“Lo faremo e su questo non si discute”.
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, torna a marcare la volontà del Governo in tema di separazione delle carriere dei magistrati. L’obiettivo dell’Esecutivo è di fare approdare il 29 novembre in Aula alla Camera il disegno di legge costituzionale.
Il capo del dicastero di via Arenula ribadisce che la separazione “non deve essere interpretata come un attacco alla magistratura o peggio ancora, come una forma punitiva”. Sul punto Nordio delinea il perimetro della riforma assicurando che non ci sarà alcun “indebolimento della democrazia”. “I magistrati hanno paura che in questo modo il pm cada sotto l’esecutivo, noi abbiamo assicurato che non accadrà mai – aggiunge il ministro -. Hanno paura che la separazione delle carriere porti un indebolimento della democrazia, noi abbiamo risposto che la separazione delle carriere esiste laddove la democrazia è nata”. Parole con cui da via Arenula si chiede di “abbassare i toni” passando “dal conflitto al confronto” nel rispetto “delle posizioni reciproche”.
Per il ministro “un pubblico ministero ha una libertà di espressione superiore a quella del giudice perché è parte e questo lo sarà ancora di più dopo la separazione delle carriere che faremo”. E ancora: “un giudice, che deve apparire imparziale, meno parla meglio è perché rischia di esprimersi su argomenti sui quali magari dopo dovrà provvedere in modo giurisdizionale”.
Dal canto suo il segretario dell’Anm, Salvatore Casciaro, afferma in una intervista ad Avvenire che “se ci sono dei problemi legati a eccessi verbali di singoli, su quelli si deve all’occorrenza intervenire ma una norma che dovesse consentire in qualche modo di chiudere sostanzialmente la bocca dei magistrati per quello che riguarda il dibattito sulle riforme e sulle questioni legate alla giustizia, se interpretata così non credo che reggerebbe il vaglio di costituzionalità…”.
Per l’esponente del sindacato magistrati “di fatto oggi le carriere dei magistrati sono già divise: c’è una separazione netta di funzioni e il travaso dall’una all’altra è limitato. Se si crea un’autonoma carriera requirente – aggiunge Casciaro- con un suo organo di governo autonomo, si attribuisce alla pubblica accusa un potere enorme. Temo che si apriranno problemi che poi non potranno che concludersi con un controllo esterno sul pm, da parte dell’esecutivo”.
Le toghe sembrano compatte anche nel bocciare la riforma che porta a 45 giorni il limite delle intercettazioni per una serie di reati. Dai vertici delle procure di Roma, Milano e Perugia arriva un sostanziale “no” al disegno di legge Zanettin.
“Non c’è soltanto la criminalità organizzata, il terrorismo o il cybercrime ma ci sono reati gravissimi per i quali 45 giorni in realtà non basteranno mai e tutto questo si trasforma in una specie di divieto ad indagare”, taglia corto il capo dei pm della Capitale, Francesco Lo Voi mentre il capo dell’ufficio umbro, Raffaele Cantone, “pensare che il termine di 45 giorni possa essere sufficiente per chiudere indagini come quelle sullo spaccio di sostanze stupefacenti è assolutamente inidoneo”. Per Alessandra Dolci, procuratrice aggiunta a Milano, “un’indagine che si fonda “su un’intercettazione ‘a tappe’ non dà esattamente il quadro di insieme”.
Fonte: ansa.it