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Un bimbo italiano in Donbass, ‘lo hanno rapito’.

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Non vedono il loro nipote da cinque anni, portato via dalla madre nel Donbass, epicentro degli scontri tra Russia e Ucraina, e ora, dopo le ultime accuse a Vladimir Putin, hanno il timore che anche lui sia tra le vittime delle deportazioni e ‘rieducazioni’ del regime di Mosca.

Quella che era finora una amara disputa familiare si tramuta nel terrore di una tragedia ben più grave, nella vicenda di Roman, un bambino di 6 anni figlio di un italiano, ora residente in provincia di Verona, e di una cittadina ucraina che dopo la nascita del piccolo si è trasferita a Donetsk.

A lanciare un appello per rivederlo sono stati i nonni, che da anni cercano di mobilitare autorità, esponenti della diplomazia e anche la Presidenza della repubblica.

La questione riguarda innanzitutto i difficili rapporti tra i genitori, e tra di loro e i nonni. Il padre del bimbo aveva conosciuto la moglie in Ucraina e si erano sposati. Sei anni fa è nato il piccolo Roman, ma poco dopo i rapporti tra i due coniugi si sono incrinati, e la madre lo ha portato via con sé quando aveva 3 mesi, stabilendosi a Donetsk, centro di una delle autoproclamate repubbliche filosovietiche, e ha divorziato.

L’ultima volta che i nonni hanno visto il bambino è stato nel 2018. Adesso, alla luce delle accuse di deportazione avanzate dalla Corte internazionale di giustizia de L’Aja contro Vladimir Putin, l’incubo è che il piccolo abbia fatto la fine di molti suoi coetanei. Adombrano il sospetto – ma non ci sono elementi che lo provino – che la madre lavorasse per i servizi segreti ucraini, e poi sia passata dalla parte dei filorussi. In un appello pubblico diffuso oggi, i nonni di Roman raccontano che nell’ultima chiamata whatsapp avrebbe fatto vedere loro una pistola giocattolo e al papà il modellino di un aereo. Lo scorso anno, in un altro appello, avevano sostenuto che un missile era caduto a meno di due chilometri dall’abitazione dove il piccolo risiede con la madre, e avevano sottolineato che è “in costante pericolo di vita”.

“Malgrado l’interessamento del console italiano in Ucraina e i vari tentativi fatti da noi anche con l’aiuto di politici locali – hanno riferito – la posizione della madre si è ulteriormente irrigidita, azzerando totalmente i contatti da circa un anno. A tuttora non sappiamo dove Roman sia e con chi viva. Ci appelliamo alla Convenzione sui diritti dell’infanzia. Noi riceviamo notizie frammentarie da persone che rischiano la loro vita fornendoci queste informazioni. Fino ad un anno fa facevamo qualche videochiamata con il piccolo, che non parla italiano per scelta della madre, poi nemmeno quella, e i numeri di telefono risultano bloccati”. La sindaca del Comune veronese ha riferito di non aver mai visto il padre, unico residente in Veneto della famiglia, mentre un anno fa aveva ricevuto il nonno, che le aveva raccontato la storia della separazione e la sua preoccupazione per le sorti del piccolo.

ANSA

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