
“All’angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: Così parla Colui che ha la spada affilata a due tagli: “Io so dove dimori, cioè dov’è il trono di Satana; e continui a tenere il mio nome, e non hai negato la tua fede in me neanche ai giorni di Antipa, mio testimone, il fedele, che fu ucciso nella vostra città, dove Satana dimora”
San Giovanni, Apocalisse 2:12, 13
Eccoci giunti alla terza delle Città dell’Apocalisse, forse una delle più rilevanti dal punto di vista culturale: Pergamo. Città incredibile, costruita su un ripido sperone di roccia a 335 metri sul livello del mare, su più terrazze collegate tra loro da una strada serpeggiante. Gli edifici, che si integravano perfettamente con l’ambiente naturale, creavano un suggestivo effetto scenografico, esaltato dal panorama mozzafiato che si ammirava dalle terrazze.
Famosa per la Biblioteca che, con i suoi 200.000 volumi era seconda solo a quella di Alessandria, Pergamo rivaleggiava con Atene e con le più importanti città ellenistiche quanto a cultura e magnificenza monumentale, magnificenza dovuta ai suoi sovrani illuminati Attalidi che seppero impiegare saggiamente il tesoro di 9.000 talenti lasciato sulla rocca da Alessandro Magno. Una città ricchissima al punto che il termine “attalico” divenne sinonimo di “illimitato”, una città lasciata, con il suo regno, in eredità a Roma.
E ancora: come non ricordare che la pergamena prese il nome proprio da questa polis in seguito ad un embargo voluto dal faraone egizio Tolomeo V che, per ostacolare lo sviluppo della Biblioteca di Pergamo, vietò l’esportazione del papiro? La città vanta anche il più ripido teatro del mondo antico: capace di accogliere 10.000 spettatori, è scavato nella parete rocciosa e si appoggia ad essa come una conchiglia: poco adatto a chi soffre di vertigini.
Scoperta nel XIX secolo da un ingegnere ferroviario tedesco, la cui figura autodidatta ricorda molto da vicino quella di Schliemann, Pergamo è soprattutto ricordata per il grande Altare di Zeus, il cui lunghissimo Fregio, secondo solo a quello del Partenone, è un grandioso e magistrale esempio dell’arte ellenistica “barocca” della cosiddetta “Scuola di Pergamo”. L’Altare, acquistato insieme ad altri tesori artistici di Pergamo per un pugno di marchi versati al governo ottomano, fa bella mostra di sé a Berlino ed è la principale attrazione del Pergamonmuseum. Ricostruito mirabilmente in una grande sala apposita, è talmente suggestivo da essere stato fonte di ispirazione per la realizzazione del Vittoriano a Roma. Patrimonio Mondiale dell’Umanità dal 2014, Pergamo è sicuramente un sito archeologico tra i più iconici della Turchia.
Esso merita quindi di essere approfondito in questo nuovo articolo per la Rubrica “La Stele di Rosetta”, pubblicato in esclusiva per IQ. Buona lettura.
INDICE DEI CONTENUTI:
- Da Satrapia a Regno indipendente
- La Dinastia degli Attalidi: Eumene I ( in carica dal 263 – 241 a.C.)
- Attalo I (241-197 a.C.)
- Eumene II (197-159 a.C.)
- Attalo II (220 a.C. – 138 a.C.)
- Attalo III (170 a.C. – 133 a.C.)
- Eumene III
- La Provincia romana
- Il declino e l’oblio
LA CITTA’ DELLA CULTURA E DELLE ARTI
- Il Tempio di Atena Poliàs
- La Via Sacra
- Il Tempio di Traiano (Traianeum)
- Il Tempio di Dioniso
- Il Teatro
- La Biblioteca
- Un tempio al contrario
- La Gigantomachia
- Il Fregio di Telefo
- La scoperta e il trasporto in Germania
- Il Piccolo Donario
GLI ALTRI MONUMENTI DI PERGAMO
- Il Tempio di Demetra
- Ginnasio superiore, medio, inferiore
- L’Asklepieion
- Il Tunnel dell’Asklepion
- Il Tempio di Asklepion
- Il Teatro di Asklepion
- I Bagni di Pergamo
- La Basilica Rossa
LA LOCALIZZAZIONE

Tra le città citate nell’Apocalisse, Pergamo era la più settentrionale e anche più occidentale, essendo un’ottantina di chilometri a nord di Smirne e a meno di venticinque chilometri dal Mar Egeo. Essa si trova nel cuore dell’Asia Minore, nell’antica regione dell’Eolide. Inoltre, la città si ergeva imponente a soli 25 chilometri dalla Costa Egea, tra i due bracci del fiume Caico, su una collina su cui venne edificata l’acropoli cittadina. Questa collina saliva improvvisamente a trecento metri d’altezza e, tranne che per il pendio meridionale, l’accesso ad essa era molto difficile.
Era una località ideale per una fortezza e per una capitale, poiché dominava il territorio circostante per molti chilometri. Non è strano che quando Alessandro Magno cominciò la sua campagna orientale mandasse Barsine e il figlio di lei, l’illegittimo Eracle (Ercole), a Pergamo perché fossero al sicuro. E non è strano che alcuni anni dopo Lisimaco, uno dei generali tra i quali fu diviso l’impero di Alessandro alla sua morte, scegliesse Pergamo per mettere al sicuro gran parte del suo tesoro: 9.000 talenti (198 milioni di euro!).
IL NOME
La città si chiamava Pergamo (Pergamon, Pergamus) poiché il nome derivava da una radice che significa “torre” o “fortezza”, radice che è pure in relazione con la parola tedesca burgh.

Ma Pergamo (figlio di Neottolemo e Andromaca) era anche il nipote di Achille, che Grino, nipote di Telefo, avrebbe onorato dando alla città il nome dell’amico.
Secondo altri invece, raggiunta la maggiore età, Pergamo aveva lasciato la terra natia emigrando in Teutrania (Asia Minore, Misia), alle foci del fiume Caico, e là, avendo sconfitto in singolar tenzone un certo re Areio, ne conquistò il regno, dedicando un monumento alla memoria di sua madre. Secondo il greco Pausania il Periegeta divenne così il fondatore e l’eponimo della città asiatica di Pergamo.
È però più probabile che la città venne fondata solo da Grino, poiché Pergamo era legata alla memoria del nonno Telefo, i cui resti vennero posti in un grandioso complesso funerario di Pergamo.
LA STORIA
La storia di Pergamo non è molto antica; pare che essa fosse nuova tra le città dell’Asia Minore. Ma l’acropoli doveva già essere abitata in età arcaica: gli archeologi hanno portato alla luce oggetti che risalgono circa all’ottavo secolo a.C. Pergamo compare per la prima volta nella storia scritta nel 399 a.C., quando Senofonte e i suoi 6.000 mercenari, il resto dei famosi “Diecimila” in ritirata, occupò la città. Presso la città aveva sede un importantissimo santuario di Esculapio, rinomato per la capacità taumaturgiche dei suoi sacerdoti e importante sede di pellegrinaggi provenienti da tutta la Grecia.
Da Satrapia a Regno indipendente
Nel 560 a.C. la città apparteneva a Creso, re della Lidia, e successivamente passò sotto il dominio di Ciro II di Persia. Quando Alessandro Magno sconfisse Dario III, re dei Persiani, dominando tutta l’Asia Minore, nominò governatore di Pergamo Barsine, vedova di un comandante persiano di Rodi.
Lisimaco, generale di Alessandro Magno (e uno dei Diadochi, ossia successori) a cui, dopo la sua morte, fu assegnata la regione occidentale dell’Anatolia, dopo aver fortificato la rocca di Pergamo, pose come governatore della città il suo luogotenente, Filetero, un eunuco fidato (283 – 263 a.C.), che ebbe in custodia il tesoro del sovrano macedone, i famosi 9.000 talenti. Questo tesoro fu la base per la costruzione di un Regno indipendente.


Vi sono diverse versioni del modo in cui Filetero divenne governante di Pergamo e del territorio circostante; basti dire che seppe valersi dei tempi difficili e della ricchezza affidatagli e che diede prova d’essere un sagace e prudente governante sia negli affari interni che esterni. Nel 281 a.C., infatti, ebbe luogo uno scontro tra Lisimaco e Seleuco I Nicatore (della dinastia seleucide che regnava ad Antiochia in Siria), nel quale Lisimaco perse la vita. Filetero si dimostrò un docile vassallo dei re seleucidi, ma nel 280 a.C. Seleuco fu assassinato e gli succedette suo figlio Antioco I Soter.
Filetero approfittò del cambiamento per dichiarare indipendente l’intero territorio di Pergamo, cessando così di far parte del regno seleucide. Egli diede quindi inizio alla dinastia degli Attalidi e, dopo aver governato per vent’anni, lasciò il modello a coloro che lo seguirono. Il suo dominio segnò il principio dell’ascesa della stella di Pergamo.
La Dinastia degli Attalidi: Eumene I ( in carica dal 263 – 241 a.C.)
Il passo di cessare di far parte del regno seleucide fu compiuto concretamente dal successore di Filetero, Eumene I.

