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LEGIONARI IN CINA? L’ENIGMA DI LIQIAN.

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In un posto che non ti aspetti, la Cina, esiste un villaggio che non è come tutti gli altri perché i suoi abitanti non somigliano tanto a cinesi quanto piuttosto ad europei. In quel perduto distretto al confine con il deserto del Gobi, le persone hanno i capelli biondi, gli occhi azzurri e caratteristiche stranamente occidentali, di tipo caucasico. Gli unici, in tutta la Cina. Il nome di questo villaggio era Liqian, oggi chiamato Zhelaizhai. Nel 2007 esso ricevette l’attenzione internazionale quando i giornali di mezzo mondo riportarono la teoria secondo la quale, i suoi abitanti erano i discendenti dei legionari romani scampati al disastro di Carre del 53 a.C.! Ma come sarebbero finiti fin laggiù? Alcuni antichi documenti cinesi contengono dei passaggi insoliti che hanno attirato l’attenzione degli studiosi: sono gli annali della dinastia Han.

Gli Annali della dinastia Han

La dinastia Han governò la Cina dal 206 a.C. al 220 d.C. diffondendo la sua influenza sul Vietnam, l’Asia Centrale, la Mongolia e la Corea. Durante la loro secolare dominazione, il confucianesimo divenne la filosofia ufficiale di Stato, l’agricoltura e il commercio prosperarono, tanto che la popolazione raggiunse i 50 milioni di abitanti. Non mancarono le guerre, e in quella contro la dinastia Hun della Cina occidentale, gli annali citano uno strano episodio: durante una battaglia per strappare ai generali della dinastia Hun la città di ZhiZhi, i soldati difensori avevano creato una palizzata di tronchi, appuntiti e conficcati nel terreno. Inoltre, per difendere le mura, il generale Jzh Jzh della dinastia Hun fece assumere a 150 uomini della sua armata una formazione “a scaglie di pesce”. L’episodio è bizzarro perché sia le palizzate che la disposizione dei soldati (che ricorda la testudo romana) erano estranee al mondo cinese, mentre erano consuetudine delle legioni. Secondo gli annali, questi soldati vennero sconfitti e successivamente deportati dai Cinesi Han ancora più ad oriente, nella città di Liqian, con il compito di difendere i contadini dalle incursioni dei tibetani.

La teoria di Dubs

In base alle notizie contenute negli annali Han, nel 1955 Homer Dubs, uno storico specializzato in studi asiatici, organizzò una conferenza dal titolo: “I Legionari Romani in Cina”. Dubs sostenne che negli annali si parlava proprio dei Romani proprio perché le tattiche militari descritte erano tipiche dei legionari. Proseguì sostenendo che dopo essere stati catturati dai Cinesi, questi presunti legionari siano stati deportati a Liqian e lì rimasero, mettendo su famiglia e generando discendenti che ancora oggi richiamano nelle loro fattezze quelle degli antichi antenati occidentali: occhi azzurri, capelli biondi, naso aquilino. Dubs sostenne che questi antichi legionari fossero ciò che rimaneva del disastro di Carre. Ma per comprendere bene di cosa stiamo parlando, conviene fare un salto indietro di 17 anni dagli eventi narrati.

