Le classificazioni degli storici sono tutte più o meno concordi nel definire che le prime civiltà urbane e storiche (quindi le prime a lasciarci reperti scritti) furono quella Sumera e quella Egiziana, sorte intorno al 4000 a.C.
Fino alla nascita della scrittura, l’utilizzo di tecniche chirurgiche per curare può essere dedotto dallo studio di reperti e sepolture, ma successivamente iniziamo ad avere anche documenti e fonti scritte.
La civiltà dei Sumeri ci ha lasciato testimonianze in quella che viene considerata come la prima forma scritta della storia umana: nelle circa 30.000 tavolette scoperte, si ritrovano almeno 800 trattanti la medicina.
La cultura sumera aveva una concezione religiosa della medicina, cosa evidente in diverse culture anche nei millenni successivi: la malattia era creduta essere causata dall’azione di un demone, pertanto il compito del medico, figura che si discostava di poco da quella del sacerdote, era quello di riconoscere quale dei 6000 demoni della tradizione fosse implicato nel caso in esame, attraverso la divinazione, lo studio del volo degli uccelli e delle interiora degli animali, nochè della posizione delle stelle. La chirurgia era pertanto relegata ad arte minore.
In ogni caso sono stati ritrovati diversi strumenti, come bisturi e seghe, fatti in bronzo e in ossidiana, di pregevole fattura, testimonianza di una coscienza chirurgica sviluppata.
Inoltre fu un Sumero il primo chirurgo del quale ci è stato tramandato il nome, Urlugaledin, vissuto nel 4000 a.C, del quale ci è pervenuto il suo simbolo personale che consisteva in due coltelli circondati da una pianta medicinale: potremmo consideralo il primo timbro medico della Storia.
Nella civiltà Egizia le conoscenze chirurgiche erano molto avanzate, grazie all’esperienza accumulata nello sviluppo dell’arte della mummificazione. La dissezione dei cadaveri e l’asportazione degli organi interni, allo scopo di preservare la forma corporea, che doveva restare intatta per il lungo viaggio nell’aldilà portò i medici egizi ad ottenere una conoscenza anatomica che si perderà dopo di loro e che sarà raggiunto solo alcuni millenni dopo.
Questo popolo ci lascia in eredità il primo trattato chirurgico mai scritto (o perlomeno il primo ad essere sopravvissuto fino ad oggi): risale al 2700 a.C circa, opera del Visir del Faraone Djoser, Imhotep, la cui fama di guaritore fu così estesa da finire con l’essere identificato con il dio della medicina.
Altro primato spetta ad un bassorilievo che su trova sugli stipiti dell’entrata del Tempo di Memfi, che, mostrando una circoncisione, risulta essere la prima rappresentazione di un intervento chirurgico.
Un altro dei più antichi trattati di medicina conosciuti è il Papiro di Ebers, del 1550 a.C; lungo 20 metri descrive numerose malattie e, in ambito chirurgico, menziona il trattamento dei morsi di coccodrillo e delle ustioni, prescrivendo in alcuni casi di eseguire il drenaggio di gonfiori, pur avvisando che alcune patologie non dovevano essere toccate (“E’ il gonfiore del Dio Xensus, non la toccare!)
Il Papiro di Edwin-Smith è un vero e proprio trattato di chirurgia del trauma, dove si posso leggere anche descrizioni riguardo traumi cranici aperti o la riduzione della lussazione della mandibola, esempio delle loro profonde conoscenze anatomiche.
Le testimonianze scitte ci permettono quindi di avere delle fonti certe sui primi passi della scienza chirurgica, non più condizionate delle interpretazioni dei reperti, mostrandoci come le grandi civiltà dei fiumi fossero evolute anche su aspetti tecnici e medici, oltre che architettonici: il loro contributo alla crescita umana va, quindi, ben oltre Ziqqurrat e Piramidi.