Uno dei luoghi comuni più difficili da scardinare è rappresentato dall’immagine che vuole gli antichi Romani dei tempi imperiali come dei debosciati che indugiavano ad ogni sorta di mollezze mutuate dai popoli conquistati, ottusi individui dal ventre adiposo che, rivestiti di morbida seta, passavano il loro tempo gozzovigliando sdraiati su comodi triclini divorando voracemente tutti i tipi di cibi che venivano loro serviti, oppure a mollo nelle vasche delle terme parlando di futili pettegolezzi o dormendo in attesa del tramonto, per poi tornare a casa e ingozzarsi nuovamente senza che ci fosse un domani. Questa immagine, invero poco edificante, ci viene da alcuni epigrammi di Marziale che, però, si limitano a ironizzare su alcuni episodi e non devono essere intesi come la fotografia della consuetudine. Tuttavia, questi ed altri scritti sono stati fonte di ispirazione per creare opere cinematografiche, soprattutto statunitensi, le cui immagini di orge bacchiche e banchetti sfrenati si sono impresse nelle menti generando falsi ricordi e la convinzione che le cose siano andate veramente così. E’ naturale che, come in tutte le società del passato come del presente, vi siano effettivamente stati degli individui che abbiano indugiato in eccessi (se guardate sui social i video virali di alcuni influencer o personaggi noti che ostentano lussi e capricci da odio sociale, capite che essi non rappresentano comunque la quotidianità, il mondo reale, come si dice oggi), ma erano comunque delle eccezioni. Iniziamo quindi il nostro viaggio nel mondo delle terme romane, cercando di riportare in un ambito più realistico le varie modalità di una vita quotidiana che ruotavano intorno a tali luoghi di ritrovo e, soprattutto, di igiene, che nel periodo arcaico era, in verità, alquanto scarsa.
La situazione nella prima età repubblicana
Se ad un Romano di epoca arcaica fosse stato rivelato che i suoi pronipoti avrebbero assaporato i sollievi e le comodità di un bagno caldo, egli avrebbe probabilmente scosso la testa incredulo. Infatti, in quel periodo fare un bagno era considerato un male necessario cui ci si sottoponeva di rado. Ovvio che ci si lavasse ogni mattina braccia e gambe (si presume anche la faccia), ma un bagno completo era previsto ogni nove giorni, e questo valeva non solo per il normale cittadino, ma anche per ricchi e notabili di Roma. La scarsa propensione dei Romani a fare un bagno completo non deve stupire più di tanto, una volta conosciute le poco invitanti circostanze collegate ad una pulizia approfondita. Nelle grandi case private, il bagno si trovava vicino alla cucina, era scomodo e freddo, l’acqua torbida e addirittura, “quando pioveva più violentemente, quasi fangosa” (Seneca). E queste erano le “confortevoli” strutture igieniche delle case patrizie. Che viveva in affitto in un’insula del centro di Roma poteva solo sognare tali “lussi” dal momento che a casa sua non vi era nemmeno l’acqua corrente (vedi L’incubo di vivere a Roma) Certo, esisteva pur sempre la possibilità di gettarsi nelle acque del Tevere per farsi un bagno completo, una prospettiva sicuramente meno spaventosa di quella di oggigiorno, considerata la melma che vi ristagna. Ma era una soluzione limitata: in inverno non si poteva certamente usufruire del fiume e per le persone anziane non doveva essere molto piacevole bagnarsi e nuotare nelle sue acque.
Compaiono i primi bagni pubblici…
Nel II secolo a.C., astuti imprenditori che avevano colto il disagio delle persone, subodorando l’affare e colmando così un vuoto secolare, costruirono i primi bagni pubblici (balnea, balneae) e li diedero in appalto per una cifra fissa, lasciando così lavorare il capitale per loro. I gestori si facevano pagare dai clienti una tassa d’ingresso (balneaticum) con cui sostenevano le spese e si guadagnavano da vivere. Ben presto, i bagni pubblici si rivelarono un grande affare: l’affluenza dei romani era così alta che anche con un modesto prezzo di ingresso si poteva realizzare un buon guadagno. I frequentatori maschili pagavano mediamente non più di un quadrans, la quarta parte di un asse, per i bambini l’ingresso era gratuito e per le donne il balneaticum era un po’ più elevato, secondo Orazio nelle Satire. Ad ogni modo, tradotto in termini attuali, il prezzo richiesto dai gestori dei bagni pubblici variava dai dieci ai trentacinque centesimi di euro.
