La Royal Opera House di Londra riprende l’ormai ventennale allestimento di Die Zauberflöte di Wolfgang Amadeus Mozart, firmato da David McVicar. Non è un caso che la produzione sia stata programmata a cavallo tra i giorni prima di Natale e tutto il mese di gennaio. Con una Londra ancora affollata dopo le festività, questo allestimento è un classico evergreen che si conferma campione di incassi anche per il richiamo verso un pubblico generalista molto ampio (anziani, adulti, giovani e bambini – persone di tutte le età erano in sala). Ecco che, forse per la prima volta dopo la pandemia, molte delle recite erano da tutto esaurito o quasi. Per questa ripresa si alternavano tre cast: noi riferiremo del secondo cast, rilevante per il debutto londinese di Kathryn Lewek (la Regina della notte più richiesta nella storia del MET di New York) e per la presenza nel cast del basso tedesco René Pape. Alla direzione Maxim Emelyanichev, l’enfant prodige della direzione barocca storicamente informata, che prestato al repertorio mozartiano, non ha tuttavia convinto appieno.
È proprio la direzione l’elemento debole di questa ripresa, che altrimenti sarebbe ben riuscita grazie a un cast nel complesso ben assortito. Negli anni con questo titolo al Covent Garden si sono succeduti diversi direttori tra cui ricordiamo Sir Colin Davis. La bacchetta di Maxim Emelyanichev, che avevamo apprezzato in Agrippina sempre alla ROH e in un concerto al Barbican con Joyce DiDonato, non passerà certo come tra le più memorabili. Emelyanichev, direttore e clavicembalista russo che ricordiamo avere solo 34 anni, ha stentato a tenere le redini dello spettacolo. Si sono ravvisati diversi disallineamenti specie nei momenti di insieme e diverse incertezze negli attacchi, sia dell’orchestra che dei cantanti. A questo si è aggiunta una eccessiva libertà nel dilatare e accelerare tempi, che ha finito per compromettere la cura del fraseggio mozartiano, di cui è mancata l’ampiezza e la magia. Più fortuna ha avuto la direzione nei momenti strumentali più vaporosi, leggeri, o puramente ritmici. Buona anche la resa dell’ouverture per cura degli accenti e vitalità dell’esecuzione. I problemi, come detto, si sono verificati nel dirigere l’insieme più ampio del cast, quasi come se non si fosse provato abbastanza.
Passiamo alle voci, che ci hanno colpito soprattutto sul versante femminile. Partiamo dalla star del MET, Kathryn Lewek che con le sue 50 e passa performance è il soprano di coloratura che ha cantato di più il ruolo della Regina della notte nella storia del teatro newyorchese. Il debutto al Covent Garden, a quanto pare, era previsto da anni ma è stato reso possibile solo nel 2023 a causa della pandemia e di un fermo per maternità. Lewek, ben intonata, dimostra un’ottima flessibilità e abilità nell’articolare le colorature, con acuti ben proiettati e mai spinti (pur senza lo squillo strepitoso di un coloratura pieno come Luciana Serra, per intenderci). Centra tutti i sovracuti fino al fa di “Der Hölle Rache Kocht in meinem Herzen”, attaccata con piglio, il che ha costretto il direttore, timoroso negli attacchi, ad adeguarsi. Scenicamente è poi efficace come Astrifiammante così fiera, intimidatoria e assetata di potere. Speriamo la si possa sentire più spesso in Europa, visto che tra l’altro canta divinamente Händel (si ascolti la sua Ginevra in Ariodante a Salisburgo nel 2017 o la sua recente incisione con Il Pomo D’Oro per Pentatone).
Ci ha positivamente sorpreso anche il soprano americano Jacquelyn Stucker, in possesso di uno strumento luminoso e argenteo in acuto e capace di un canto sempre fluido, ben proiettato sopra l’orchestra ed espressivo. Pur in presenza di un suono ben curato e sempre bello da ascoltare, sarebbe stata auspicabile una maggior cura del fraseggio in “Ach, ich fühl’s”, ma in tal senso poco supporto le è arrivato dalla buca. In scena è bella, graziosa e dolce, insomma è una Pamina molto credibile.