Eumene, forse incoraggiato da Tolomeo II, in guerra allora con i seleucidi, si ribellò, sconfiggendo nel 261 a.C. Antioco I nei pressi di Sardi, capitale della Lidia. Egli fu perciò capace di liberare Pergamo, ingrandendone il suo territorio. Nei suoi nuovi possessi, egli stabilì posti di guarnigione a nord ai piedi del Monte Ida chiamato Filetereia dal nome del suo padre adottivo, a da est, a nord-est di Tiatira, vicino alle sorgenti del fiume Lico, chiamato Attaleia dal nome di suo nonno, ed estese il suo controllo anche a sud del fiume Caicó fino al golfo di Cuma.
Dimostrando la sua indipendenza, egli iniziò a coniare monete con il ritratto di Filetero, mentre il suo predecessore aveva ancora raffigurato Seleuco I Nicatore. Benché mai assunse nominalmente il titolo di “re”, Eumene di fatto esercitava tutti i poteri. Imitando altri regnanti ellenistici, venne istituita a Pergamo una festività in onore di Eumene chiamata Eumeneia.
Attalo I (241-197 a.C.)

Eumene adottò il suo cugino di secondo grado, Attalo I, che gli succedette al trono di Pergamo. Attalo ottenne un’importante vittoria sui Galati, una popolazione celtica appena giunta in Asia Minore che aveva saccheggiato e imposto tributi nella regione senza trovare opposizione. Questa vittoria, che venne celebrata con un monumento trionfale eretto a Pergamo, decorato tra le altre con la statua del Galata morente, si tradusse nella liberazione dal terrore gallico e guadagnò ad Attalo il nome di Soter (“Salvatore”) e il titolo di re.
Generale coraggioso e capace, fu un alleato leale della Repubblica romana, al fianco della quale combatté nella prima e seconda guerra macedonica contro Filippo V. Condusse numerose operazioni navali, ostacolando gli interessi macedoni in tutto il mar Egeo, ottenendo onori, accumulando spoglie e guadagnando al Regno di Pergamo l’isola greca di Egina, durante la prima guerra, e Andros, durante la seconda; sfuggì per poco alla cattura da parte di Filippo per ben due volte.

Morì nel 197 a.C., poco prima della fine della seconda guerra, all’età di 72 anni, dopo essere stato colpito da un attacco al cuore alcuni mesi prima, mentre parlava durante un consiglio di guerra beotico. La sua vita privata fu famosa per essere stata felice: ebbe una moglie e quattro figli, uno dei quali, Eumene II, gli succedette come re.
Eumene II (197-159 a.C.)

Seguendo le orme del padre collaborò con i Romani, opponendosi prima ai Macedoni, e dunque all’espansione dei Seleucidi verso l’Egeo, contribuendo alla sconfitta di Antioco il Grande in special modo nella battaglia navale di Corico (191 a.C.) e in quella terrestre di Magnesia (190 a.C.). Precedentemente, nel 195 a.C., aveva partecipato alla guerra laconica, assieme ai romani. Dopo la pace di Apamea nel 188 a.C., ricevette le regioni di Frigia, Lidia, Pisidia, Panfilia, e parte della Licia dagli alleati romani, poiché questi non avevano nessun effettivo interesse ad amministrare il territorio nell’oriente ellenistico, bensì volevano un forte stato in Asia Minore che fungesse da baluardo contro ogni possibile futura espansione seleucide. I Romani per debito di riconoscenza sostennero la sua campagna militare contro Prusia di Bitinia (186-185 a.C.), e il re del Ponto Farnace (183-179 a.C.).
Quando Perseo salì sul trono di Macedonia (179 a.C.) e tentò di rilanciare il prestigio del regno, ripristinando le vecchie alleanze con Achei, Seleucidi e con Rodi, Eumene II, preoccupato, inviò prontamente ambasciatori a Roma per convincere il popolo romano a intervenire. I Romani furono inizialmente restii a intraprendere una nuova guerra, ma quando un attentatore cercò (peraltro senza successo) di uccidere Eumene, Roma si decise a impiegare le sue forze armate in Macedonia. La terza guerra macedonica (171-168 a.C.) si concluse con la battaglia campale di Pidna che fu seguita dalla caduta del regno di Macedonia.

Poco dopo Eumene cadde in disgrazia dei Romani per essere sospettato di cospirare con Perseo di Macedonia e di conseguenza nel 167 a.C., i Romani fecero un tentativo fallimentare di corrompere suo fratello Attalo II, come un possibile pretendente al trono di Pergamo, dopo che Eumene si era rifiutato di andare in Italia a fare valere le sue ragioni.
Sposò Stratonice, figlia del re Ariarate IV di Cappadocia e di sua moglie Antiochis, da cui ebbe Attalo III. Eumene II morì nel 160 a.C. (o forse 159 a.C.) e poiché il loro figlio era ancora in minore età, il trono fu assunto dal fratello minore, Attalo II, che sposò la vedova di Eumene.
Con Eumene II, il regno ebbe un’ulteriore espansione, divenendo uno dei regni più potenti dell’Asia Minore (pur se attentamente controllato dal Senato romano). Il re protesse le arti e la cultura, accogliendo alla sua corte intellettuali di fama, come i filosofi Licone e Arcesilao. Realizzò una grande opera di edilizia monumentale destinata a rimanere famosa per secoli, l’Altare di Zeus; costruì inoltre una Stoà sull’acropoli ateniese. Una delle più grandi imprese di Eumene II fu l’espansione della Biblioteca di Pergamo, una delle più grandi del mondo antico (che, con i suoi 200.000 volumi, sarebbe diventata la seconda del regno ellenistico dopo quella di Alessandria) e il luogo tradizionalmente associato alla creazione della pergamena, sebbene a quel tempo esistesse già da secoli, ma che fu obbligata a sviluppare poiché Tolomeo V aveva proibito l’esportazione di papiri egiziani verso Pergamo, allo scopo di ostacolare la concorrenza con la biblioteca di Alessandria. A seguito di questo embargo, l’antica tecnica orientale di scrittura su pelle fu perfezionata a Pergamo, tanto che il prodotto risultante è stato chiamato “pergamena”, materiale per scrivere molto superiore al papiro.
Attalo II (220 a.C. – 138 a.C.)

Prima di diventare re, Attalo II era già un esperto comandante militare. Nel 190 a.C., resistette a un’invasione dei Seleucidi e l’anno seguente (189 a.C.) condusse le sue forze a combattere a fianco delle legioni romane sotto Gneo Manlio Vulso in Galazia. Nel 182 a.C. lo troviamo di nuovo in guerra contro i Seleucidi e con successo affrontò le forze armate di Farnace I del Ponto. Infine, aiutò i Romani ancora nel 171 a.C., unendosi alle forze di Publio Licinio Crasso (console nel 171 a.C.) stanziate in Grecia per la terza guerra macedonica.
Attalo II fece anche frequenti visite diplomatiche a Roma, guadagnando la stima dei Romani.
Attalo II riuscì ad espandere il suo regno con l’aiuto del suo buon amico ed alleato Ariarate V di Cappadocia, fondando le città di Filadelfia e Attalia. Egli era rinomato mecenate delle arti e delle scienze, e fu l’inventore di un nuovo tipo di ricamo. A testimonianza di ciò e della sua grande generosità, donò alla città di Atene uno splendido porticato, detto appunto “Stoà di Attalo“. In età avanzata, faceva affidamento sul suo primo ministro, chiamato Filopomene, per essere aiutato nelle incombenze governative. Fu il tutore del nipote Attalo III.
Attalo III (170 a.C. – 133 a.C.)

Attalo III nutriva scarso interesse per il governo di Pergamo; le sue attenzioni erano invece dedicate, tra le altre, allo studio della medicina, della botanica, del giardinaggio. Fu l’ultimo dinasta indipendente: non avendo figli o alcun tipo di eredi e nel suo testamento lasciò il suo regno alla Repubblica di Roma. Nel testamento Attalo lasciava alla città di Pergamo ed a altre città, la libertà ed i territori circostanti, oltre all’esenzione dei tributi, mentre a Roma lasciava i suoi tesori e le sue proprietà, ma soprattutto gran parte dei territori. Tiberio Gracco richiese che il tesoro di Pergamo venisse aperto e reso disponibile alla cittadinanza di Roma, ma il Senato rifiutò.
Alcuni definiscono l’aver lasciato Pergamo a Roma un atto molto giudizioso date le norme liberali di Roma, mentre altri dicono che non si può spiegare in nessun altro modo che come l’atto di un pazzo. Probabilmente Attalo III non intendeva una cessione permanente ma soltanto una soluzione temporanea per impedire al fratello illegittimo, Aristonikos, di prendere il potere. Questo territorio venne sfruttato dai Romani per costituire la Provincia romana d’Asia. Questa provincia comprendeva la Ionia e il regno di Pergamo, le regioni più lontane vengono affidate ai re vicini, riconosciuti come vassalli.
Eumene III