…che si diffusero rapidamente
Una tassa di ingresso così contenuta contribuì in misura decisiva alla popolarità e all’abitudine di fare il bagno. Una volta introdotti, la quantità dei bagni commerciali aumentò rapidamente: nell’anno 33 a.C. esistevano non meno di 170 balnea, mentre alcuni decenni più tardi Plinio parla già di un “numero infinito” e i cataloghi regionali del IV secolo d.C. ne indicano uno di poco inferiore al migliaio.
Accadeva che qua e là, dietro l’insegna “Bagni pubblici” si nascondessero anche luoghi equivoci, un po’ come oggi accade con i moderni “Centri massaggi”. Si trattava, comunque, di eccezioni, perché nella maggior parte dei bagni il regolamento era estremamente costumato: per motivi tecnici di riscaldamento, i locali per gli uomini e per le donne erano sì adiacenti, ma divisi da un muro. Una così rigida separazione non veniva però osservata ovunque e proprio a Roma i costumi si rilassarono già nella tarda età repubblicana.
Il problema della promiscuità
Quando nell’Arte di amare Ovidio cita anche i bagni come luoghi discreti che permettono agli amanti “sollazzi furtivi” mentre fuori il guardiano è occupato a custodire le tuniche della giovane, l’osservazione parla da sé. I romani che seguivano le antiche tradizioni potevano commentare questo rilassamento solo con disappunto: ai loro occhi la promiscuità di uomini e donne appariva di una lascivia inaudita, tanto più che per molto tempo era stato addirittura ritenuto sconveniente che padri e figli, o suoceri e generi facessero il bagno insieme. E così qualsiasi donna che ignorasse questi scrupoli morali avrebbe dovuto aspettarsi critiche e commenti offensivi.
Il fatto che uomini e donne facessero il bagno insieme era particolarmente scabroso perché normalmente si rimaneva nudi. Le fanciulle raffigurate nel notissimo mosaico di Piazza Armerina in Sicilia, vestite con una specie di bikini, sono un’eccezione per la quale qualcuno le ha interpretate più come atlete che bagnanti. Chi frequentava o un bagno pubblico o le terme, di norma si spogliava completamente: uomini che per fare il bagno indossavano calzoncini di cuoio (aluta) davano nell’occhio e si esponevano a battute salaci.
L’intervento imperiale
Fra il I e il II secolo d.C. il numero delle donne che non erano disposte a rinunciare al piacere delle terme crebbe a tal punto che, per il bene della loro reputazione, alcuni imperatori furono costretti a tirare un freno di emergenza morale. Il primo a proibire il bagno comune di uomini e donne fu Adriano, seguito da Marco Aurelio, che rinnovò il divieto emanato da Adriano nell’ambito del suo più vasto programma di provvedimenti contro i fenomeni di decadenza in fatto di decoro delle donne sposate. Anche questa campagna non era destinata ad avere molto successo, tanto più che la revoca dell’ordinanza, nel giro di quarant’anni, da parte dell’imperatore Eliogabalo non favorì molto il successivo rinnovo, a distanza di pochi anni, del decreto relativo alla divisione dei sessi da parte del suo successore Alessandro Severo. Queste oscillazioni della politica imperiale sulla questione del bagno comune di entrambi i sessi riflettono assai bene il clima di generale incertezza e disorientamento di fronte a questo problema di pubblico pudore. Fino al Basso Impero, comunque, i tutori della moralità poterono vantare questo successo: per quanto nella pratica potessero essersi allentati i costumi, ufficialmente era considerato vergognoso che una donna facesse il bagno insieme agli uomini. L’ordinanza di Giustiniano del 528 d.C. che riconosce come legittimo motivo per la separazione il comportamento scandaloso di una donna che sia “così dissoluta da osare bagnarsi per puro piacere insieme a uomini” era, in fondo, il riflesso giuridico di una comunità improntata al cristianesimo in quanto religione di Stato, dal momento che già nel 320 d.C. il Concilio di Laodicea aveva stabilito che nessun cristiano dovesse frequentare uno stabilimento termale insieme a donne. È bene ricordare, comunque, che le fonti a nostra disposizione non permettono di stabilire in modo univoco quale fosse effettivamente la situazione delle terme di Roma, cioè se fossero frequentate in maggioranza da “allegre” fanciulle o da rispettabili donne considerate un po’ “audaci” per l’epoca.
