QN IL Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione, 28 Novembre 2015 “Noi, un esempio per l’Europa” – di Achille Colombo Clerici
Per avere la certezza che la fine della crisi si sia trasformata in vera ripresa, e non in un semplice rimbalzo produttivo, bisognerà attendere i prossimi trimestri. Mai si è vista una situazione così complessa sia nel mondo, sia a casa nostra. Con una novità che ci riguarda: in un’Europa che fatica a trovare la propria misura, l’Italia si rivela in controtendenza, riprendendo a muoversi sul cammino, necessariamente lungo, del recupero e della ripresa; e potremmo essere noi di esempio al Vecchio Continente.
E’ la sintesi del XX rapporto del Centro Einaudi sull’economia globale e l’Italia che contiene dati ed analisi, sempre di grande interesse, su situazioni spesso contraddittorie.
Si va dall’economia lombarda che meglio ha retto la crisi (- 9,4% rispetto alla performance italiana -23,9%) con una chiusura in positivo dei bilanci aziendali nel 2015 e previsioni ancora migliori per il 2016 alla non ancora risolta crisi delle costruzioni, indispensabile pilastro per consolidare la ripresa; al profondo cambiamento nel mondo del lavoro sempre più provvisorio e insidiato, almeno a breve termine, dalla tecnologia, la quarta rivoluzione industriale, cui la Germania, a differenza dell’Italia, sta dedicando grandi risorse; al miglioramento globale della qualità della vita; all’aumento delle disuguaglianze che prima o poi potrebbero esplodere; all’Africa potenziale serbatoio per la ripresa nel mondo e nel contempo serbatoio di terrorismo; al Mezzogiorno che si allontana sempre più dalle ricche regioni del Nord; all’insostenibile debito pubblico.
Negli ultimi vent’anni l’economia italiana ha fortemente ridotto la sua presenza in settori chiave (elettronica, chimica, farmaceutica, finanza); ma nel contempo registra successi nell’auto, nel tessile di qualità, in nicchie di elettronica e di meccanica di precisione, nella filiera alimentare, nel turismo, nei servizi.
L’aumento della domanda interna del 2-2,5% per dieci anni porterebbe il rapporto debito pubblico/Pil a meno del 120%, creando 150-200.000 nuovi posti di lavoro l’anno. Un futuro possibile. Ma è anche probabile?
Dipende largamente da noi, dalla politica economica e dalla “politica familiare” delle spese e dei risparmi.