Tuttavia, i Romani non furono rapidi ad assicurarsi il potere, lasciando spazio per un pretendente al trono locale. Sorse allora Aristonico, che affermò di essere il figlio illegittimo di un precedente sovrano pergameno, Eumene II (197-160 a.C.), padre di Attalo III: Aristonico palesò la propria aspirazione al trono e assunse il nome di Eumene III, con chiari significati dinastici.
Inizialmente cercò il sostegno delle città greche sulla costa promettendo loro l’indipendenza, ma, non avendo ottenuto alcun successo, progettò delle riforme di vasto impatto sociale. Eumene III, infatti, chiese il sostegno delle città all’interno dell’Asia minore promettendo di rendere liberi tutti gli schiavi.
Nel 131 a.C. i Romani gli inviarono contro un esercito comandato da Publio Licinio Crasso Muciano, il quale fu però sconfitto ed ucciso. I Romani inviarono allora un secondo esercito al comando del console del 130 a.C., Marco Perperna, il quale sconfisse e catturò Eumene, la cui rivolta fu definitivamente domata dal console Manio Aquilio nel 129 a.C., quando il prigioniero fu condotto in parata per le vie di Roma e poi giustiziato per strangolamento.
La Provincia romana

Come abbiamo visto, il Senato romano fu costretto ad inviare il console Manio Aquilio per sedare una rivolta nell’ex-regno di Attalo III, e trasformare i suoi territori in prima Provincia romana dell’Asia (129 a.C.). Sbarcato in Caria si diresse in Mysia dove riuscì ad espugnare alcune fortezze ribelli, grazie anche all’aiuto di alcune città greche. La successiva riorganizzazione vide il mantenimento di parte dei territori dell’antico regno (Misia, Lidia, Frigia e parte della Caria; i territori invece del Chersoneso Tracico e dell’isola di Egina furono invece aggregati alla provincia di Macedonia), lasciando invece la Lycaonia e la Cilicia Trachea al regno di Cappadocia e la Frigia maggiore a Mitridate III del Ponto, oltre alla costruzione di una rete stradale che si irraggiava da Efeso (nuova capitale provinciale) in direzione di Pergamo, Sardi, ecc. In pratica, la Repubblica Romana annetteva tutti i territori occidentali, mentre quelli orientali, montuosi e difficili da controllare, furono concessi al regno del Ponto ed a quello di Cappadocia.


Sotto il controllo romano, Pergamo divenne una delle città più importanti dell’antichità. Fu una città prospera, famosa per l’attività dei ceramisti, la produzione di unguenti e di pergamene. Si affermò sotto Augusto. Plinio il Vecchio la definisce la città più importante della provincia e l’aristocrazia locale continuò a raggiungere i più alti livelli di potere nel I sec. d.C. Sotto Traiano e i suoi successori la città fu sottoposta a una completa riprogettazione e rimodellamento, con la costruzione di una “città nuova” romana alla base dell’Acropoli. Nel 123 Adriano elevò la città al rango di metropoli, superando così le rivali locali, Efeso e Smirne. Divenne una città pienamente cosmopolita, un luogo di incontro culturale dell’Impero romano, un centro pagano di antiche divinità, dove si trovava il trono di Zeus. Durante il periodo della conversione di Ebrei e Gentili al cristianesimo, la predicazione cristiana minò le credenze pagane della società romana, rivelando che la venerazione di immagini e divinità che non erano dèi era abominevole davanti al loro Dio e meritava il giudizio divino. Il libro dell’Apocalisse, come abbiamo detto, menziona Pergamo come un luogo dove la dottrina di Balaam e l’insegnamento dei Nicolaiti sono tollerati.
Il declino e l’oblio
Il declino della città seguì quello dell’Impero Romano, durante la cosiddetta “crisi del III secolo” (d.C.), aggravata da un devastante terremoto nel 262.
In età bizantina fu saccheggiata delle sue opere architettoniche e statuarie in gran parte demolite, e divenne sede di vescovado.

Poi fu saccheggiata dagli arabi che di nuovo cancellarono opere romane, e l’imperatore Costantino V prelevò parecchi materiali del centro urbano per costruire una nuova cinta muraria. Poi la città venne presa dagli Ottomani, che vi edificarono diverse moschee, cancellando altre tracce romane.
LA RISCOPERTA
La riscoperta di Pergamo fu stimolata dal declino dell’Impero Ottomano alla fine del XIX secolo. La Sublime Porta si era allora arresa alla potenza militare del Reich tedesco, vedendo nelle sue ambizioni coloniali l’unico mezzo di sopravvivenza. L’alleanza portò in Turchia generali, banchieri, artisti e viaggiatori prussiani, che contribuirono alla modernizzazione dello Stato ottomano e alla scoperta dei suoi tesori archeologici.
Carl Humann, lo Schliemann di Pergamo

L’ingegnere e architetto Carl Humann fu uno di quegli avventurieri che cercarono fortuna nei domini del Sultano. Ingegnere ferroviario istruito e aspirante studente di architettura, a causa della tubercolosi, cercò climi più caldi e si trasferì nell’allora Impero Ottomano, stabilendosi a Istanbul. Partecipò agli scavi sull’isola di Samo, unendosi al fratello Franz, che aveva lavorato al santuario dell’Heraion, costruendo palazzi e viaggiando nel 1864 attraverso la Palestina, su ordine dell’Impero Ottomano, disegnando mappe accurate della zona. Il suo lavoro come geometra per i dipartimenti di costruzione ferroviaria e stradale lo aiutò ad acquisire una familiarità personale con le rovine dell’era classica, nonché a sviluppare un’ampia rete di contatti e conoscenze.
Dal 1867 al 1873 supervisionò la costruzione di strade in Anatolia. Come parte della sua preparazione, visitò nell’inverno del 1864/65 il sito dell’antica Pergamo. Appena entrato in città, mentre camminava verso l’acropoli, percepì le tracce del suo glorioso passato. “Bergama, come la chiamano ora i Turchi“, scrisse in seguito, “aveva solo 4.000 greci, 12.000 turchi e circa 1.000 armeni ed ebrei. Ma mentre mi avvicinavo alla città, sulla destra del mio cammino mi sono trovato di fronte alle imponenti tombe reali, un tempo vicine alla strada principale, ancora misteriosamente nascoste; e, già nella città, abbastanza vicino, ai piedi del pendio meridionale della cittadella, si ergeva un’imponente struttura rossa fiancheggiata dalle sue due torri“. In questo sito storico, usò la sua influenza per fermare la distruzione delle rovine di marmo parzialmente dissotterrate.
Affascinato, tornò nel 1867 come supervisore della linea ferroviaria tra Ayvalik e Bergama e iniziò gli scavi sull’acropoli stessa con la sua squadra di operai. Creò un piccolo museo delle sue scoperte e invitò esperti come Ernst Curtius, ma le sue scoperte furono accolte tiepidamente a Berlino. Le opere provenivano dall’Asia Minore, non dalla Grecia, e il loro stile barocco era ben lontano dai canoni del classicismo ellenistico che lo storico dell’arte Winckelmann aveva imposto in Germania.

Tuttavia, quando Alexander Conze assunse la direzione del Dipartimento di scultura classica di Berlino nel 1877, comprese l’importanza della scoperta e scrisse a Humann, che allora conduceva un’esistenza pacifica a Smirne, sostenendolo in un nuovo scavo. Humann ottenne il sostegno del cancelliere tedesco Bismarck, che sognava di acquisire una grande opera classica per la Germania, ma si accorse che la Grecia non consentiva l’esportazione di antichità.

Gli scavi iniziarono nel 1878. Durante questo lavoro iniziale, furono trovate ampie parti del fregio artisticamente estremamente prezioso del celebre altare di Zeus (di cui parleremo più avanti) e numerose sculture. In seguito a questo successo, furono effettuate una seconda e una terza missione di scavo, rispettivamente dal 1880-1881 e dal 1883-1886 (con l’assistenza di Wilhelm Dörpfeld ).
I reperti, che per accordo con il governo ottomano (e con il versamento di soli 20.000 marchi) divennero proprietà degli archeologi tedeschi, furono trasportati in carrozze fino alla costa e poi caricati su navi della Marina tedesca e portati a Berlino. L’intero tesoro di Pergamo fu così aggiunto alle collezioni imperiali.
Il ritrovamento del grande altare di Zeus, riconosciuto come uno dei migliori esempi di scultura ellenistica, suscitò notevole attenzione e rese Humann immediatamente famoso.
Humann non studiò mai archeologia né ottenne una laurea specialistica di alcun tipo, esemplificando l’archeologo self-made del diciannovesimo secolo, simile a Heinrich Schliemann e Wilhelm Dörpfeld. Era rappresentativo di una generazione di pionieri rudi e pronti, che avevano sviluppato un’antipatia per i filologi e si irritavano facilmente per il loro approccio lento e attento agli scavi. D’altro canto, Humann stabilì ampie connessioni in tutto l’Impero ottomano, con funzionari locali e operai, il che gli valse il soprannome di “Viceré dell’Asia Minore” e l’importantissima stima del direttore dei musei turchi, Osman Hamdi Bey.
Humann svelò all’Occidente il passato greco-romano dell’Asia Minore attraverso uno dei suoi regni ellenistici più potenti, quello dei sovrani Attalidi. Morì nel 1896 e fu sepolto a Smirne, ma nel 1967 i suoi resti furono trasferiti a Pergamo; Una lapide a sud dell’altare segna il punto esatto in cui riposano.
L’ASSETTO URBANISTICO

La storia e la fortuna politica di Pergamo non si spiegano senza una precisa nozione del sito e della topografia della città, costruita su una grande collina a forma di sperone orientata verso ovest (335 m sul livello del mare nel punto più alto), che degrada verso sud formando una serie di terrazze. Questo sperone forniva un sito magnifico, ma difficile da sistemare proprio a causa dell’altezza. Gli architetti vi riuscirono sovrapponendo tre città, riunite tra loro mediante scalinate, con belvederi e terrazze a portici che attestano un nuovo gusto per il pittoresco e che si adattavano perfettamente al paesaggio.

