“Magari ci vediamo l’anno prossimo” dichiarava Rafael Nadal al termine di quella che è stata la sua ultima partita a Madrid, al torneo dove non ha vinto di più, ma dove era il padrone di casa. Quella di Rafa è stata una primavera sul rosso di lacrime, di saluti, il momento della stagione in cui il ritiro della leggenda della terra rossa sembrava qualcosa di vicino ed imminente, così è stato: con un post su Instagram Nadal ha annunciato la conclusione della sua avventura nel mondo del tennis professionistico, una scelta obbligata poiché ormai, a 38 anni il suo fisico non gli permette più di competere al livello che merita. La fugace comparsa a Roma, agli scorsi Internazionali d’Italia è un esempio lampante: una partita vinta in sofferenza contro Bergs e poi una disfatta totale ed ingenerosa con Hurkacz, un ko doloroso che ha spinto Rafa a non volere neanche la cerimonia che era stata allestita per il suo ultimo saluto al Centrale del Foro Italico. In compenso ha ricevuto un bagno di folla sotto al ponte che sovrasta il complesso dove si svolge il torneo romano. A differenza di Madrid non ha avuto l’occasione di congedarsi a dovere con un altro dei suoi tornei, l’ATP di Montecarlo dove ha vinto undici volte “Sono tempi difficili per me dal punto di vista sportivo” aveva dichiarato lo scorso aprile annunciando il forfait nel principato. E’ andata meglio nel tempio della terra rossa, quella che è ufficialmente la sua seconda casa, dove gli è stata dedicata una statua, il luogo in cui ha scritto, con il suo tocco da finto mancino, pagine e pagine di epicità sportiva. Rafa ha avuto il privilegio di salutare il suo Roland Garros per due volte nell’ultima stagione perdendo, complice uno sfortunatissimo sorteggio, con Zverev a giugno e con Djokovic ai Giochi Olimpici. Tutto il mondo sportivo ha trattenuto il fiato lo scorso 26 luglio, quando la torcia olimpica passava dalle mani di Zinedine Zidane alle sue. “Che sia lui l’ultimo tedoforo di Parigi 2024?” Ce lo eravamo chiesti in molti con un pizzico di speranza, ma l’immagine del Re maiorchino di Francia sul battello con la torcia in mano al fianco di Carl Lewis, Nadia Comeneci e Serena Williams è ugualmente suggestiva. Sorrideva quella sera Rafa, come non lo si vedeva fare da tempo, e chissà se in quel momento gli è passato per la mente il pensiero di rimandare ancora il giorno del ritiro. Un sogno impossibile considerate le sue condizioni fisiche, anche per lui che nel corso della carriera ha riscritto i limiti del successo sui campi da tennis: 22 slam, 209 settimane da numero uno al mondo, 92 tornei ATP, cinque vittorie in Davis e 14 successi al Roland Garros, un record assoluto. Proprio per questo è giusto che una delle ulitme immagini della sua carriera sia quella della torcia olimpica della Ville Lumiere, l’altra casa di Rafa che negli anni, per forza di cose, ha sviluppato un rapporto con Parigi e i suoi campi idilliaco, come fossero due arterie diverse dello stesso cuore -parafrasando Venditti-. Nel corso della sua carriera ogni stagione, ogni piano di gioco si incentrava sull’ aggiungere un ulteriore successo sullo Chatrier allo slam giocato nel complesso dedicato all’aviatore francese vissuto a cavallo tra l’Ottocento ed il Novecento. 112 partite vinte su quei campi e solo quattro sconfitte, due con Djokovic (2015 e 2021), una con Soderling (2009) e l’ultima con Zverev in questo 2024, record su record di una carriera ineguagliabile del più grande giocatore di sempre sula terra rossa, è il King of clay.
