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Silvia Romano”:Dio mi chiede di indossare il velo”.

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“Ero disperata perché, nonostante alcune distrazioni come studiare l’arabo, vivevo nella paura dell’incertezza del mio destino. Ma più il tempo passava e più sentivo nel cuore che solo Lui poteva aiutarmi e mi stava mostrando come…”. Silvia Romano, la cooperante milanese rapita in Kenya nel novembre 2018 e rimasta prigioniera dei terroristi in Somalia per un anno e mezzo, parla per la prima volta a quasi due mesi dal rilascio. La ragazza, che ora si trova fuori Milano per un periodo di riposo, ha parlato con Davide Piccardo, direttore del giornale online “la Luce”, già portavoce del coordinamento delle moschee di Milano e della Brianza, esponente di spicco della comunità islamica lombarda, a cui Silvia si è avvicinata dal giorno del suo ritorno a Milano. Silvia frequenta la moschea di Cascina Gobba e le associazioni ad essa legate. Al centro del colloquio con Piccardo soprattutto i temi spirituali e legati alla conversione all’Islam maturata durante la prigionia in Somalia.

La cooperante spiega che prima della partenza e prima ancora del rapimento era “completamente indifferente a Dio, anzi potevo definirmi una persona non credente; spesso, quando leggevo o ascoltavo le notizie sulle innumerevoli tragedie che colpiscono il mondo, dicevo a mia madre: vedi, se Dio esistesse non potrebbe esistere tutto questo male … quindi Dio non esiste, altrimenti eviterebbe tutto questo dolore. Mi ponevo queste domande rarissime volte, solo quando – appunto – mi confrontavo con i grandi mali del mondo. Nel resto della mia vita ero indifferente, vivevo inseguendo i miei desideri, i miei sogni e i miei piaceri”.

Silvia Romano spiega anche la sua scelta di indossare il velo islamico: “Il concetto di libertà è soggettivo e per questo è relativo. Per molti la libertà per la donna è sinonimo di mostrare le forme che ha; nemmeno di vestirsi come vuole, ma come qualcuno desidera. Io pensavo di essere libera prima, ma subivo un’imposizione da parte della società e questo si è rivelato nel momento in cui sono apparsa vestita diversamente e sono stata fatta oggetto di attacchi ed offese molto pesanti. C’è qualcosa di molto sbagliato se l’unico ambito di libertà della donna sta nello scoprire il proprio corpo. Per me il mio velo è un simbolo di libertà, perché sento dentro che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima. Per me la libertà è non venire mercificata, non venire considerata un oggetto sessuale”. 

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