L’impianto urbanistico di Pergamo era estremamente scenografico: edifici pubblici come ginnasi, agorà, stoai e santuari si susseguivano su diversi livelli fino al culmine dell’acropoli vera e propria, dove si trovavano le architetture più importanti: il tempio di Athena, l’Altare di Zeus e i palazzi reali, su terrazze disposte a ventaglio intorno al teatro. La stretta relazione tra paesaggio e complessi architettonici non fu conseguenza di un progetto originario, ma di una sistemazione progressiva che giunse a completamento con i lavori di Eumene II e che ebbe inizio, come sembra, con il tempio di Atena Polias, fatto erigere da Filetero all’inizio del III secolo a.C. Il programma edilizio degli Attalidi si strutturò nel corso di quarant’anni, tenendo fermo il rapporto tra la sistemazione a terrazze e le diverse funzioni dell’acropoli (religiosa, militare e residenziale) e organizzando ogni terrazza come spazio aperto circondato da colonnati e portici.
Tale opera ingegneristica rappresentò una rivoluzione nell’architettura dell’epoca, poiché per la prima volta si cercò l’integrazione della città nel suo paesaggio. Il risultato fu una polis a tre livelli che riassumeremo in questo schema:

- La città bassa, oggi sepolta e coperta dall’attuale città di Bergama. Spiccano i resti della Basilica Rossa e del Ponte di Pergamo.
- La città di mezzo, che ha conservato le antiche mura dell’epoca di Attalo I. Tra gli edifici più notevoli vi erano i ginnasi, costruiti su 3 terrazze, e il santuario di Demetra, commissionato da Filandro.
- La città alta, l’acropoli, fu designata come città religiosa, residenziale e militare. Fu costruita intorno al teatro, dietro il quale si trovavano il santuario di Atena Nikephoros (colei che conduce alla vittoria), a cui la città era stata consacrata, e la biblioteca. A nord si trovava il palazzo reale, molto semplice, con caserme e un arsenale. A sud si trovava il grande altare di Zeus, che a sua volta dominava l’agorà.
Pergamo costituisce uno dei più spettacolari esempi di urbanistica del tempo. Nel suo periodo di massimo splendore, la città aveva una popolazione che raggiungeva i 60.000 abitanti.

LA CITTA’ DELLA CULTURA E DELLE ARTI
Nel complesso questa città, costruita per rivaleggiare con Atene e in cui trovano espressione tante ispirazioni nuove, ha rappresentato un mirabile successo. Questo successo si spiega grazie alle molteplici attività di cui Pergamo divenne il centro. Non è solo il commercio a rendere conto dello sviluppo, essendo situata troppo in disparte rispetto alle grandi vie verso l’Asia. Tuttavia era il centro di un ricco territorio agrario (grano, olivi, vigneti), vi si praticava un allevamento scientifico con selezione delle razze e un’industria specializzata: profumi, tessuti pregiati, pergamena (come ricorda il nome stesso della città). Inoltre era la capitale di uno Stato che, senza essere uno dei più grandi regni, era certamente uno dei meglio amministrati e dei più ricchi: con i suoi 170.000 chilometri quadrati e circa cinque milioni di abitanti, poteva tranquillamente contare su ingenti somme di denaro derivate dalla tassazione e dai commerci di materie prime (grano, marmo, legno, metalli preziosi) e prodotti ricercati (vino, olio, tessuti pregiati). Le fortune del regno erano tali che l’aggettivo attalico divenne sinonimo di illimitato.

L’ambizione dei regnanti era di fare di Pergamo l’Atene del mondo ellenistico. La sua Biblioteca faceva concorrenza a quella di Alessandria; il palazzo reale racchiudeva un vero e proprio museo di cultura, nel quale nacque la critica d’arte. Numerosi investimenti furono fatti per gli edifici pubblici (finalizzati alla celebrazione della dinastia) che fecero di Pergamo una delle capitali artistiche del mondo ellenistico. In più vi si trovava una notevole scuola di retorica e un’officina di scultura con artisti protetti dai sovrani. Grazie a questa scuola Pergamo divenne il principale centro dell’arte drammatica. Plinio il Vecchio dice che proprio grazie all’arte di Pergamo i Romani “cominciarono ad amare e non più soltanto ad ammirare le meraviglie straniere.“
LA CITTA’ DELL’APOCALISSE

Il Cristianesimo giunse a Pergamo forse per lo zelo spontaneo di cittadini convertiti, in occasione di loro viaggi e soggiorni a Efeso, dell’apostolo Giovanni o dei suoi discepoli. Ciò sembra confermato dal silenzio su eventuali rapporti di Paolo con questa Chiesa e, viceversa, dalla lettera dell’Apocalisse a essa indirizzata.
“All’angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: Così parla Colui che ha la spada affilata a due tagli: So che abiti dove Satana ha il suo trono; tuttavia tu tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia fede neppure al tempo in cui Antipa, il mio fedele testimone, fu messo a morte nella vostra città, dimora di satana. Ma ho da rimproverarti alcune cose: hai presso di te seguaci della dottrina di Balaàm, il quale insegnava a Balak a provocare la caduta dei figli d’Israele, spingendoli a mangiare carni immolate agli idoli e ad abbandonarsi alla fornicazione. Così pure hai di quelli che seguono la dottrina dei Nicolaiti. Ravvediti dunque; altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve” (Ap 2,12-17).
L’autore dimostra di conoscere assai bene la storia e la situazione culturale della città. La comunità “abita dove Satana ha il suo trono”, nella città che è dimora di Satana (v. 13); perciò essa si trovò necessariamente impegnata in un deciso confronto con il locale culto imperiale. Dallo scritto risulta che la Chiesa rimase saldamente attaccata al nome di Cristo, il Kyrios, e non volle riconoscere questo titolo all’imperatore, cosa che la portò presto all’esperienza del martirio.

Il caso citato di Antipa, che fu il primo martire d’Asia da noi conosciuto, forse fu solo il più illustre, ed è portato ormai come modello di comportamento cristiano in quel difficile ambiente socio-culturale. L’autore incoraggia i fedeli a continuare in questa condotta. Perciò al potere imperiale, che esercitava lo ius gladii, oppone la spada a doppio taglio di Cristo (v. 12), l’unico potere, che il cristiano deve servire.
Tuttavia viene lamentata all’interno della comunità, la presenza attiva dei Nicolaiti sostenitori di una concezione libertina della vita (vv. 14-15). Non pare però che essi avessero presso i fedeli un tale ascolto da destare serie preoccupazioni, perché la minaccia che vien fatta, è rivolta esclusivamente contro costoro (v. 16). Comunque la Chiesa è invitata a fare ogni sforzo per estirpare dal proprio seno questo pericolo mortale (v. 6).
Secondo una tradizione testimoniataci dalle Costituzioni Apostoliche (VII, 46), l’apostolo Giovanni avrebbe costituito vescovo di Pergamo quel Caio a cui indirizzò la sua III Lettera. A parte questa sporadica informazione, non abbiamo molte notizie intorno alla Chiesa di Pergamo alla fine del I secolo e agli inizi del II.
Sappiamo invece che la comunità cristiana ebbe ad affrontare momenti difficili sotto l’imperatore Marco Aurelio (161- 180). La persecuzione anticristiana allora in atto, portò all’arresto e alla condanna di Carpo e Papilo che vennero martirizzati nell’anfiteatro. Dagli Atti del martirio in nostro possesso si desume che Papilo, originario di Tiatira, era un missionario itinerante, mentre Carpo apparteneva al ceto colto della città.

Tra i martiri nativi di Pergamo va considerato anche Attalo presentato negli Atti del martirio di Potino e degli altri cristiani di Lione, come oriundo di Pergamo (Atti, V). Essendo cittadino romano Attalo non seguì subito la sorte dei suoi compagni. Fu soltanto in seguito che egli, assieme ad Alessandro, un medico originario della Frigia, venne sottoposto alla tortura nell’anfiteatro e successivamente decapitato.
Nell’elenco dei vescovi di Pergamo che conosciamo, va ricordato Eusebio che comparve al sinodo di Sardica del 343 nel quale si giunse alla prima grande rottura tra l’Occidente filoniceno e l’Oriente in prevalenza antiniceno. Nel VI secolo la comunità cristiana di Pergamo appare coinvolta nella disputa monofisita e anzi, nel 542, uno dei suoi vescovi, Giovanni, aderì al monofisismo. Accanto alle dispute intraecclesiali che coinvolsero questa Chiesa, occorre ricordare che proprio in Pergamo il paganesimo non cessò mai di esistere del tutto. Ce ne offre una significativa testimonianza il famoso retore pagano Pamprepio che esiliato da Costantinopoli nel 477, trovò riparo—e non senza ragione—proprio qui.
IL “TRONO DI SATANA”
Perché Giovanni si riferì a Pergamo come al luogo “dov’è il trono di Satana”?
Alcuni hanno detto che ciò avvenisse perché Pergamo era a metà strada o il ponte tra la religione dell’antica Babilonia e quella di Roma. È vero, come dice uno storico: “Gli sconfitti Caldei fuggirono nell’Asia Minore e stabilirono la loro principale comunità a Pergamo”, riferendosi alla loro sconfitta nel 539 a.C. Comunque, al tempo in cui Giovanni ebbe la visione scritta nel libro di Rivelazione, nel 96 d.C., la sede di “Babilonia la Grande”, o impero mondiale della falsa religione, era stata trasferita a Roma.