Rafael Nadal, il tennis non sarà più lo stesso
E’ notizia recente l’abolizione dai campi di Wimbledon dei giudici di linea e la conseguente totale fiducia nella tecnologia, tuttavia il tennis del futuro non sarà più la stessa cosa non per questo motivo. Rafael Nadal è uno di quei campioni in grado di spostare gli interessi degli sportivi di tutto il mondo, qualcosa che riesce solo ai più grandi delle proprie discipline come Lebron James, Armand Duplantis o Marc Marquez -per restare in tema Spagna-. Questa giornata era attesa, non si può definire un fulmine a ciel sereno anzi, due anni fa, assistendo con commozione e malinconia all’ultimo ballo di Roger Federer abbiamo tutti pensato anche a Rafa che in lacrime sulla panchina della O2 Arena al fianco del Maestro Svizzero partecipava attivamente alla passerella dell’amico, “Con lui ho vissuto dei momenti che non dimenticherò mai per tutta la mia vita” ha affermato su Instagram. Non più rivale, perché da quel giorno Roger e Rafa sono rimasti solo amici, non più due tennisti in lotta per uno slam o per il numero uno al mondo, semplicemente due ragazzi che si sono divertiti insieme sul rettangolo di gioco per quasi due decadi. “Gli ulitmi due anni sono stati difficili per me, non penso di poter giocare ancora senza limitazioni” la motivazione che uccide sul nascere le speranze che aveva cercato di alimentare alla Caja Magica con quella battuta che abbiamo ripreso all’inizio dell’articolo. L’ultimo ballo di Re Roger fu alla Laver Cup, torneo atipico, unico, ma pur sempre amichevole, quello di Rafa invece avrà la Coppa Davis a far da teatro, una manifestazione che ha scritto la storia della racchetta per oltre 100 anni. “Vincerla è stata una delle mie più grandi gioie”, detto da uno che può vantare il suo palmares è un bel motivo di vanto per il torneo che potrebbe ospitare un ultima pagina da inserire negli annali dello sport, sotto il segno del Mancino di Mancor.
Come quando Connors affermava “Ho sempre giocato per vincere” anche Rafa è sempre stato particolarmente ferito dalle sue, poche, sconfitte ma da vero campione ha in ogni caso riconosciuto il valore dei suoi avversari. Pensiamo a quando nel 2009 dopo un triplo 6-2 incassato da Juan Martin Del Potro distolse l’attenzione dai suoi problemi fisici per complimentarsi con l’argentino: “Non voglio cercare scuse, lui oggi ha giocato meglio di me”. E’ l’immagine di un Nadal che ha sempre pensato al qui e ora, condizionando il suo fisico pur di portare a casa anche solo un quarto di finale a Wimbleodon (2022) per poi ritirarsi alla vigilia della semifinale con Kyrgios (che ironicamente sui social ha espresso la richiesta di poter giocare con lui un’ultima volta). E’ la leggenda del guerriero finto mancino (è stato lo zio Toni a convincerlo a giocare con la mano sinistra e non con la destra) che con un fisico tanto affascinante (iconico il suo stile con il bicipite messo in mostra dalla canottiera) quanto per alcuni versi fragile ha dimostrato di padroneggiare una resilienza unica. L’Australian Open del 2022 ne è un chiaro esempio: si presentava in Australia dopo un 2021 complicato, passato per la maggior parte del tempo in infermeria. Nadal tornò e vinse a Melbourne inanellando una striscia di 21 vittorie consecutive per poi fermarsi ancora e tornare trionfante anche al Roland Garros di quell’anno, il suo ultimo Slam. Qualcosa di simile era accaduto sia nel 2016 – oro olimpico in doppio dopo due mesi di stop-. Un vero guerriero, dotato di uno stile inconfondibile che quando era al top della forma non lasciava scampo a nessuno, ma anche un Nadal al 50% ha sempre messo in difficoltà e sconfitto i suoi avversari. “Tutto ha un inizio e una fine” ha affermato nel videosaluto su Instagram e sembra quasi di risentire le parole dei Coldplay in Viva la Vida: “Ero abituato a percepire la paura negli occhi dei miei nemici”.
Rafael Nadal, il finto mancino che riportò il tennis in Spagna
Sempre Jimmy Connors affermava: “Vincere 6-2 6-3 è divertente, ma finire 7-6 al quinto dopo quasi 5 ore di gioco è meglio”, una frase che testimonia lo spirito combattivo e la disponibilità al sacrificio di Jimbo. Allo stesso modo, pensando alle più grandi vittorie di Rafael Nadal, sembra proprio di rivedere quella ricerca della maratona, quella abilità nello stroncare l’avversario sulle gambe e lasciarlo soccombere alla fatica dopo ore ed ore di battaglia. Giornate che rientrano nell’epica tennistica sono state scolpite con la mano sinistra di Rafa fin dalla finale di Davis Cup del 2004, quando Nadal aveva solo diciotto anni e affrontava Andy Roddick pochi mesi dopo una sonora sconfitta incassata dall’americano. Avrebbe dovuto giocarla Juan Carlos Ferrero quella partita, sulla terra rossa di Siviglia, ma per vincere l’insalatiera con il format del passato era necessaria imprevedibilità e il diciottenne maiorchino era già stato protagonista in semifinale contro la Francia vincendo il doppio (altra sua grande specialità soprattutto sotto rete) ed il singolare decisivo. Quindi in campo ci andò Nadal e per la prima volta, superando Roddick e portando alla Spagna la seconda Davis della sua storia, il mondo conobbe lo stile inimitabile di quello che poi diventò il King of clay. Un mago nel giocare in difesa, con un top spin tirato da dietro la linea di fondocampo che con il finto mancino di dritto e l’impugnatura semi western ha creato il suo marchio di fabbrica, quel gancio che in molti hanno tentato di imitare (Ben Shelton l’ultimo in ordine cronologico) senza mai avvicinarsi alla sua perfezione. Il tutto anticipato da un vezzo, un rito che contribuisce a rendere Rafa un giocatore unico, quella serie di gesti ripetuti nel corso di una partita, dalla disposizione quasi ossessivo compulsiva delle bottigliette d’acqua in panchina, alla fase pre servizio: in ordine, sistemata ai pantaloncini, tocco alla spalla sinistra e poi la destra, naso, orecchio sinistro, di nuovo il naso e infine l’orecchio destro, il tutto in 5/6 secondi che hanno contribuito a costruire la leggenda. I colpi di Nadal semplicemente entrano nei libri di storia dell’arte, un talento che ha contraddistinto un epoca sportiva.