Carre, il disastro di Crasso

Il 9 giugno del 53 a.C., nelle assolate pianure vicino alla città di Carre (oggi Harran, nell’Alta Mesopotamia turca), l’esercito romano andò incontro alla catastrofe. I cavalieri iranici al comando dell’abile generale partico Surena, uccisero migliaia di legionari e fecero prigionieri i sopravvissuti. I Parti si impossessarono delle insegne delle legioni (un’onta insopportabile per un Romano) e il comandante della spedizione, Marco Licinio Crasso, fu ucciso dopo la battaglia. Crasso faceva parte del cosiddetto Primo Triumvirato, insieme a Cesare e Pompeo. Era un ricchissimo banchiere che aspirava ad avere un prestigio militare pari a quello dei suoi colleghi. Non gli bastava aver vinto lo schiavo Spartaco (con l’aiuto di Pompeo): voleva una gloria maggiore. Da bravo affarista, Crasso sapeva che i Parti, fungendo da intermediari sulle mercanzie che transitavano sul loro territorio attraverso la Via della Seta, lucravano da tale pedaggio. Il suo scopo era, tanto per semplificare, fare fuori l’intermediario e importare direttamente dalla Cina. Ma gli serve un’occasione, che arriva con l’appello di Mitridate, fratello di Orode II, che vuole spodestare il parente dal trono condiviso della Partia. Insieme, hanno ucciso il padre, Fraate III, ed ora ognuno di loro vuole il potere per sé. Crasso, all’epoca governatore della Siria, non se lo fa ripetere due volte e in breve mette insieme un esercito di 43.000 uomini. Portando con sé anche il figlio, Publio Licinio Crasso e Gaio Cassio Longino (che nove anni dopo sarà uno dei congiurati nell’assassinio di Cesare), Crasso muove nel deserto della Siria. Purtroppo, questa si rivelerà una mossa imprudente, perché la marcia sotto il sole infuocato affaticò le truppe, ponendo le basi per un contesto di guerra aperta sfavorevole, indotto a ciò da un inganno perpetrato ai suoi danni da tre nobili Parti giunti al suo cospetto orrendamente mutilati del naso, della bocca e delle mani, che lo avevano convinto ad attaccare direttamente il nemico, senza sapere che si trattava di impostori che quelle mutilazioni se l’erano fatte fare appositamente. In pratica, Crasso si cacciò in una trappola: isolati nel deserto, i Romani furono facile preda di veloci attacchi degli arcieri a cavallo dei Parti, che scagliavano i propri dardi mortali e poi si davano alla fuga. Provati dai lunghi scontri, e in numero inferiore rispetto alla compagine iniziale, quando i Parti accettano lo scontro frontale i Romani sono stanchi, con il morale già provato dalla guerriglia partica. All’inizio della battaglia, i Parti tentarono di sfondare le linee romane con i cavalieri catafratti (guerrieri ricoperti di pesanti armature che montavano cavalli di particolare forza, anch’essi corazzati), ma i legionari risposero con la testudo (una formazione difensiva in cui le coorti formavano un quadrato reso impenetrabile da una barriera di scudi ai lati, davanti, dietro e in alto). Allora, Surena ordinò agli arcieri a cavallo di correre intorno alle legioni bersagliandole di frecce per ore. Publio Licinio Crasso decise quindi di guidare i suoi 1.300 cavalieri Galli contro gli arcieri, tentando di interrompere quello sciame continuo di dardi. Ma gli arcieri prima fuggono, poi accerchiano la cavalleria di Publio, uccidendolo. Crasso vede suo figlio, armi in pugno, circondato su una collinetta, morire eroico sul campo di battaglia. Solo alla fine della giornata, quando i fanti romani erano spossati dal caldo e dalla stanchezza, Surena scagliò la cavalleria pesante. Le legioni, esauste, non ressero l’urto, e iniziò il massacro. Crasso tentò la fuga ma, raggiunto dal nemico fu costretto a ripararsi su un colle, mentre Cassio prese la via della provincia, lasciando il suo comandante al proprio destino. Nei giorni successivi iniziarono le trattative con Surena: quest’ultimo si dimostra magnanimo, disposto a lasciarlo libero. Crasso uscì dall’accampamento, fidandosi della parola di Surena che, al momento buono, lo fa uccidere dai suoi soldati che lo decapitano.

I sopravvissuti

È una sconfitta devastante, orribile e umiliante. Sopravvissero pochi uomini, fra i quali alcuni della disperata carica di Publio: prigionieri, vengono trasferiti dai Parti più ad oriente, in una zona che corrisponde all’attuale Turkmenistan, per lottare contro gli Unni. Di loro, non si saprà più nulla…almeno fino a quello strano episodio riportato dagli Han. Secondo la teoria di Dubs, essi furono mandati in Turkmenistan proprio per proteggere la frontiera orientale della Partia ma, catturati di nuovo, questa volta dagli Xiongnu, vennero arruolati nell’esercito unno per apparire, 17 anni dopo la battaglia di Carre, nella battaglia di Zhizhi che si tenne tra Unni e Cinesi in quella che oggi è diventata la provincia del Gansu. Catturati quindi dai Cinesi, furono deportati a Liqian.

A sinistra, un abitante di Liqian, a destra un busto di Crasso.

Perché credere a questa teoria

A favore della tesi di Dubs ci sono diversi fattori. In primo luogo, il nome: Li-qian non è una parola cinese. È piuttosto strano che l’impero asiatico chiami una città con un nome straniero. Non solo: Liqian è il termine con cui la Cina identifica Roma, o al massimo la città di Alessandria. Comunque, un luogo occidentale. Inoltre, a livello fonetico, Liqian si pronuncia “Lijian”, assonante alla parola “legione”, il che potrebbe provare un’origine romana del luogo. Scavi archeologici svolti nel 1993 nel villaggio hanno portato alla luce alcuni resti di pali appuntiti, una tecnica di costruzione del tutto estranea al mondo cinese, mentre era normale per i Romani. Nella zona vi è inoltre un’insolita passione per la tauromachia, la lotta contro i tori, praticata come “sport estremo”. Si tratta nuovamente di una tradizione tipica per l’Impero Romano, mentre è del tutto anomala per la Cina. E per finire, i già citati tratti somatici.

