IQ. 16/03/2013 – Dal 15 aprile 2013 Pietro Maso sarà un uomo libero. Il ragazzo che nel 1991 Montecchia di Crosara (Verona) uccise, con la complicità di tre amici, i genitori, Antonio Maso e Rosa Tessari, per intascare l’eredità, condannato a 30 anni, a breve sarà libero. La sera del 17 aprile 1991 Antonio e Rosa stavano rientrando nella loro villetta dove, nel buio dell’ingresso, camuffati con maschere da Carnevale, armati con un bloccasterzo e delle padelle, li aspettavano il figlio Pietro e tre suoi amici, Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza all’epoca 19enni, e Damiano B., allora 17enne.
Il gruppetto agì senza alcuna pietà e i due coniugi vennero lasciati a terra in una pozza di sangue. I quattro assassini andarono poi in discoteca. Fu Pietro a recarsi più tardi dai carabinieri, raccontando d’aver trovato i genitori uccisi. Ma gli investigatori si insospettirono subito: il giovane era pronto a collaborare, ma appariva freddo e distaccato rispetto alla tragedia. Tre giorni di interrogatori e Pietro e suoi amici crollarono. Togliendo di mezzo i genitori, si appurò poi, Maso voleva impossessarsi subito dell’eredità così da continuare lo stile agiato di vita che aveva sempre sostenuto. Il piano diabolico prevedeva anche l’eliminazione delle due sorelle del giovane. Dopo la condanna in Cassazione, Maso scrisse una prima lettera di pentimento. Nel 2008 l’ex giovane della Verona bene si sposò e in quell’anno ottenne tra le polemiche anche la semilibertà, che gli consentì da allora di lavorare di giorno fuori dal carcere. Ora il conto con la giustizia l’ha saldato del tutto ma la gente resta perplessa. Nel 1991 Maso sembrava l’icona della generazione senza valori, un ragazzo cinico e disposto a tutto solo per avere denaro e successo. Ma divenne, in poco tempo, anche l’icona delle ragazzine, innamorate dello sguardo freddo e distaccato dell’allora diciannovenne Pietro. Oggi di anni ne ha 42 e ritorna di nuovo alla vita. Il problema è quanto deve pagare un ragazzo che ha ammazzato con ferocia i genitori per denaro? Ha scontato ventidue anni di carcere, sui trenta e due mesi cui inizialmente era stato condannato. Ventidue anni è la pena che cancellerebbe la colpa di Pietro, un periodo che, forse, non rende giustizia alle vite, spezzate via dalla spranga, di suo padre e sua madre. Questo è quello che verrebbe da pensare in modo emotivo e spontaneo, a caldo e col cuore. Però siamo uno Stato di diritto. Il carcere è un istituto di rieducazione e non una sede punitiva. Chi fa un percorso riabilitativo e guarisce ha poi diritto ad una nuova possibilità. Anche perché con tutto il pentimento possibile, ricordare gli omicidi commessi toglie da sé la libertà. Ricordare quello che ha commesso gli dovrebbe generare un rimorso e dolore tale da impedirgli di vivere bene comunque. Libero fisicamente ma non col pensiero e col cuore. Ammesso che ne abbia uno.