Altri asseriscono che queste parole si applichino a Pergamo perché era uno dei centri dell’adorazione di Esculapio, dio delle guarigioni che aveva come simbolo il serpente. Ma questo simbolo soltanto non sarebbe sufficiente per dare a questa religione la qualifica di sede di Satana; inoltre, non v’è prova che fosse una minaccia per i primi cristiani.
Altri ancora applicano le parole di Giovanni al Grande Altare di Zeus Soter per cui Pergamo era famosa. È vero che questo altare era straordinario per la sua enorme grandezza, ma non è ragionevole concludere che questo fatto soltanto stabilisse dov’è il trono di Satana. Quando consideriamo che Satana è definito l’invisibile “iddio di questo sistema di cose”, è evidente che il suo trono sarebbe stato qualcosa di più di un semplice mucchio di pietre.
Piuttosto, la spiegazione più ragionevole delle parole di Giovanni è che furono applicate a Pergamo a motivo del suo tempio e del suo culto dell’adorazione dell’imperatore. Questa forma di adorazione presentava certamente una seria minaccia per i primi cristiani; furono causati molti martiri perché i cristiani mantenevano l’integrità e rifiutavano di compromettersi. Poiché l’Apocalisse 2:13 menziona il trono di Satana insieme al martirio di Antipa, è ragionevole concludere che le due cose sono in relazione, e questo era possibile se il trono di Satana si riferiva all’adorazione dell’imperatore o dello Stato.
I MONUMENTI

Rispetto agli altri regni ellenistici Pergamo rimane secondario sicuramente come dimensioni e come nobiltà dinastica: i suoi re, infatti, non possono vantare un’ascendenza macedone o basare la loro sovranità sul diritto delle armi; ma per non essere da meno dei Lagidi o dei Seleucidi, che si attribuivano discendenze divine, gli Attalidi rafforzano la loro sovranità con il mito della discendenza da Telefo.
Nel mondo antico vengono soprattutto ricordati per la vittoria contro i Galati, simbolo della vittoria della grecità sulle genti barbare, e per la costruzione di bellissimi monumenti. Attalo I, usando ampiamente del bottino preso dai Galati, diede il via ad un programma di rinnovamento edilizio senza precedenti: trasformò la piccola città in una metropoli elegante, ricca di edifici sontuosi e conclusa da una acropoli, con ampie terrazze e colonnati, raccordate da terrazze ornate da portici e sculture.

Il sito archeologico di Pergamo si concentra essenzialmente sull’antica Acropoli. Questo è infatti il luogo della fondazione della città, dove venne custodito il tesoro consegnato da Alessandro Magno.
Su questa spettacolare altura, che domina il lago da una parte e la pianura dall’altra, si concentrava la vita politica e religiosa di Pergamo.
Partendo dall’ingresso del sito archeologico, vediamo dunque i principali monumenti dell’Acropoli di Pergamo.
Il Tempio di Atena Poliàs

Una volta varcato l’ingresso, l’antica Via Sacra conduce al Tempio di Atena. Nel III secolo a.C. la città, dopo la vittoria di Attalo I sui Galati, si espanse a tal punto da dare vita ad un’acropoli monumentale: su di essa il sovrano eresse un tempio dedicato ad Atena Poliàs (aggettivo che ne determina la funzione di protettrice della città), e ne ornò la piazza antistante con alcune statue bronzee, a noi note tramite altre copie in marmo. Altre sculture vennero collocate da Attalo II donario sull’acropoli cittadina nel 201 a.C.
Tema dominante di queste opere è la vittoria sui barbari, ed il trionfo della civiltà sulla forza. Collocato su una terrazza panoramica, il tempio era collegato con l’Altare di Zeus. Oggi purtroppo non rimane molto di questo edificio, ma è ancora possibile vederne il perimetro e i basamenti delle colonne. Infatti, sul fronte era costituito da sei colonne di ordine dorico. Al suo interno era custodito il famoso tesoro di Attalo I, saccheggiato assieme al tempio stesso. Il frontone del tempio era decorato da varie scene mitologiche, delle quali si conoscono alcune parti. A destra si trovava Proteo, una figura triforme (corpo a forma di serpente con tre teste); il centro era occupato da una statua di Atena, oggi sconosciuta; a sinistra infine si trovava un mostro marino (Tritone), con la coda di pesce, cavalcato da Eracle.
La Via Sacra

Una Via Sacra entra nella fortezza muraria attraverso una porta, detta dell’acropoli, dividendo un complesso orientale che accoglie il palazzo reale, le caserme e gli arsenali. Questa acropoli contiene la più antica agorà porticata a un solo piano. Sempre dalla Via si accede attraverso ingressi monumentali alle varie terrazze.
Poi la Via Sacra prosegue raggiungendo la cima della collina, chiusa ancora dalla fortezza superiore. Qui, nel lato occidentale sono collocati il teatro e le terrazze, che gradatamente si elevano, del mercato, dell’altare, del recinto di Atena e del Traianeum.
Sul lato meridionale, dove la strada piega a gomito e il dislivello è forte, la facciata è a tre piani, il primo con porte, il secondo con finestre, il terzo con pilastri. Nell’agorà è un tempietto in antis con colonne doriche dove le scanalature sono unite con ponticelli. Quattordici metri più in alto, collegata con una scala, è la terrazza dell’altare dedicato a Zeus e Atena Nikephòros che aveva certamente un propylon sulla strada, del quale però non si conosce l’aspetto.
Il Tempio di Traiano (Traianeum)

Nel punto più alto dell’acropoli si trova il Tempio di Traiano, il Traianeum. Il Tempio è chiamato anche Tempio di Zeus Philios, poiché sia Zeus che Traiano venivano venerati nel Tempio, con il primo che condivideva lo spazio con il secondo. Il tempio si erge su un podio alto 2.9 m posto sopra una terrazza voltata. Il tempio stesso era un tempio corinzio periptero, largo circa 18 metri, con sei colonne sui lati corti e nove sui lati lunghi, e due file di colonne in antis. A nord, l’area era chiusa da una stoà alta, mentre sui lati ovest ed est era circondata da semplici muri in pietra squadrata, fino a quando ulteriori stoai furono aggiunte durante il regno di Adriano.
Durante gli scavi sono stati trovati frammenti di statue di Traiano e Adriano tra le macerie della cella, inclusi i loro ritratti scolpiti, oltre a frammenti della statua di culto di Zeus Philios. Dopo un incendio fu ricostruito agli inizî del III sec. e venne dedicato a Caracalla.
Il Tempio di Dioniso

Dietro le scene dell’antico Teatro, si ergeva il Tempio di Dioniso. Non è un caso che si trovasse proprio qui, in quanto questa divinità viene spesso associata alle origini del teatro. A Pergamo, Dioniso aveva l’epiteto Kathegemon, ‘la guida’, ed era già venerato nell’ultimo terzo del III secolo a.C., quando gli Attalidi lo fecero diventare il dio principale della loro dinastia. Nel II secolo a.C., Eumene II (probabilmente) costruì un tempio per Dioniso all’estremità settentrionale della terrazza del Teatro. Il tempio in marmo si trova su un podio, a 4,5 metri sopra il livello della terrazza del teatro, ed era un tempio ionico prostilo. Il pronaos era largo quattro colonne e profondo due colonne, ed era accessibile tramite una scalinata di venticinque gradini.
Solo poche tracce della struttura ellenistica sopravvivono. La maggior parte della struttura esistente deriva da una ricostruzione del tempio che probabilmente ebbe luogo sotto Caracalla, o forse sotto Adriano. Da qui si diramava una lunga stoà porticata che costeggiava le scene del teatro e collegava il tempio al ginnasio.
Il Teatro

La struttura più spettacolare che possiamo ammirare oggi è senza dubbio il Teatro, uno dei più ripidi del mondo, non raccomandabile a chi soffre di vertigini, a causa della morfologia e degli spazi ridotti dell’Acropoli. È in effetti un teatro unico, con cavea stretta ma altissima, composta da numerosi ordini di gradini in forte pendenza, che si estendono su 50 m di altezza offrendo un totale di 10.000 posti a sedere. Il teatro, di età ellenistica, aveva 83 ranghi di sedili di trachite e originariamente la scena in legno. Eumene II costruì la tribuna reale e i Romani la scena stabile in pietra.
Come tutti i teatri greci ha sfruttato al massimo la pendenza del terreno, visto che l’acropoli veniva eretta sulla cima del colle e il teatro sui suoi fianchi.
Oltre alla cavea restano parti minime della scena costituite da un rettangolo di pietra situato proprio sul bordo del precipizio. È stato costruito nel III secolo a.C., ed ha subito alcuni cambiamenti architettonici durante il periodo romano sotto il regno di Caracalla. Oggi, ammirare queste ripide scalinate nel contesto in cui si inseriscono è una delle emozioni più forti che si possono provare in Turchia.
La Biblioteca

