Tutti nello stesso salotto televisivo, quello di Bruno Vespa, ma non in contemporanea.
L’ultima tribuna politica prima delle elezioni fa venire i brividi agli appassionati delle sfide dialettiche fra candidati, ma è in linea con questa campagna elettorale in cui i leader si sono molto scontrati e poco confrontati faccia a faccia.
Poche le eccezioni: il ‘giro di tavolo’ al Forum Ambrosetti, dove hanno risposto a un paio di domande ciascuno del direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, lo stesso moderatore del ‘duello’ fra Enrico Letta e Giorgia Meloni sul sito del quotidiano. L’immagine plastica della polarizzazione della sfida inseguita da FdI e Pd, irritante non poco per i rivali, a partire da Carlo Calenda, che tentò di inserirsi nel confronto rispondendo in differita agli stessi quesiti.
A tre giorni dal voto, i sette leader si sono accomodati uno dopo l’altro sulla poltrona di Porta a Porta, in una serie di interviste mandate poi in onda in ordine estratto a sorte. Niente scintille, né colpi di scena. A parte il ragionamento di Silvio Berlusconi sui motivi che hanno spinto Vladimir Putin alla guerra in Ucraina. Nei venti minuti a testa i leader hanno riepilogato programmi, prese di posizione e critiche reciproche già declinate negli ultimi due mesi fra piazze, media e ogni tipo di social network.
Giuseppe Conte ha difeso il Reddito di cittadinanza, poi accusato da Luigi Di Maio di tale incoerenza da essere “in grado di metterlo in discussione a seconda se gli conviene per i sondaggi”. Prima del suo gong finale, Meloni ha chiarito di non pensare a una rinegoziazione del Pnrr ma a un “tagliando, alla luce dell’aumento del costo delle materie prime”. “Beh, vuol dire che ha cambiato idea, ne sono contento”, ha osservato poco dopo Letta, ricordando che una decina di anni fa la leader di FdI gli tolse il record di ministro più giovane. Ora Meloni punta a Palazzo Chigi, dove innanzitutto varerebbe il disaccoppiamento fra il prezzo del gas e quello delle altre fonti energetiche. Ma senza lo scostamento di bilancio, che sarebbe invece la prima mossa di Calenda, “ma senza poi invenzioni su tagli di tasse o pensioni”. Un distinguo implicitamente diretto a Matteo Salvini, che non ha nascosto la sua ambizione: “Un governo Meloni? Io penso a un governo Salvini…”.