Associazione Amici di Milano
Il profondo cordoglio del Presidente Achille Colombo Clerici e dell’Associazione tutta per la scomparsa di UMBERTO ECO
La scomparsa di Umberto Eco ha colpito il mondo internazionale della cultura, milioni di lettori ed estimatori, e in particolare gli abitanti della città che egli aveva adottato. Il presidente dell’associazione Amici di Milano Achille Colombo Clerici, partecipando con profondo cordoglio al lutto per la sua scomparsa, in uno con il direttivo e gli associati, e nel ricordo dei Soci d’ onore che gli furono amici, Gae Aulenti, Carlo Bo, Adriano Bausola, Giorgio Bologna, Alberto Falck, Paolo Ferretti di Castelferretto, Emilio Massa, Indro Montanelli, Giorgio Rumi, Mario Scognamiglio, Emilio Tadini, Guido Vergani, così lo rimpiange, con parole raccolte da Antonio Armano:
« “Ed è persino andato, consapevolmente, incontro alla morte, citando come maestri di serena rassegnazione, i grandi stoici dell’antichità”.
Scrivendo nel gennaio del 2014 il necrologio di Mario Scognamiglio, mitico libraio antiquario in via Rovello a Milano e presidente dell’Associazione Bibliofila Aldus Club, della quale ero socio con Mario Mancini, Umberto Eco, che di quella associazione era stato anch’egli presidente, esprimeva ammirazione per la capacità di accettare stoicamente il destino.
Nel giro di un paio d’anni, si è trovato di fronte alla stessa situazione, a quello che Stendhal chiamava “le grand peut-être”.
Erudito di storia del cristianesimo, Eco si è dedicato come studente universitario allo studio di Tommaso d’Aquino, spiegando di avere perso la fede proprio al tempo in cui svolgeva le ricerche per la tesi di laurea. Amava l’ironia e il gusto del paradosso. Aveva militato nell’Azione Cattolica uscendone in disaccordo con Luigi Gedda.
Era entrato in Rai per concorso negli anni Cinquanta insieme ad altri giovani esponenti della cultura torinese, come Furio Colombo e Gianni Vattimo, con la missione di svecchiare l’ente televisivo di Stato ancora gravato dall’eredità prebellica dell’Eiar. Ne è uscito per dedicarsi alla scrittura e alla carriera universitaria come semiologo nell’ateneo di Bologna.
Negli anni Sessanta è diventato celebre scrivendo importanti saggi come Opera aperta e Fenomenologia di Mike Bongiorno, spaziando dall’analisi delle avanguardie letterarie all’analisi della comunicazione di massa e del più celebre personaggio televisivo italiano. Ha fatto parte del Gruppo 63 e frequentato, prima ancora, il bar Blu di piazza Meda con Montale, Vittorio Sereni, Carlo Bo, come ricordava in una recente intervista a Repubblica. La grande fama internazionale l’ha raggiunta nel 1980 pubblicando il primo romanzo. Con Umberto Eco se ne va dunque uno dei pochissimi intellettuali italiani noti in tutto il mondo. ‘Il nome della rosa’, premio Strega nell’81, è stato tradotto in ogni dove e ha venduto molti milioni di copie, inaugurando il genere del thriller storico. Sia pure a un livello molto più basso e meno colto del suo, questo genere è diventato oggi molto di moda.
Nel suo ultimo romanzo, ‘Numero zero’, uscito l’anno scorso, ha raccontato la Milano degli anni ’90 e del passato meno prossimo, tra i delitti del mostro di via Bagnera e Tangentopoli, i Navigli degli innamorati e la macabra San Bernardino alle ossa. Vale a dire la città dove viveva stabilmente dopo essersi ritirato dall’insegnamento attivo a Bologna, gli scorci sconosciuti e quelli più conosciuti.