Pergamo fu sede di una biblioteca che si presume custodisse circa 200.000 volumi, secondo gli scritti di Plutarco (testimonianza da prendere comunque con cautela dato che le cifre si possono facilmente corrompere nella trasmissione testuale). Costruita da Eumene II e situata nella parte settentrionale dell’Acropoli, divenne una delle più importanti biblioteche antiche, la seconda più grande e importante del mondo antico, superata solo da quella di Alessandria. Il suo interno fungeva anche da scuola per gli studi grammaticali, sebbene incentrati sulla filosofia stoica. Questo boom culturale, unito alla ricchezza della sua industria, attirò numerosi artisti disposti a modificare lo stile classico greco in base alle influenze che Alessandro Magno aveva lasciato prima della sua morte. La rottura architettonica si riflette nel famoso altare di Zeus, costruito tra il 180 e il 160 a.C. durante il regno di Eumene II.

La leggenda narra che Marco Antonio in seguito diede a Cleopatra tutti i 200.000 volumi di Pergamo per la Biblioteca di Alessandria come regalo di nozze, svuotando gli scaffali e terminando quindi il predominio della Biblioteca di Pergamo. Non esiste oggi un indice o catalogo dei contenuti della biblioteca, rendendo impossibile conoscere la vera dimensione e la portata di questa collezione.

Resoconti storici sostengono che la biblioteca possedeva una grande sala di lettura principale (13, 5 × 16 m), allineata con molte mensole. Uno spazio veniva lasciato vuoto tra le pareti esterne e le mensole per permettere la circolazione dell’aria. Questo aveva lo scopo di evitare che la biblioteca diventasse eccessivamente umida nel clima caldo dell’Anatolia e può essere visto come un primo tentativo di conservazione preventiva del libro. I manoscritti erano scritti su pergamena, arrotolati e poi archiviati su questi scaffali. Una statua di Atena, la dea della saggezza, si trovava nella principale sala lettura.
La posizione dell’edificio della biblioteca non è certa. Dalle prime campagne di scavo del XIX secolo, è stata generalmente identificata con un annesso della stoà settentrionale del santuario di Atena nella Cittadella Superiore, costruito da Eumene II. Tuttavia, iscrizioni trovate nel ginnasio che menzionano una biblioteca potrebbero indicare che l’edificio si trovasse in quell’area.
La Pergamena. Pergamo viene riconosciuta come la prima creatrice della pergamena (charta pergamena, cioè di Pergamo). Prima della pergamena, i manoscritti venivano trascritti su papiro, che era prodotto ad Alessandria.
La fondazione della Biblioteca è infatti attribuita a re Eumene II, successore di Attalo, che chiamò a corte Cratete di Mallo, rappresentante della Scuola Pergamena, che perfezionò la tecnica per produrre la pergamena, in effetti già conosciuta ma non ben sfruttata. Secondo Plinio il Vecchio, questo supporto fu inventato dallo stesso Eumene II, quando il sovrano egizio Tolomeo V vietò l’esportazione dei rotoli di papiro da Alessandria a Pergamo.
Ciò condusse alla produzione di pergamena, fatta di fogli sottili di pelle di pecora o capra. La pergamena ridusse la dipendenza dell’Impero Romano dal papiro egiziano e permise una maggior diffusione di conoscenza in tutta l’Europa e Asia. Con l’introduzione della pergamena Pergamo accrebbe più facilmente il patrimonio della Biblioteca di Pergamo, col vantaggio di poter esportare i manufatti da lei prodotti.
L’ALTARE DI ZEUS

Non possiamo non dedicare un titolo a parte per la struttura più famosa della città: l’altare monumentale, talvolta chiamato Grande Altare, probabilmente dedicato a Zeus e Atena. Le sue fondamenta si trovano ancora nell’acropoli, ma i resti del fregio, che originariamente lo decoravano, sono esposti al Pergamonmuseum di Berlino, in una parziale ricostruzione.

L’altare è stato dedicato a Zeus Soter e Athena Nikephoros, Zeus salvatore e Athena portatrice di vittoria, proprio perché si voleva celebrare la fine della guerra e la vittoria contro i Galati, una tribù di origine celtica che si era stanziata in Asia Minore. Nel 230 a.C., i Galati, mossi dall’idea della conquista di quelle prosperose terre invasero la regione e il re di Pergamo, Attalo I, decise di opporsi all’aggressione guidando personalmente il suo esercito.
La guerra durò diversi anni e fu caratterizzata da una serie di scontri violenti e di grande intensità. I Galati, pur essendo una tribù temuta e rispettata per la loro ferocia in battaglia, furono infine sconfitti grazie alle strategie militari innovative di Attalo I che ha saputo utilizzare al meglio le caratteristiche del terreno e il potenziale delle truppe a sua disposizione.
La vittoria sui Galati ha rappresentato un importante successo per il regno, che consolidò così il suo potere e la sua posizione politica nella regione. Per celebrare l’evento, dicevamo, fu costruito l’altare dedicato a Zeus Soter e ad Attalo I.

Il monumento dominava l’intera vallata e la città mediana. Infatti, questo imponente edificio era visibile anche a chilometri di distanza e testimoniava tutta la potenza della città. Vi si accedeva tramite un’enorme scalinata monumentale.
Alto 25 metri, 35 metri di lunghezza per 33 metri di larghezza, decorato con 118 colonne ed interamente costruito in marmo dell’Asia Minore, presentava uno splendido fregio con decorazioni di altissimo livello artistico. In effetti l’Altare di Zeus è considerato uno dei più grandi capolavori dell’arte ellenistica.
L’altare ha una forma quadrangolare, con la facciata rivolta alla vallata, con una ininterrotta scalinata sul fronte, per far luogo ai due avancorpi distanziati da una scalinata centrale, larga quasi venti metri.
Dopo i gradini ininterrotti, si alzava sugli avancorpi un basamento alto circa 4 m, lungo il quale si sviluppava, per tutta l’altezza e la lunghezza, il “grande fregio” continuo con la rappresentazione in rilievo della Gigantomachia.

Si accedeva poi al livello superiore sul fronte, sempre tramite la prosecuzione della scalinata centrale, che conduceva a un grande vano, alto circa 6 m, circondato da un colonnato ionico continuo, che proseguiva anche lungo gli avancorpi.
All’interno del vano correva lungo tutte le pareti un secondo colonnato, fatto a coppie di colonne unite da mura a formare delle sale. probabilmente qui vivevano i custodi del tempio con i loro magazzini, con gli arredi per le processioni e i sacrifici in onore del Dio. L’altare vero e proprio si trovava al centro e su di esso si trovava il “piccolo fregio”, con le Storie di Telefo, figlio di Eracle, il fondatore della città, forse mitico o forse no.
Per costruire l’altare, fu creata un’area pianeggiante tramite terrazzamenti, per orientarlo rispetto al vicino Tempio di Atena.
Un tempio al contrario
La suggestione è data dal fatto che l’altare di pergamo è un tempio al contrario, le colonne sono in alto e il fregio è posto alla base; un fregio molto più alto del tempio greco classico, posto davanti agli occhi di chi guarda e che invade il campo visivo con le figure giganti rappresentate.
La Gigantomachia

La base dell’altare misurava circa 36 x 33 metri ed era decorata all’esterno con una rappresentazione dettagliata in altorilievo della Gigantomachia (o Titanomachia), la battaglia tra gli dei dell’Olimpo e i Giganti, esseri mostruosi figli del Cielo e della Terra che avevano osato sfidare la sovranità di Zeus dando l’assalto alla dimora divina. Il fregio è alto 2,30 metri e ha una lunghezza totale di 113 metri, rendendolo il secondo fregio più lungo dell’antichità dopo il fregio del Partenone ad Atene. Nelle scene erano trasposti inoltre anche i recenti fatti della guerra appena vinta contro i barbari Galati. L’identificazione di questi ultimi non è casuale: fonti attestano infatti che per incutere timore ai nemici, i Galati usassero acconciarsi i capelli in piccole ciocche rigide, frizionandoli con un impasto di gesso, chiamato tìtanos, da cui l’ulteriore similitudine al termine Titànes, i Titani, simili ai giganti.

La decorazione seguiva un programma erudito, elaborato probabilmente dai filologi della Biblioteca di Pergamo. Se nella parte orientale i Giganti lottano infatti con le tradizionali divinità olimpiche, nei restanti lati un folto gruppo di divinità minori affollava le scene: a nord gli dei della notte, a sud gli dei della luce, a ovest le divinità marine e Dioniso.