Perché non credere a questa teoria

Le autorità cinesi hanno espresso (ovviamente) perplessità e diversi esperti si sono sforzati di smentire la teoria. In primo luogo Liqian sorge in una zona vicina alla Via della Seta, dove uomini di diverse etnie hanno girovagato per secoli, per cui non è detto che le anomalie genetiche siano collegate ai Romani. Inoltre, secondo Yang Gongle, della Beijing Normal University, Liqian sarebbe stata fondata nel 104 a.C., ovvero diversi anni prima della battaglia di Carre, il che escluderebbe la fondazione da parte di eredi dei Romani. Le prove del DNA finora raccolte sono ancora discutibili e non danno una risposta definitiva, tenuto conto che l’esercito romano era di per sé stesso piuttosto variegato a livello etnico, e infatti fra i legionari di Crasso c’era un grande numero di Galli e di Greci, oltre a “genti miste”.

Le resistenze del governo cinese

Va detto, comunque, che il governo cinese, fortemente nazionalista, è abbastanza prevenuto sull’argomento e non ama che i suoi cittadini siano fieri di discendere da un impero straniero. Quindi ciò porta a sospettare che tutti i rilevamenti effettuati, soprattutto quelli del DNA, possano essere in qualche modo manipolati da un regime che è abituato a manipolare ogni cosa. Sembra che, nonostante la sua grandezza e potenza, la Cina odierna soffra ancora di una sorta di complesso di inferiorità nei confronti degli occidentali, al punto da evitare di ammettere, con la serenità di chi si sente sicuro, che ci sia stato un contatto ravvicinato tra due Imperi e che un villaggio possa essere abitato da discendenti di occidentali.

E gli abitanti cosa ne pensano?

Discorso diverso per quanto riguarda gli abitanti di Liqian, che si sentono fieri di considerarsi discendenti dei Romani, al punto di organizzare rievocazioni storiche in costume da legionari. Visitando oggi il villaggio, possiamo trovare varie statue romane e templi fatti edificare dalle autorità locali che hanno intuito il lato commerciale di questa storia, attirando quanti più turisti possono. E dal 1994, un bizzarro padiglione dalle colonne doriche vi ospita un cippo commemorativo. Uno degli abitanti del villaggio, Cai Junnian, ha i capelli biondi, il naso aquilino e gli occhi verdi. I compaesani lo chiamano “Cesare”, e sono convinti che discenda da una antica famiglia romana. E si guadagna da vivere con i soldi di chi paga per vederlo. Luo Ying è la copia di un gladiatore romano e per tutti è “Luoma”, il romano: un’azienda di Shanghai, dopo averlo visto in Tv, lo ha assunto come “uomo immagine” per trattare con i clienti del Mediterraneo. Naso dritto e affilato, occhi castani, sopracciglia folte e statura alta, Ying viene considerato un “europeo” dai propri vicini, anche se la sua carta di identità è categorica: lui è proprio di etnia Han, cioè cinese. Song Guorong, il portavoce di questo gruppo “europeo” afferma: “Noi discendiamo sicuramente dai legionari romani venuti qui duemila anni fa” Le celebrazioni che si svolgono nel ricordo di quella antica vicenda hanno coinvolto anche il famoso “Gruppo Storico Romano” che fu ospite qualche anno fa proprio a Liqian. E in occasione della visita ufficiale del Presidente cinese Xi Jinping in Italia, la TV di Stato asiatica scelse la sede del Gruppo Storico Romano per effettuare riprese e ricostruzioni da inserire nel reportage dell’evento.

La vicenda è ancora lontana dall’essere risolta. Non sappiamo se ciò che afferma Dubs possa essere attendibile. Ma è sicuramente un’ipotesi suggestiva che consideriamo sia valsa la pena di averla raccontata ai nostri lettori. Se fosse confermata, riscriverebbe la storia dei reali contatti tra occidentali e Cinesi, contatti che sarebbero anteriori di oltre mille anni a quelli narrati da Marco Polo.

Padiglione e cippo commemorativo a Liqian.

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