E’ dopo la prima Davis, nella primavera successiva che il King of clay ha trovato la sua corona, dai trionfi contro Coria a Montecarlo e a Roma (dopo 5 ore di battaglia in finale al Foro Italico) e poi con il primo Roland Garros. A mettere la ciliegina sulla torta nell’anno che per la prima volta lo issò alla seconda posizione mondiale, ed era ancora un teenager, è stato il successo al Masters Series di Madrid, ottenuto con un fastidio al piede che non lo abbandonerà mai per tutta la carriera, sintomo di una malattia cronica ed incurabile che è sempre stata tra i suoi più grandi rivali, la sindrome di Muller-Weiss. Se il 2005 è stato l’anno dei successi contro Coria, il 2006 è quello in cui la rivalità con Federer ha preso forma ed è iniziata la storia dei Fedal. Il pensiero non può che andare alla finale romana in cui vinse annullando al Maestro Svizzero due match point, ancora una volta dopo cinque ore di gioco. Mentre costruiva la serie di 81 partite vinte consecutivamente sulla terra rossa, Rafa incassava anche le sconfitte sull’erba, la superficie mancante, quella che meno si addiceva alla sue caratteristiche. Nadal, però non poteva certo lasciarsi spaventare dalla tradizione londinese e dal clima uggioso dei Championships e anche lui ha indossato la sua camiseta Blanca, ma non quella della sua squadra del cuore, il Real Madrid, bensì la divisa che ogni tennista è obbligato ad inossare a Wimbledon, il Total White dei Maestri. E così nel 2008, dopo due sconfitte in finale ha dovuto giocare quella che forse è considerata la più bella partita di tennis della storia, sempre contro Roger. Federer, proprio quando sembrava sconfitto riemerse, rimontò due set e annullò due match point con un passante di rovescio che in molti ricordano come uno dei più grandi colpi della carriera del Re. Alla fine è stato il mancino di Mancor a trionfare sdraiandosi per terra alle 21:15, quando su Londra era ormai sorta la luna nascosta dalle nuvole portatrici di pioggia che in maniera quasi sacrilega interruppero per un breve periodo la finale. Pochi mesi dopo arriverà anche l’oro olimpico di Pechino, in singolare, superando Djokovic in semifinale e Mano de Piedra Gonzalez all’ultimo atto del torneo. Nel 2009 è Federer a prendersi Roland Garros e Wimbledon, ma la strada verso l’eternità della terra rossa era ormai tracciata, senza trascurare gli altri tornei, Rafa vinse ancora una volta nel 2010 a Wimbledon fermando in finale la serie di capolavori di Tomas Berdych. Il secondo Australian Open arrivò con alcuni anni di ritardo, nel 2022 in una emozionante finale con Medvedev, ma eravamo già nella nuova era tennistica e da lì a poco la next gen si sarebbe imposta. Il passaggio di consegne iberico è avvenuto sulla terra rossa di Madrid 2022, una sconfitta contro Carlos Alcaraz che alla fine dell’anno occupò la prima posizione mondiale che da sempre era ormai l’habitat naturale di Rafa. Proprio Carlitos ha postato una suo foto giovanissimo in cui abbracciava il suo idolo maiorchino. “Non importa, troveremo qualcuno come te” cantava Adele in un suo malinconico successo e oggi ai vertici del tennis c’è sempre uno spagnolo, ma permetteteci di dissentire poiché Rafa è unico e basterebbe ripercorrere i suoi trionfi ed i suoi record per convincersene. E probabilmente lo pensa anche Federer che ha postato un pensiero di profonda stima nei confronti dell’amico. “Che carriera Rafa! Grazie per i ricordi indimenticabili in questo sport che amiamo. E’ stato un onore” il tennis non sarà più lo stesso senza loro due.