Varie iscrizioni ricordano la presenza nel cantiere di numerosi artisti, pergameni, ateniesi e forse rodi. Non si conosce però il maestro che orchestrò tutta l’opera. Qualcuno ha suggerito Firomaco, scultore e pittore, uno dei sette più grandi scultori greci. Questa ipotesi, secondo alcuni, troverebbe una conferma stilistica in alcune scene, dove l’impostazione di Zeus e Atena che combattono, ad esempio, ricorda quella di Atena e Poseidon nel frontone occidentale del Partenone di Fidia.
Il Fregio di Telefo

L’esaltazione della dinastia degli Attalidi si ripropone nel fregio minore il Piccolo Fregio, a bassorilievo, di circa 80 metri di lunghezza per circa 1,5 metri di altezza, dove le vicende di Telefo mitologico fondatore della città di Pergamo stabiliscono la discendenza divina di Eumene II.
Il fregio, contenuto nelle pareti interne del colonnato, è continuo, non ha pause o interruzioni, ma si presenta come un unico testo narrativo, pur rappresentando momenti ed episodi temporalmente distinti. La narrazione si svolge secondo una successione temporale delle scene, separate da alberi, colonne, pilastri o semplicemente da personaggi posti di spalle l’uno all’altro.

Telefo era figlio di Eracle e Auge: a causa di una profezia che prediceva la morte del nonno per causa sua, il bambino venne abbandonato e destinato a morte certa. Ma il cacciatore che avrebbe dovuto ucciderlo, lo abbandonò su una montagna; il piccolo si salvò poiché venne allattato da una cerva, da cui il suo nome, thele mammella, elaphos cerva, per cui Telefo. Il destino volle che incontrasse la madre e la riconoscesse. Dopo Eracle combatté contro i Greci e venne ferito da Achille, che fu obbligato a guarirlo.
Sotto i Romani venne modificato il mito, dicendo che se Romolo e Remo erano stati allevati da una lupa, Telefo doveva essere stato allevato da una leonessa. Divenne capostipite e fondatore della città.
La scoperta e il trasporto in Germania
Il grandioso altare venne rinvenuto dall’ingegnere tedesco Carl Humann verso metà Ottocento, quando ricevette l’incarico della costruzione di alcune strade nell’area, allora parte dell’Impero ottomano; durante i lavori presso l’antico forte di epoca bizantina vide che vi erano inglobati bellissimi fregi scolpiti, visibilmente provenienti da un monumento diverso e più antico.

Gli scavi iniziarono nel 1878, portando al rinvenimento di vari resti archeologici e di imponenti lastre marmoree scolpite; l’opera però era stata parzialmente smembrata già in epoca bizantina. Nel 1886 il frontone occidentale dell’altare fu portato da Pergamo a Berlino, Germania, con il permesso del sultano ottomano Abdul Hamid II.
La ricomposizione del Fregio della Gigantomachia si deve a Otto Puchstein e a R. Bohn che furono aiutati dagli scultori italiani Freres e Possenti. Essa fu resa possibile dal fatto che le lastre del fregio della gigantomachia erano numerate con cifre accoppiate, di cui una d’indice e l’altra di catena. Al di sotto del fregio sulla base erano iscritti i nomi dei giganti e quelli degli artisti; sulla cornice al di sopra del fregio i nomi degli Dei. Anche questi elementi resero possibile la ricostruzione che nel complesso è molto ben riuscita.

Quando Conze donò il fregio dell’altare di Pergamo all’Accademia delle scienze di Berlino, l’Impero tedesco si trovò di fronte a un monumento paragonabile al fregio delle Panatenee del Partenone, che l’Inghilterra conservava nel suo British Museum.
In Germania, le immagini sul fregio evocavano un evento recente della sua storia: la vittoria di Bismarck sulla Francia nel 1870 e la successiva proclamazione di Guglielmo I come imperatore del nuovo Reich tedesco.
Nel 1896, in concomitanza con il 25° anniversario della fondazione dell’Impero, fu organizzata a Berlino una grande mostra incentrata su una riproduzione dell’altare di Pergamo, i cui gradini conducevano a un tempio di Zeus, copia di quello di Olimpia. La mostra era completata da diorami e dipinti con scene di Pergamo e della storia tedesca, nonché da attori che rappresentavano il trionfo degli Attalidi sui Galli, con riferimenti alla vittoria tedesca sui francesi.


Una curiosità: la suggestione esercitata dall’Altare di Pergamo fu tale da essere di ispirazione per la realizzazione dell’Altare della Patria a Roma, conosciuto come Il Vittoriano.
A causa dell’intensificarsi degli attacchi aerei alleati dopo il 1944, l’opera fu nascosta nella torre Flak del Zoologischer Garten Berlin, sopravvivendo indenne ai bombardamenti. Nel 1948, il fregio dell’Altare di Zeus fu confiscato dall’Armata Rossa che lo portò a Leningrado. Solo dieci anni più tardi, il fregio ritornò nella Repubblica Democratica Tedesca, come regalo da parte dell’allora Unione Sovietica.
Oggi, il governo turco sta cercando di riprenderlo dalla Germania portando il problema alla corte internazionale.
Il Piccolo Donario
Cinquecento anni fa vennero scoperte 10 tra le sculture che componevano il cosiddetto Piccolo Donario Pergameno, un complesso scultoreo riproduceva parte del più articolato ex voto per le vittorie ottenute da Attalo I (269 – 197 a.C.), la cui versione originale in bronzo si trovava sull’Acropoli di Atene. Esse si trovavano sotto le colonne dell’altare e comprendevano una serie di statue di divinità, tra cui quella di Zeus seduto su un trono, una figura di Atena e quella di Nike (la dea della vittoria). Tra le tante, eseguite in bronzo, restano due copie in marmo di eccezionale bellezza che rappresentano la celebrazione del nemico sconfitto ma virtuoso: le statue del Galata morente e del Galata Suicida.



Il Galata morente, esposto ai Musei Capitolini a Roma, rappresenta un guerriero a terra, gravemente ferito e in attesa della morte imminente. La sua espressione è drammatica, con la testa china e il volto contratto dal dolore.
Il Galata suicida che si trova a Palazzo Altemps è un gruppo scultoreo che rappresenta un guerriero celtico intento a togliersi la vita. È una scena carica di pathos e di dramma, il guerriero si trafigge con la spada il costato e intanto sostiene il corpo della moglie che ha appena ucciso.
In entrambe le statue, i protagonisti sono attentamente caratterizzati dal punto di vista etnico, con gli zigomi alti, le lunghe ciocche della capigliatura, i baffi e la collana torque al collo, testimoniando l’occhio analitico degli artisti di Pergamo.
GLI ALTRI MONUMENTI DI PERGAMO

Nonostante gli scavi in questa zona siano ancora in corso e i resti siano piuttosto scarsi, è comunque possibile accedere nella parte mediana dell’Acropoli scendendo le ripide scalinate del teatro. Qui sorgevano le abitazioni civili dei cittadini, oltre che alcuni edifici religiosi.
Il Tempio di Demetra

Situato all’estremità orientale della città mediana, era il principale edificio religioso civile. Oggi, nonostante rimangano pochi resti, è ancora visibile il perimetro e si può ammirare la ricchezza dell’Acropoli e del Teatro dal basso. Il Tempio di Demetra a occupava un’area di 50 x 110 metri sul livello centrale della pendice sud della cittadella. Il tempio era molto antico; la sua costruzione risale al IV secolo a.C.

Il santuario era accessibile tramite un propilo da est, che conduceva a una corte circondata da stoà su tre lati. Al centro della metà occidentale di questa corte sorgeva il tempio ionico di Demetra, un semplice Tempio in antis, delle dimensioni di 6,45 x 12,7 metri, con un portico in ordine corinzio che fu aggiunto durante il periodo di Antonino Pio. Il resto della struttura era di epoca ellenistica, costruita in marmo locale, e presentava un fregio marmoreo decorato con bucrani. Circa 9,5 metri davanti all’edificio rivolto a est, si trovava un altare, lungo 7 metri e largo 2,3 metri. Il tempio e l’altare furono costruiti per Demetra da Filéteo, suo fratello Eumene e loro madre Boa.
Nella parte est della corte, c’erano più di dieci file di sedili disposte davanti alla stoà settentrionale per i partecipanti ai misteri di Demetra. Circa 800 iniziati potevano sedersi su questi seggi.
Ginnasio superiore, medio, inferiore

I ginnasî furono eretti su tre terrazze parallele nel rapporto di altezza di m 12 l’una dall’altra. Nella prima si esercitavano i pàides (fanciulli), nella seconda gli èpheboi (efebi), nella terza i neòi (i giovani). Nell’una il muro di fondo era ornato con nicchie e statue, nell’altra era un piccolo tempio tetrastilo dorico del II sec. a.C., l’ultima fu completamente rifatta nell’età romana.
Il centro di essa è occupato da un portico a due piani di colonne corinzie; nel lato ovest vi sono varie sale e un tempio ionico con quattro colonne sul fronte, a nord c’è un auditorium che poteva ospitare mille persone, fornita di due absidi e addetta al culto dell’imperatore. A est invece sono collocate le terme disposte in undici ambienti.
La terrazza più bassa e meridionale è piccola e quasi priva di edifici. È conosciuta come ginnasio inferiore ed è stata identificata come il ginnasio dei ragazzi. La terrazza centrale misurava circa 250 metri di lunghezza e 70 metri di larghezza al centro. Sul lato nord c’era una sala a due piani. Nella parte est della terrazza si trovava un piccolo tempio prostilo in stile corinzio. Tra la terrazza centrale e quella superiore si trovava uno stadio coperto.
La terrazza superiore misurava 150 x 70 metri, rendendola la più grande delle tre. Consisteva in un cortile circondato da stoà e altre strutture, con dimensioni approssimative di 36 x 74 metri. Questo complesso è identificato come una palestra e aveva una sala per lezioni a forma di teatro oltre la stoà settentrionale, probabilmente di epoca romana, e una grande sala per banchetti al centro. Ulteriori stanze di funzione incerta erano accessibili dalle stoà. A ovest si trovava un tempio a ante di stile ionico, il santuario centrale del gymnasium. L’area orientale fu sostituita da un complesso di bagni romani.
L’Asklepieion

