità di non abbassare la guardia in alcun modo sul monitoraggio e sull’effettiva attuazione delle Linee Guida OCSE da parte delle imprese nel contesto post pandemico, che si presenta preoccupante anche in considerazione della contrazione di istanze specifiche davanti ai PCN in tutto il mondo e della riduzione di tutto il contenzioso in materia di violazione di diritti umani e di protezione ambientale. In secondo luogo, gli esperti partecipanti hanno auspicato un coordinamento sempre più intenso tra i sistemi normativi nazionali nella materia specifica della due diligence delle imprese, e la valorizzazione del sistema delle Istanze specifiche delle Linee Guida OCSE all’interno del diritto dell’Unione europea.

1 https://pcnitalia.mise.gov.it/attachments/article/2016847/ACA%20v.%20ENI%20Accordo%20trad%20ITA%20DEF.pdf.

2 https://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2019/11/07/news/nigeria_inondazioni_l_eni_firma_un_accordo_storico_con_la_comunita_locale-240467286/

La Dottoressa Gemma Andreone.

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