Articolo pubblicato su QN IL GIORNO del 31 ott.2020
Covid-19 – prima e seconda fase – ha messo in drammatica evidenza la carenza della rete sanitaria sul territorio. In estrema sintesi, è avvenuto che la pandemia abbia scaricato, in pochissimo tempo, sui pronto soccorso e sugli ospedali, una massa enorme di pazienti con le terribili conseguenze riassumibili nei molteplici decessi avvenuti nelle Rsa e nel collasso dei reparti ospedalieri intasati da contagiati, la maggioranza dei quali avrebbe potuto essere curata altrove, anche a domicilio: se ci fossero state strutture, medici, infermieri sul territorio, appunto.
Infatti, curare a distanza si può in molti casi. Non solo. Al recente Digital Health Summit che ha chiamato a raccolta 203 rappresentanti dell’intera filiera della life science (dal servizio sanitario nazionale, all’industria dei dispositivi medici e alla farmaceutica, dal sistema della ricerca a quello del mondo Ict e della tecnologia), particolare rilievo è stato dato alla telemedicina, nelle sue varie declinazioni: una risposta efficace e tempestiva anche in una situazione di emergenza come quella Covid-19.
Televisite e teleconsulti da remoto con monitoraggio dei parametri vitali, telemonitoraggio periodico attraverso centrali operative coordinate con le squadre di emergenza-urgenza (esperienze USCA) sono solo alcune delle importanti applicazioni durante l’emergenza.
Un tema che si prospetta cruciale nel post Covid è il recupero delle visite mancate e la riduzione delle liste d’attesa che potrebbero essere in parte convertite in televisite, così come lo svolgimento di determinate attività da remoto come la teleriabilitazione. Strategica appare la predisposizione – ovviamente facoltativa, a titolo di standard urbanistici non computabili a fini volumetrici – di appositi spazi privati attrezzati, nei nuovi building, per accogliere malati non gravi o in quarantena.
Interessante un sondaggio. Per il 64% dei partecipanti è estremamente importante potenziare la sanità sul territorio, con i giusti strumenti e strutture fuori dagli ospedali;
il 51% pensa sia fondamentale disporre e aggiornare i piani pandemici;
per il 45% è basilare una governance nazionale su aspetti critici come le pandemie attraverso una struttura di coordinamento a livello centrale che, sulla base di un sistema informatizzato di raccolta dei dati dal territorio, sia in grado di attivare piani di emergenza; si evidenzia anche la necessità di strumenti di monitoraggio del territorio, che siano in grado di interpretare i segnali deboli ed emergenti.