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Racconti di Rock’n’Roll: Il crocevia del Diavolo, Robert Johnson tra mito e realtà

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“Il rock è sempre stato la musica del Diavolo”, ad affermarlo non è un qualche oppositore -scettico o spaventato dalle novità- della musica rivoluzionaria e trasgressiva che si andava diffondendo negli anni Cinquanta e Sessanta. Questa è una dichiarazione di chi il Rock lo ha vissuto, interpretato, trasformato e sublimato diventando egli stesso un’icona della musica che ha fatto innamorare il mondo e alla fine ha costituito le fondamenta delle sonorità contemporanee. Stiamo parlando di David Bowie che con questa frase autodefinì l’universo musicale nel quale è diventato una leggenda. Un’affermazione non banale che ha origini lontane, che riporta agli inizi stessi della musica moderna e ci immette sulla strada che forse è la più iconica (ancor più delle celebri, ma recenti, Abbey Road e Ashbury Street) del Rock: la Highway 61. Bob Dylan non a caso intitolò con questo nome uno dei suoi album di maggior successo. Con il km 0 a New Orleans, la Route 61 dopo 2264 km termina a Wyoming (la città in Minnesota) attraversando così l’intera regione che è diventata la vera culla del rock: il Delta del Mississippi. E’ necessario un breve excursus volto a contestualizzare l’importanza di questa zona del Sud degli Stati Uniti, detta anche “The Most Southern Place on Earth” a causa della sua storia razziale. Il Delta è un’enorme pianura alluvionale generata dalle esondazioni millenarie del fiume dal quale prende il nome e proprio qui, negli anni antecedenti la Guerra Civile Americana si era sviluppato uno dei più grandi centri di produzione del cotone portato avanti dall’incontrollato sfruttamento degli schiavi neri. Quando Abramo Lincoln, nel corso della guerra di Secessione, pronunciò la Dichiarazione di emancipazione ponendo fine alla schiavitù, gli ex lavoratori dei campi di cotone si trovarono in una condizione estremamente particolare: dovevano scoprire un nuovo modo di vivere, non più oppressi dal padrone, ma liberi di viaggiare, di lavorare e di suonare. E’ proprio dalle piantagioni che gli ex schiavi iniziavano a comprendere di essere conoscitori e autori di un tipo di musica che non si era mai sentito prima: il blues. Ed è così che la Highway 61 divenne l’autostrada del blues, e anche quella che permise un primo contatto, fondamentale per la nascita del rock, tra la musica nera ed il country dei contadini bianchi discesi dagli Appalachi verso il Delta. Seguendo la sessantunesima strada si raggiunge Memphis e deviando si può arrivare a Nashville, i due centri nevralgici del nuovo sound che andava diffondendosi.

Robert Johnson

Il crocevia del blues: Robert Johnson incontra il Diavolo

E’ leggermente più a Sud di Memphis e della diramazione verso la Music City USA (Nome musicale di Nashville) che il viaggio alle origini del rock e del blues ci riporta alla frase di David Bowie. Siamo giunti a Clarksdale, una sorta di capitale del Delta, il centro dell’industria del cotone nell’Ottocento. La cittadina che ad oggi conta meno di 18 mila abitanti è famosa anche per essere stata la patria del blues dando i natali o semplicemente diventando la casa di alcune leggende come John Lee Hooker, Sam Cooke, Ike Turner, W.C. Handy, Muddy Waters (la sua canzone Rolling Stones fu di ispirazione a Mick Jagger e compagni nel dare il nome alla loro band), Howlin’ Wolf e anche Robert Johnson. Quest’ultimo non era mai stato considerato talentuoso come i suoi coetanei bluesman, si limitava a pochi accordi, suonava benino l’armonica a bocca, ma non sarebbe stato sufficiente per essere ricordato. Non vi era traccia di una sua predisposizione o di una sua capacità nell’arte della chitarra, strumento imprescindibile nei due rami che diedero vita alla storia del rock n roll (il blues e il country). Improvvisamente, dopo un tragico giorno del 1930 che portò via la sua moglie sedicenne e il figlio appena nato per un parto andato male, Robert fece perdere le tracce di sé per circa un anno. Ricomparve a Clarksdale, suonando la chitarra in maniera divina, anzi diabolica, e dotato di una sopraffina tecnica del fingerpicking (un must have per gli interpreti del Delta Blues). Le ipotesi sulla sua scomparsa presero una tangente soprannaturale, arrivando a rendere famoso l’incrocio tra la Highway 61 e la Route 49 che sarebbe stato il teatro della trattativa tra Johnson ed il Diavolo in persona: il bluesman avrebbe scelto di barattare la sua anima per ricevere in cambio il talento alla chitarra. Una storia che ha finito per oscurare la realtà e il vero volto di questo Satana misterioso quanto sconosciuto. Si tratterebbe non dell’angelo portatore di luce (dal latino Lux-Fero e quindi Lucifero, ndr) cacciato dal Cielo e sprofondato nelle tenebre, bensì di un certo Ike Zimmermann – nessuna parentela con il Robert Zimmerman che diventerà poi noto con il nome di Bob Dylan-, chitarrista dell’Alabama che aveva scelto il Delta per diffondere la sua musica e i suoi insegnamenti. E’ con lui che Johnson ebbe questa masterclass musicale, suonando e apprendendo in tranquillità, dove le loro lezioni non potevano disturbare nessuno, o almeno nessuno dei vivi… Zimmermann era infatti solito suonare nei cimiteri del Delta, steso sopra le tombe, alimentando così il mito di un demoniaco incrocio che consegnò uno sfortunato bluesman all’antologia della musica. Johnson morì improvvisamente a Greenwood, nel 1938, inaugurando il club 27 (quell’insieme di storici cantanti e musicisti deceduti a 27 anni di cui fanno parte anche Brian Jones, Hendrix, Morrison, Cobain). Anche la sua morte rimane avvolta nel mistero seppur l’ipotesi più accreditata sia quella di un avvelenamento compiuto dal proprietario del bar dove suonava che aveva scoperto il flirt tra il musicista e sua moglie. Dell’incontro con gli inferi al crocevia tra l’autostrada del blues e la Route 49 rimane un monumento ancora oggi presente sul luogo -una scultura composta da tre chitarre che si incrociano tra loro- e una nuova versione di “CrossRoad Blues” di Robert Johnson, composta dai Cream. Sarà lo stesso Eric Clapton a definire il chitarrista del diavolo come “Il più grande musicista blues mai vissuto”.

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