Se l’è cavata bene anche il Tamino di Long Long. Il tenore lirico cinese, vincitore del concorso Neue Stimmen 2019, dopo un ingresso poco incisivo in “Zu hilfe! zu hilfe!” ha acquistato progressivamente peso vocalmente con un timbro piacevole e uno strumento piuttosto omogeneo attraverso i registri. Ben cantata l’aria del ritratto. Leon Košavić è stato il vero mattatore della serata, un Papageno irresistibile nelle recitazione e nella resa del personaggio e vocalmente molto musicale (come in “Der Vogelfanger bin Ich ja” e “Ein Mädchen oder Webchen”). La voce risultava molto ben proiettata, sia negli interventi parlati che in quelli cantati. Autorevole nel parlato e nobile nel suo canto dalle tinte scure è stato René Pape, impegnato nel ruolo di Sarastro, di cui ha reso bene sia la potenza imponente che la saggezza. Il basso tedesco ha scontato però una certa debolezza nella tessitura più grave, dove un basso profondo avrebbe invece avuto vita più facile.
Scenicamente appropriato con una caratterizzazione tra il grottesco e il comico il Monostatos di Colin Judson, anche se a livello vocale è apparso un po’ stimbrato e poco chiaro nell’articolazione. Eccessivamente caratterizzata la Papagena di Rowan Pierce. Puliti e timbricamente ben bilanciati i tre genietti, interpretati dalle voci bianche di Tharuni Kalavannan, Patrick Devlin e Frederick Mushrafi. Non sempre allineate, anche a causa di una direzione incerta, le tre dame (Alish Tynan, Samantha Price, Gaynor Keeble). Funzionali tutti gli altri interpreti, tra cui segnaliamo i due armigeri, interpretati da Egor Zhuravskii e Thomas D. Hopkinson.
Il coro della Royal Opera House diretto da William Spaulding è intervenuto in maniera puntuale quando richiesto e, nel finale del secondo atto, ha conferito quello spessore di suono in grado di galvanizzare i presenti. Molto espressivo “O Isis und Osiris, welche Wonne!”. Confuso e poco udibile invece il coro fuori scena.
Lo spettacolo di David McVicar con i suo richiami all’astronomia, le sue bellissime luci a chiaroscuro (Paule Constable), i suoi costumi settecenteschi (John Macfarlane) e le sue scene imponenti (sempre firmate da John Macfarlane) giocate sul contrasto tra il tetro e gli sprazzi di luce, si conferma un grande classico, bellissimo da vedere e rispettoso del libretto. È uno di quegli allestimenti destinati a durare decenni e quest’anno ricorrerà infatti il ventennale dalla sua prima rappresentazione nel 2003. Per maggiori dettagli si faccia riferimento a una nostra precedente corrispondenza (qui il link). Al termine applausi per tutti gli interpreti e per il direttore, senza alcun distinguo.
Royal Opera House – Stagione d’Opera e Balletto 2022/23
DIE ZAUBERFLÖTE
Singspiel in due atti di Emanuel Schikaneder
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Pamina Jacquelyn Stucker
Tamino Long Long
Regina della Notte Kathryn Lewek
Sarastro René Pape
Papageno Leon Košavić
Una vecchia (Papagena) Rowan Pierce
Monostatos Colin Judson
Prima dama Ailish Tynan
Seconda dama Samantha Price
Terza dama Gaynor Keeble
Oratore Michael Kraus
Primo sacerdote Harry Nicoll
Secondo sacerdote Donald Maxwell
Primo armigero Egor Zhuravskii
Secondo armigero Thomas D. Hopkinson
Tre genietti Tharuni Kalavannan,
Patrick Devlin, Frederick Mushrafi
Orchestra e Coro della Royal Opera House
Direttore Maxim Emelyanychev
Maestro del coro William Spaulding
Regia David McVicar ripresa da Angelo Smimmo
Scene e costumi John Macfarlane
Luci Paule Constable
Coreografie Leah Hausman
Produzione di repertorio della Royal Opera House
Londra, 9 gennaio 2023
Connessi all’Opera- Pietro Dall’Aglio.