IQ.20/10/2013 – L’Angolo della Psicologa con la Dott.ssa Marisa Nicolini (*)
Nell’infinito mondo degli abusi emotivi, Il “gaslighting” è il più subdolo e meno conosciuto modo di fare violenza psicologica!
Esercitare violenza non è necessariamente sinonimo di urla, pugni, lividi sul corpo. Esistono tanti altri modi di far male a una donna, ponendola in una condizione di inferiorità, isolamento e dubbio da cui le sarà difficile difendersi e uscire. E’ la violenza psicologica, definita tipicamente come un insieme di comportamenti posti in essere allo scopo di ledere la dignità della donna e d’indebolirla, tra cui:
• Rifiutare, inteso come azione di non ascolto, non accettazione e rifiuto della persona nel suo insieme.
• Isolare, inteso come gesto di separazione volto a non consentirle interazioni o relazioni con l’esterno, a partire dalla sua famiglia di origine/amici.
• Intimorire, inteso come azioni che creano paure alla donna per mezzo di condotte apertamente aggressive o subdolamente minaccianti.
E’ violenza psicologica:
Il gaslighting è un comportamento altamente manipolatorio messo in atto da una persona abusante perché la sua vittima arrivi a dubitare della propria sanità mentale, del proprio esame di realtà (capacità di giudizio), a mettere in discussione le proprie percezioni e valutazioni, a sentirsi dipendente e confusa, fino a convincersi di essere o di stare per diventare pazza. È una forma di manipolazione psicologica che rientra nel processo di brainwashing (lavaggio del cervello) che alcuni uomini usano per fiaccare le energie mentali e fisiche delle loro partner/vittime.
Il termine è stato preso a prestito dal titolo di un noto quanto inquietante film del 1944, Gaslight (in Italia Angoscia), un thriller psicologico basato sull’insano rapporto coniugale tra Gregory e Paula (una strepitosa Ingrid Bergman), in cui il marito, attraverso una manipolazione lucida e costante, conduce la giovane moglie a dubitare delle proprie facoltà mentali, mentendole artatamente, spostando o perdendo i suoi oggetti, abbassando e alzando le luci delle lampade a gas (gaslight, appunto) della casa e attribuendo i fenomeni ad allucinazioni visive della moglie, che si convincerà così di essere davvero malata di mente.
Questo comportamento è molto frequente nei casi di relazioni patologiche, in cui si arriva a negare l’evidenza: “Io non c’entro, sei tu che immagini certe cose”. Più in generale, si fonda su accuse (a volte relative a situazioni inesistenti o irrisorie) che il gaslighter rivolge alla partner per giustificare le proprie azioni illecite/immorali o per motivare la rabbia, l’irritazione e la violenza che lui agisce nella relazione.
Il gaslighting attraversa varie fasi fondamentali:
1. Distorsione della comunicazione: il gaslighter inizia ad utilizzare la relazione per creare confusione nella vittima, per veicolare informazioni tendenziose che introducono il dubbio nella mente della vittima (“Amore, non è come dici tu, sarai stanca e avrai capito male”, “Ma come, non ricordi? Ce l’hai messa tu quella pianta lì”, “Hai fatto di nuovo confusione, mi comincio a preoccupare”, ecc.);
2. Incredulità: la vittima non crede a quello che accade, né a ciò che vorrebbe farle credere il suo “carnefice”, ma non ha sufficienti strumenti per criticare apertamente ciò che le viene detto;
3. Difesa: la vittima inizia a difendersi con rabbia e a sostenere la sua posizione di persona sana e salda rispetto alla percezione della realtà oggettiva, ma con sempre minore convinzione;
4. Depressione: la vittima, infine, si convince che il manipolatore ha ragione, getta le armi, si rassegna, diventa insicura, vulnerabile e dipendente.
La donna vittima di un gaslighter potrebbe ritrovarsi a convincersi realmente della sua colpa e della sua presunta pazzia se il mondo intorno, incurante e disinformato, le imputasse qualche responsabilità, anche solo in nome della sua fragilità, nel meritarsi la condizione in cui vive.
Cerchiamo di analizzare meglio le fasi lungo cui si sviluppa il processo di manipolazione:
Una prima fase caratterizzata dalla distorsione della comunicazione: il gaslighter utilizza modalità comunicative particolari, non fatte per unire, ma per allontanare e ostacolare lo scambio. Questa distorsione comunicativa ha lo scopo di usare la vittima, di manipolarla, di gettarla in confusione. Perché continui a non capire nulla del processo in corso e per confonderla ancora di più, la si deve manipolare bene verbalmente. Il black-out delle informazioni reali e la somministrazione di informazioni artatamente costruite è essenziale per ridurre la vittima all’impotenza.
Nella seconda fase, anche detta dell’incredulità, la vittima è totalmente confusa e sbalordita, tuttavia non riesce ancora a mettere completamente in dubbio quello che vede e sente.
Subentra a questo punto la terza fase: la vittima tenta di difendersi e cerca di convincere il gaslighter che ciò che lui dice non è vero, vuole fare chiarezza e si attacca disperatamente alla realtà, con forza e rabbia cerca le prove di quella che ritiene essere la realtà, sfinendosi.