Si costruiscono le grandi terme
Agrippa fu un uomo politico, un condottiero e per un certo tempo anche genero di Augusto, ma soprattutto un uomo straricco che dovette sborsare molti quattrini per sostenere Ottaviano. Nel 25 a.C. fece erigere nel Campo Marzio quello che egli modestamente chiamava “laconico bagno di sudore”, ma dietro al quale si celava nientemeno che il primo grande stabilimento termale della Roma imperiale! Le Terme di Agrippa sarebbero rimaste ancora per alcuni secoli l’unico complesso di simili dimensioni riservato al bagno e al tempo libero. Ma anche dopo la costruzione di altri stabilimenti, esse continuarono ad essere molto frequentate, e ancora nella metà del IV secolo d.C. un’iscrizione dedicatoria indica che gli imperatori Costanzo II e Costante fecero restaurare l’edificio già segnato dagli anni.
Fu Nerone che, agli inizi degli anni Sessanta del I secolo d.C., riprese la tradizione inaugurata da Agrippa: le terme costruite su suo incarico sorsero anch’esse sul Campo Marzio e in breve tempo si affermarono come ulteriore centro termale romano. Le loro dimensioni e il loro sfarzo non mancarono di strabiliare i contemporanei.
Dopo Nerone, fu Tito a far costruire nell’80 un impianto termale nella zona della famigerata Domus Aurea di Nerone nei pressi del Colosseo. Come nota marginale, daremo un breve cenno su un’iscrizione ritrovata tra le rovine delle Terme di Tito, la quale porta alla luce alcuni problemi igienici esistenti negli stabilimenti balneari non dissimili da quelli che si ripropongono nelle moderne piscine: “L’ira dei Dodici dèi, di Diana e di Giove ricada su chiunque qui urini o defechi”.
A distanza di appena una generazione, Roma ebbe un nuovo, gigantesco edificio termale, inaugurato da Traiano nel 109. Queste imponenti terme fatte erigere a nord-est delle Terme di Tito, misuravano ben 310 metri per 270 e poggiavano in parte sull’area dove originariamente sorgeva la Domus Aurea di Nerone, andata quasi distrutta da un incendio nel 104. Alle straordinarie dimensioni esterne delle terme deve aver corrisposto un altrettanto lussuosa decorazione interna: gli ampi locali riservati ai bagni e alla ginnastica erano ornati da raffinate opere d’arte tra cui, in assoluto, una delle più famose dell’antichità ossia il gruppo del Laocoonte, definito da Michelangelo “un miracolo d’arte”.
Le terme di Caracalla
I Romani dovettero attendere altri cento anni prima di poter assistere, nel 216, all’inaugurazione da parte di Caracalla di un ulteriore, ancor più grande edificio termale, che aveva cominciato a costruire suo padre Settimio Severo nel 206. Nella struttura architettonica e nella disposizione dei locali, queste nuove terme, situate nella zona meridionale della città, presso Porta Capena, richiamavano molto da vicino le Terme di Traiano, ma su scala più vasta: esse coprivano un’area di oltre 11 ettari, mentre il corpo centrale misurava 220 metri per 114. Accanto a quelle di Diocleziano, le Terme di Caracalla sono le meglio conservate di Roma e valgono assolutamente una visita per ogni turista che rimarrà colpito dalle dimensioni e dall’ampiezza degli impianti.
Le Terme di Diocleziano
Di fronte alla Stazione Termini si erge il massiccio edificio che ospita oggi uno dei maggiori musei di antichità: il Museo delle Terme. Inutile dire che le Terme di Diocleziano superarono ancora una volta ogni ordine di grandezza: le loro misure esterne di 376 metri per 361 coprivano una superficie complessiva di 13 ettari. Benché siano andate in gran parte distrutte (Sisto V, nel XVI secolo, fece saltare la quinta parte delle terme, corrispondente a 95.000 metri cubi di muratura, uno dei tanti atti vandalici messi in atto da questo dispotico e inquietante pontefice per rendere Roma più bella…) i resti della costruzione sono pur sempre ragguardevoli.
Come erano strutturate le terme?
Veniamo ora allo schema costruttivo che era in parte unico per tutte, soprattutto per i reparti direttamente attinenti ai bagni, mentre la disposizione dei diversi settori poteva essere anche molto differente.
Normalmente, chi entrava nelle terme passava inizialmente nell’apodyterium, lo spogliatoio. A differenza dei nostri complessi moderni, gli spogliatoi delle terme romane avevano un grave difetto: le nicchie non potevano essere chiuse a chiave. Era quindi sconsigliabile lasciarvi oggetti di valore. Considerata la quantità di gente che entrava e usciva dalle terme, non stupisce molto che esse fossero terreno di caccia ideale per i ladruncoli, i famigerati fures balnearii che non disdegnavano nemmeno i vestiti di minor valore.