Autore storico Bompiani, ha seguito Elisabetta Sgarbi nell’avventura di fondare una nuova casa editrice, La nave di Teseo, sfilandosi dalla fusione con Mondadori, insieme al figlio Stefano, che lavorava nell’ufficio stampa della Rcs libri. Ammetteva di rischiare il magnifico fallimento. L’editoria infatti, secondo lui, è il modo più elegante per dissipare i propri risparmi, magari in modo lento, ma sicuro.
Non si contano i riconoscimenti che ha ricevuto ai quattro angoli del pianeta, comprese 40 lauree honoris causa. Naturalmente preferiva collezionare libri che lauree honoris causa e possedeva nella casa di Milano volumi raccolti lungo una vita di inesausta passione di bibliofilo. Un intero piano della sua casa di piazza Castello era dedicato alla biblioteca. Privilegio dei visitatori era la visita al caveau, la sala protetta e pressurizzata con rarità inestimabili come la prima edizione dei Furori di Giordano Bruno, o i papiri di Aristotele.
Amava citare il paradosso del marchese Fuscaldo: “immortale personaggio di Achille Campanile che, da giovane, aprendo per caso un libro nell’immensa biblioteca paterna, vi aveva trovato tra le pagine una banconota da mille lire – per il resto della sua vita aveva passato ogni giorno a sfogliare pagina per pagina tutte le altre decine di migliaia di volumi, nella speranza di ripetere quella fortunata trouvaille – e così era diventato in tarda età l’uomo più dotto ed erudito del suo tempo”.
Uno spirito irriverente e divertito ha sempre caratterizzato la sua opera e la conversazione. Gli articoli scritti per i giornali, in particolare “La bustina di Minerva” sull’Espresso, riflettevano l’ironia e l’acutezza dell’uomo. Si pensi al Paradosso di Porta Ludovica… Alcuni suoi saggi continuano a essere dei punti di riferimento per un pubblico trasversale. Per esempio Dire quasi la stessa cosa (sulla traduzione) o Come si scrive una tesi di laurea.
Era incuriosito ma anche scettico rispetto a Internet, al sapere nell’era della moltiplicazione digitale dei contenuti. Sosteneva che le informazioni rintracciabili in Rete hanno raggiunto una mole e una frammentazione tale da essere come una ricchezza immensa che però è divisa in un’infinità di monete. Impossibili da contenere e da contare, dunque da mettere a frutto.
Era nato nel 1932 ad Alessandria, XI dell’era fascista, come si diceva allora. L’anno di fondazione della Settimana enigmistica, periodico cui ha dedicato un saggio, e del primo sciopero della fame di Gandhi. L’anno della chiusura della scuola Bauhaus da parte di Hitler e dell’inaugurazione del Radio City Music Hall di New York. Non aveva una visione snobistica o barbogia della cultura, ma era interessato alla contaminazione tra l’alto e il basso. Veniva da una famiglia molto semplice. Il padre faceva il ferramenta nel capoluogo di provincia piemontese.
Umberto Eco è morto ieri nella sua casa di Milano alle 22.30. Aveva compiuto 84 anni il 5 gennaio scorso. In un discorso indirizzato alle matricole universitarie nel 2009 ha detto: “Chi non legge ha solo la sua vita, che, vi assicuro, è pochissimo. Invece noi quando moriremo ci ricorderemo di aver attraversato il Rubicone con Cesare, di aver combattuto a Waterloo con Napoleone, di aver viaggiato con Gulliver e incontrato nani e giganti. Un piccolo compenso per la mancanza di immortalità”.
Se fossimo autorizzati a usare questo criterio di misurazione esistenziale, la vita di Umberto Eco è borghesianamente infinita come la sua erudizione, la sua passione di lettore. Si può supporre che pur non credendo in un aldilà sognasse di trovarvi non solo antichi affetti ma anche libri scomparsi dalla storia dell’umanità, di cui resta solo un alone di leggenda in altri libri, e soprattutto quelli che non sono neanche mai esistiti.