Fuori dal nucleo urbano dell’antica Pergamo e a ovest rispetto all’attuale Bergama, venne costruito l’Asklepieion. Questo luogo era un insieme di grandiosi edifici dedicati alla cura delle persone. L’importanza che la città ricopriva in tutto il Mediterraneo nel campo della medicina era nota anche in paesi lontani. Infatti, il più grande medico dell’antichità era Galeno ed era originario proprio di Pergamo. Fu proprio a Pergamo che si sviluppò il culto di Asclepio che poi si diffuse in altre regioni del mondo ellenistico (fino ad arrivare a Roma); questa divinità veniva associata a Zeus, tanto che il prefisso soter, utilizzato convenzionalmente per Zeus, a Pergamo viene affiancato al nome di Asclepio.
Il Tunnel dell’Asklepion

Situato a valle, e fuori dalle mura cittadine, l’Asklepieion si raggiungeva tramite la Via Tecta. Si trattava di fatto di una strada coperta che collegava i ginnasi a questo centro benessere dell’antichità. Questa via oggi si chiama Tunnel dell’Asklepion ed è ancora percorribile.
Il Tempio di Asklepion

Il tunnel giungeva così ad una strada porticata diretta al Tempio di Asklepion. Essendo questa un’area dedicata alla cura e alla guarigione, pare ovvio che il tempio fosse dedicato al dio della medicina. Qui venivano fatte richieste di guarigione alla divinità, prima di accedere alle strutture riservate alla cura.
Il Teatro di Asklepion

A destra del tempio sorge invece il Teatro di Asklepion, di piccole dimensioni ma incredibilmente ben conservato. Nell’antichità era raggiungibile tramite una strada lastricata e costeggiata da portici ricchi di botteghe. Il teatro poteva ospitare fino a 3.500 persone e qui i pazienti venivano curati tramite il suono della musica.
I Bagni di Pergamo

Infine, nell’area sono ancora ben visibili i famosi Bagni di Pergamo. In epoca ellenistica queste vasche erano utilizzate per la cura dei malati. Nonostante sia stato appurato che l’acqua della zona non ha alcuna proprietà curativa, questi riti avevano un valore religioso di grandissima importanza.
Poco più avanti, si ergono invece i resti del Tempio di Telesforo. Qui i pazienti, ricoverati direttamente sulla terra nuda, rimanevano in attesa che le divinità apparissero in sogno indicando il mezzo della guarigione.
La Basilica Rossa

In turco è chiamata Kizil Avlu (Corte rossa) ed è quanto resta di un grande tempio costruito nel secolo II d.c. in onore del Dio egizio Serapide, a cui era sacro l’elemento dell’acqua. Infatti le sue fondamenta erano (e sono) posizionate sopra due gallerie dove scorre il Selino, breve fiume locale.
Una basilica cristiana venne sistemata, probabilmente nella seconda metà del V secolo all’interno dei resti del tempio (che proprio a causa delle sue considerevoli dimensioni non fu interamente riconvertito) e dedicata ai santi Giovanni e Paolo. Oggi Kizil Avlu è una piccola moschea.

In base alla tecnica di costruzione in laterizio (insolito in questa regione, di colore rosso, da cui deriva il nome moderno dell’edificio) si suppone che l’architetto fosse stato originario dell’Italia. Il tempio doveva essere dedicato a Serapide o a Iside e doveva ospitare anche il culto di altre divinità egizie (Arpocrate, Osiride Api, Elio). L’edificio potrebbe essere stato commissionato dall’imperatore Adriano, che aveva una predilezione per le divinità egizie. La notevole altezza del muro che recinge l’area del santuario doveva essere motivata dal desiderio di nascondere all’esterno le cerimonie che vi si svolgevano, nelle quali l’acqua doveva svolgere un ruolo importante.

Il tempio era costituito da una vasta sala, che si estendeva per 60 m in lunghezza (in senso est-ovest) e per 26 m n larghezza, con muri che si conservano per un’altezza di circa 20 m. Alla sala si accedeva per mezzo di un enorme portale ad arco, largo 7 m e alto 14 m preceduto da sei gradini marmorei. I pilastri laterali del portale ospitano delle scale che permettevano di accedere agli ambienti sotterranei. All’interno erano presenti cinque nicchie arcuate nelle pareti laterali (altezza 6 m e larghezza 3,12 m a partire da 2,70 m di altezza), sormontate più in alto da finestre. Le nicchie dovevano essere fiancheggiate da colonne, probabilmente su due ordini. La parete di fondo non si è conservata. Le pareti interne ed esterne della sala e la sua pavimentazione erano ricoperte da lastre in marmi colorati.
Al centro della sala è un bacino incassato nel pavimento e un canale rivesto in alabastro egiziano, da dove una condotta scarica l’acqua nel cortile. Oltre il bacino è presente un podio di 1,50 m di altezza, che ospita un basamento a pianta quadrata, che doveva ospitare una statua di culto colossale. Un piccolo vano ricavato nel basamento della statua forse permetteva di accedere all’interno della scultura per “farla parlare”. Sotto il podio è presente una sala sotterranea fu utilizzata come cisterna.

Sotto il tempio e i suoi cortili laterali è presente un complesso di ambienti sotterranei e corridoi, coperti da volte poggianti su pilastri. Questo insieme doveva avere diversi accessi, tra cui sono stati identificate delle scale ai lati della rotonda meridionale. Al di sotto del tempio era possibile che da questo complesso sotterraneo si potesse accedere al basamento della statua di culto. Questo insieme è stato interpretato come una raffigurazione del mondo sotterraneo connessa a dei riti di iniziazione oppure come un sistema di percorsi per i sacerdoti, che forse non fu mai interamente operativo.
Nella trasformazione in basilica cristiana il pavimento della sala templare venne rialzato di circa 2,5 m, inserendo frammenti dell’originaria architettura interna della sala. Le fondazioni dei colonnati davanti alle pareti laterali furono riutilizzate per i colonnati che dividono la basilica in tre navate, con quelle laterali larghe solo circa 1/3 di quella centrale. Il muro di fondo est fu sostituito da un’abside, tuttora conservata. Un fregio a girali che decorava la navata centrale era di reimpiego.
LA SCUOLA DI PERGAMO

L’importanza artistica di Pergamo non sta solo nella sua urbanistica monumentale ma soprattutto nella sua scuola di scultura, cui affluirono artisti da ogni parte della Grecia, che diede luogo a quella corrente artistica detta appunto pergamena La Scuola di Pergamo fu pertanto una corrente artistica dell’età ellenistica, assieme a quella alessandrina e quella rodia. Si sviluppò nel Regno di Pergamo, dominato dalla dinastia degli Attalidi dal 263 a.C. e controllante una larga fetta dell’Egeo, oltre all’area circostante in Asia Minore. Per l’energia delle rappresentazioni, il senso teatrale del movimento e il suo virtuosismo, la scuola di Pergamo è stata definita come “barocca”.
All’arte pergamena vanno ascritti anche altri gruppi, come quello celebre di Laocoonte, e il gruppo di Menelao e Patroclo, noto dalla copia fiorentina della Loggia dei Lanzi e del Pasquino. Della perduta pittura pergamena si può trovare un’eco in alcune pitture pompeiane con il mito di Telefo.


La valida scultura pergamense non si limitò a imitare Fidia e Skopas, ma si ispirò alle loro opere per costruzioni di gusto diverso, più aereo nei movimenti ma più passionale nella carnalità delle figure.
Questa spontaneità confluirà nel verismo dell’ultimo periodo ellenico ma soprattutto sull’arte romana.
Si pensa che artisti pergameni siano stati inviati in Grecia per copiare delle pitture. Un piccolo dipinto pompeiano, dove un guerriero armato e coronato alza insieme a Nike un trofeo, deriva probabilmente da un dipinto pergameno dove il generale vincitore era Attalo I.
CONCLUSIONI
Il valore culturale di Pergamo è incalcolabile, non solo per la sua ricchezza storica e architettonica, ma anche per il suo impatto sulla cultura e sulla religione. L’inserimento della città nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO (vedi scheda) nel 2014 sottolinea la sua importanza globale. La città non è stata solo un faro della cultura ellenistica, ma ha anche svolto un ruolo cruciale nella diffusione del Cristianesimo, il che rafforza la sua rilevanza spirituale e religiosa.
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