Le grandi terme possedevano diversi spogliatoi. La sequenza dei bagni cui si poteva accedere da ogni apodyterium era naturalmente lasciata a discrezione del bagnante. Nelle calde giornate estive i più si saranno probabilmente riversati nel frigidarium, il locale cui si trovava una piscina con acqua fredda nella quale nuotare. Questo locale non era coperto e si trovava sul lato del complesso termale in cui batteva meno il sole, cioè solitamente a nord. Di norma questa esposizione era stata progettata dagli architetti in modo che il bagno d’acqua calda potesse essere funzionalmente sistemato sul lato sud, permettendo così un risparmio di energia. Benché a quei tempi nessuno pensasse in termini ecologici o si preoccupasse di una diminuzione delle fonti energetiche, erano in gioco considerazioni economiche: per quanto le terme fossero molto dispendiose sia sotto il profilo delle dimensioni e sia sotto quello del lusso ornamentale, i costruttori procedevano in modo oculato laddove era possibile risparmiare senza compromettere nessun comfort per il pubblico. Le piscine delle grandi terme erano di dimensioni gigantesche: nelle Terme di Diocleziano il bacino aveva una superficie di 2500 metri quadrati; sul lato lungo esposto a nord esso era delimitato da un giardino lussureggiante e sui lati brevi era fiancheggiato da portici.
Nelle giornate più fresche, il bagnante si recava nel tepidarium, un locale in cui si trovavano vasche di acqua riscaldata e panche di marmo su cui potevano accomodarsi per un po’ coloro che passavano dall’acqua calda a quella fredda.
Veniva poi il calidarium, il locale in cui si poteva fare il bagno in acqua calda. Le più importanti strutture termali possedevano diversi bacini: al centro della sala circolare di 34 metri di diametro delle Terme di Caracalla, per esempio, si trovava la vasca principale, anch’essa circolare, mentre fra i poderosi pilastri che sostenevano la cupola della sala si trovavano altri sei bagni.
In nessun grande complesso termale che si rispettasse mancava il laconicum, una stufa secca, il cui nome derivava dagli Spartani (i Laconi, appunto) che si diceva avessero una particolare predilezione per il bagno di sudore. Le alte temperature del laconicum facevano sudare il corpo; quando il calore diventava eccessivo o diminuiva troppo, l’utente poteva azionare un disco di metallo appeso ad una catena per aumentare o diminuire l’afflusso d’aria nel foro di apertura della cupola del locale. Chi aveva sudato a sufficienza si aspergeva di acqua fredda o si gettava nella piscina, lo stesso principio, in sostanza, della sauna. Annotiamo che, mentre per alcune malattie la stufa secca era prescritta, in dosi limitate, dai medici, molti romani si rovinavano la salute abusando del laconicum con sedute troppo prolungate, troppo frequenti e troppo intense, non tanto per combattere una malattia ma per “curarsi” con una sauna i problemi di stomaco che insorgevano dopo un pranzo eccessivo e per avere di nuovo sete in modo da potersi subito dopo rimpinzare nuovamente di leccornie e vino. A quanto pare l’abitudine di esporsi subito dopo pranzo all’aria calda era molto diffusa, benché chiunque sapesse che poteva avere conseguenze addirittura letali!
Locali accessori alle terme erano gli unctoria nei quali i frequentatori si ungevano il corpo, da sé o ricorrendo ad un proprio servo o al personale addetto.
Il rifornimento idrico
Le monumentali terme imperiali che rientravano, anche per gli stessi uomini del mondo antico, fra le costruzioni più grandiose e stupefacenti, avevano necessità di essere rifornite da sufficienti masse d’acqua. Questi approvvigionamenti erano garantiti da autentici gioielli di ingegneria: gli acquedotti. Nei primi tempi dell’età imperiale, Roma riceveva acqua da undici acquedotti che dalle montagne dei dintorni convogliavano nella città acqua pura e fresca. Il sistema degli acquedotti si estendeva per un totale di 430 km di cui 47 in superficie. Secondo prudenti stime, nella capitale affluivano giornalmente tra i 680.000 e i 900.000 metri cubi di acqua, di cui il 44% era destinato a luoghi pubblici, il 38% a case private e il 18% alla corte imperiale. Solo nel XIX secolo le città europee raggiunsero di nuovo quello standard così ovvio per le città romane e per le provincie. Alcuni grandi complessi termali si allacciavano alla rete principale con propri rami secondari, come le Terme di Caracalla, per le quali venne costruita appositamente l’Aqua Antonina come derivazione dell’Aqua Marcia. Le Terme di Caracalla erano inoltre rifornite di grandi cisterne, della capienza di 8000 litri.
