I meriti di una presidenza – Ho appoggiato Trump nella sua prima presidenza, perché il sistema globalista a guida stelle e strisce aveva urgente bisogno di una scossa, in maniera simile alla Brexit nel Regno Unito. L’accanimento giudiziario e mediatico contro la sua persona me lo ha reso simpatico. E non nego che alcune sue scelte, in politica estera, siano state positive: il Patto di Abramo, il contenimento dell’Iran e il tentativo, abortito sotto le minacce di impeachment, di distensione con Putin. Un’agenda internazionale sicuramente sospesa, anche a causa del Covid, ma decisamente migliore rispetto al disastro del secondo Bush e di Hillary Clinton. Giusto il suo richiamo agli alleati, a cui fa presente che devono investire maggiormente nelle spese militari, perché la pace e la difesa della nostra civiltà “aperta” non sono garantite. Irrita, però, la sua narrazione, quella in base a cui gli americani sono vittime e gli alleati approfittatori.
Le risposte sbagliate alle domande giuste – A mio avviso, vale per Trump quello che disse il vecchio Mitterrand a proposito di Jean-Marie Le Pen: “Dà le risposte sbagliate alle domande giuste”. La sua denuncia dello strapotere della finanza globale a scapito dell’economia reale, ad esempio, è un argomento solido. Uno di quei temi che la sinistra, ormai in una crisi di identità con tratti quasi psichiatrici, non riesce più a far suo. Peccato, però, che Trump scelga di affrontarlo con il mercatismo selvaggio e il protezionismo, raccogliendo ingenui e milionari sotto lo slogan di “meno tasse per tutti”.
Green economy e Covid – Trump ha ragione anche nel sostenere che la transizione verso la green economy e la conversione energetica richiedono cautela. Ma la soluzione, a differenza di quanto pensa, non sta in slogan o proclami privi di fondamento. La questione ambientale è una delle sfide centrali del nostro tempo; ignorarla è da incoscienti.
La sua difesa, istintivamente libertaria, dagli eccessi vaccinali e restrittivi durante il periodo del Covid ha il mio plauso. Meno apprezzabili, invece, i suoi richiami antiscientifici, come il suggerimento ai suoi concittadini di curarsi dal virus “iniettandosi disinfettante”.
La narrazione Trump – Cito queste contraddizioni perché Trump, scafato uomo di mondo, non è solo controverso ma anche intelligente. Rischia però di essere vittima di quello che racconta ai suoi affezionados, a cui probabilmente appartiene meno di quanto si possa supporre. Ha scelto di parlare all’America profonda, spaventata dalla modernità e ancorata a idee di una società che in gran parte non esiste più. Lo fa in nome di una narrazione che è l’antitesi all’imbecillità della sinistra, in nome però di un altrettanto strutturata e potente imbecillità di destra.
Tra xenofobia e grettezza: i punti più controversi – Basti pensare alla durezza con cui combatte l’immigrazione, problema grave e gestito male, ma che però condisce con la bile della xenofobia. Per non parlare poi delle crociate sui “sessi che sono due”, ovvero per eliminare molti provvedimenti inclusivi presi a tutela di gruppi con particolarità di genere, mostrando intolleranza e grettezza.
Leadership globale o nazionalismo difensivo? – Gli Stati Uniti, come alcuni osservano, sembrano voler ristrutturare il loro potere mondiale optando per una politica di back office più economica e discreta. Tuttavia, questa strategia richiede un uso efficace della soft power, non il ricorso a un nazionalismo roboante e teatrale, fatto di dichiarazioni che rivendicano Panama o la Groenlandia. La sua politica offre il destro agli avversari dell’America, a scapito dell’autorità morale del suo paese, che da decenni è in crisi ma che, dopo aver vinto due guerre mondiali e quella fredda, resta il principale fondamento della pax globalista costruita dopo il crollo del comunismo. Il suo “Make America Great Again”, più che un progetto organico per riformare l’ordine internazionale, sembra riflettere un nazionalismo testosteronico in formato blockbuster, ad uso e consumo degli elettori ma vulnerabile nella costruzione di una leadership. Trump, uomo di grande intuito e fiuto, queste cose sembra avere difficoltà a capirle, anche perché, a differenza di alcuni suoi predecessori che avevano studiato i classici europei, ha come testi di riferimento i fumetti e Playboy. Le sue posizioni ardite hanno un retroculturale fragile, da videogame e sensazionalismo, nulla a che vedere con il realismo di un Kissinger o con la capacità di saper offrire una grande visione, come a suo tempo fece il presidente Kennedy.
Trump, il ritorno – I quattro anni di Trump saranno insomma un’incognita tra il tentativo di costituire un ordine nuovo e l’agonia del vecchio, tra rivendicazioni di leadership e segni di decadenza. Compito dei suoi amici sarà quello di renderlo accettabile senza consegnarlo ai grugniti populisti; quello dei nemici sarà di trarne spunto per capire quello che è mancato e quello che si potrebbe ancora fare in modo diverso.
Resta un fatto: il grande bisonte con il ciuffo arancione è tornato, ma mancano sciamani per predire il futuro.