Arriva così l’ultima fase del perverso circolo del gaslighting, quella depressiva, in cui la vittima si arrende, ormai insicura, dubbiosa di se stessa e di ciò che percepisce, completamente vulnerabile e dipendente dall’altro, finalmente convinta della ragione e della bontà del gaslighter.
E’ possibile considerare il gaslighting una vera e propria forma di abuso psicologico in quanto il tipo di comportamento messo in atto è un sistematico attentato volto a corrodere la realtà della vittima, negando fatti, eventi e cose dette al punto da mettere in serio pericolo il benessere emotivo e psicologico di quest’ultima.
Le Linee guida per l’accertamento e la valutazione psicologico-giuridica del danno biologico-psichico e del danno da pregiudizio esistenziale dell’Ordine degli Psicologi del Lazio del 2009 indicano, non a caso, il gaslighting fra le condotte in grado di determinare un danno psichico-esistenziale a colui/colei che lo subisce (http://www.ordinepsicologilazio.it/binary/ordine_psicologi/com_giuridico_forense/Linee_Guida_danno_psichico_ed_esistenziale.1259923098.pdf) .
Esistono tre tipi di gaslighter:
• il manipolatore bravo ragazzo che offre attenzioni e premure alla vittima, ma che in realtà agisce col solo intento di soddisfare i propri bisogni e il proprio narcisismo. Questo controllo premuroso rappresenta la base per creare quella permeabilità emotiva nella vittima che gli consentirà una sorta di effrazione psichica, per cui il perverso narcisista conquista il possesso della mente della vittima convincendola che solo lui ha ragione e solo lui conosce veramente ciò di cui ella ha bisogno;
• il manipolatore affascinante che utilizza tutte le sue dote seduttive per influenzare e, infine, imporre il proprio ascendente sulla vittima. Si tratta di una seduzione patologica, a senso unico, con cui il perverso narcisista cerca di esercitare fascino senza lasciarsi coinvolgere, per impossessarsi della mente della vittima e manipolarla a proprio piacimento;
• l’intimidatore che, a differenza dei precedenti, ha un comportamento più diretto, potendo esibire comportamenti più o meno apertamente aggressivi ed ostili.
Giuridicamente il gaslighting non è direttamente riconosciuto come reato, ma nelle azioni del gaslighter si possono rilevare i reati previsti nell’art 570 del c.p. “Violazione degli obblighi di assistenza familiare” e nell’ art 572 del c. p. “Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”: forme di violenza morale e psicologica come il gaslighting, infatti, trovano spazio in entrambi gli articoli.
Il gaslighting, inoltre, potrebbe rientrare nella nozione di atti persecutori così come definiti dall’art. 612 del c.p., anche se sarà necessario valutare caso per caso, “l’attitudine qualitativa e quantitativa dei singoli atti lesivi a integrare il concetto di molestia nel senso che, ad esempio, in un piano criminale sistematico attuato mediante atti reiterati tesi a minare la salute psicologica della vittima, il semplice gesto di spostare un quadro – che considerato singolarmente potrebbe apparire del tutto inoffensivo – è in grado di diventare, valutato in una visione d’insieme, l’atto finale di una serie di gravi molestie, diventando esso stesso molestia ed ingenerando gravi conseguenze dannose sulla salute psicofisica della vittima”.
Il sostegno/trattamento psicologico, infine, è molto complesso in tutti i casi di violenza psicologica della donna, in specie nel gaslighting, proprio perché la vittima è stata isolata, depredata del proprio senso di sé e capacità di giudizio, per cui ella non chiede aiuto per se stessa e, anzi, difende il ‘carnefice’ da cui è dipendente e a cui, paradossalmente, chiede aiuto.
Lo specialista, dunque, deve essere molto preparato e abile a riconoscere i sintomi della violenza psicologica e del gaslighting, studiando non solo la vittima (che verosimilmente giungerà alla sua osservazione per singoli sintomi o altre difficoltà), ma anche la relazione affettiva nella quale è invischiata, con sensibilità e gradualità per non ostacolare l’alleanza terapeutica e rigettare la donna tra le braccia del suo ‘carnefice’.
… Certe notti sono davvero molto lunghe … !
(*)Dott.ssa Marisa Nicolini
La Dott.ssa Marisa Nicolini è psicologa e psicoterapeuta, abilitata all’insegnamento della Psicologia Sociale e Consulente Tecnico d’Ufficio del Tribunale di Viterbo.
Collabora, tra l’altro, con la Casa di Cura “Villa Rosa” di Viterbo e con la “Clinica Parioli” di Roma e riceve presso lo Studio di Psicologia Clinica e Giuridica in Via A. Polidori, 5 – Viterbo, cell. 3288727581, e-mail m_nicolini@virgilio.it
Collabora con le Associazioni AIAF (Avvocati di Famiglia e Minori) e Donne per la Sicurezza onlus.
Potete conoscere meglio le sue attività ai seguenti link:
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