La grande invenzione del riscaldamento a ipocausti
I grandi complessi termali dovevano essere anche riscaldati. Era impensabile solo considerare l’idea di utilizzare enormi bracieri nei locali: a prescindere dal problema della nocività delle esalazioni che si sarebbero sprigionate, quel tipo di riscaldamento diretto non avrebbe mai potuto soddisfare le esigenze delle immense terme. E quindi che fecero gli ingegneri romani? Adottarono il sistema a ipocausti, inventato nel II secolo a.C. da Sergio Orata. Gli ipocausti erano vani sottostanti il pavimento che veniva “sospeso” sopra colonnine di mattoni; per questo i Romani parlavano di suspensurae,“pavimenti pensili”. In questi vani sotterranei veniva irradiato, da uno o più forni, il vapore caldo che, tramite un condotto, arrivava sotto i pavimenti da riscaldare. Nel I secolo a.C. questo sistema venne ulteriormente perfezionato, permettendo un riscaldamento ancora più esteso e uniforme di ampi locali: fino ad un metro e mezzo circa da terra, o per tutta la loro altezza, le pareti vennero costruite in mattoni forati. In questo modo il pavimento e le pareti emanavano un piacevole tepore che poteva venire regolato variando l’intensità dell’alimentazione dei forni a legna e a carbone vegetale. Tuttavia, il sistema era piuttosto lento: occorreva infatti molto tempo prima che i locali raggiungessero la temperatura desiderata dagli ospiti, ma bisogna considerare che in parte lo spessore dei pavimenti poteva raggiungere anche i 50 centimetri. L’acqua per le piscine e le vasche veniva riscaldata in un punto centrale e poi, secondo la destinazione dei diversi locali, nei bacini veniva immessa acqua fredda, tiepida o calda. Di tutto ciò il bagnante non notava niente; egli si limitava ad aspettarsi acqua calda e bollente in grandi quantità, ignorando o infischiandosene, forse, del massacrante lavoro cui erano sottoposti i fuochisti (solitamente schiavi) nei prefurnia.
Non solo bagni e saune
Il bagno rappresentava solo una delle funzioni di uno stabilimento termale. Specialmente quelli maggiori offrivano ai loro ospiti molto di più, soprattutto in ambito sportivo; ogni stazione termale che si rispettasse possedeva infatti almeno una palestra. Le terme dell’età imperiale corrispondevano pressappoco a ciò che era stato il Campo Marzio in età repubblicana: un luogo in cui molti cercavano di mantenersi in forma facendo ginnastica o partecipando a giochi sportivi. Prima del bagno si eseguivano molti esercizi fisici affinché i pori ben dilatati dal sudore permettessero un’accurata pulizia del corpo. Particolarmente gradito nelle terme era il gioco della palla e, a seconda del temperamento, delle attitudini sportive e dell’età, si disputavano gare o si facevano acrobazie, esercizi ginnici e i giochi più disparati. Anche personaggi in vista giocavano volentieri a palla, come Cesare Augusto, o Vespasiano, che spesso si tratteneva alle terme appositamente.
Chi a Roma frequentava le terme voleva passare dopo il lavoro qualche ora piacevole, voleva rilassarsi, chiacchierare, praticare un po’ di sport, nuotare, fare un bagno caldo o leggere un libro: le grandi terme possedevano, infatti e naturalmente, anche una biblioteca per i clienti più esigenti, una sala di lettura e ambulacri con panche e sedili per tutti coloro che volessero sprofondarsi per un po’ di tempo nella lettura di un libro.
Le terme come vivaci centri per il tempo libero e lo scambio di idee…un po’ chiassose
Lo straordinario ruolo sociale svolto dalle terme è rappresentato anche dalle attività che attorno ad esse ruotavano. Chi vi si tratteneva per ore, praticando oltretutto anche dell’esercizio fisico, prima o poi desiderava bere e mangiare. Per questo motivo si trovavano ovunque venditori ambulanti e inservienti delle taverne pronti a rifornire il cliente di rinfreschi, salsicce, pasticcini, vino e altre bevande. Si passava davanti a sale in cui si stava tenendo una dotta conferenza, oppure si udiva una musica proveniente dal parco. Oppure si veniva avvicinati da un uomo che con aria misteriosa offriva una fanciulla o un giovanetto. In una delle sue Lettere a Lucilio, Seneca ha illustrato vividamente la vivacità che caratterizzava i bagni romani. Ve la riproponiamo, ricordandovi come in quelle strutture immense, oggi silenziose e un po’ tristi e malinconiche, vi dimorasse in realtà una vita dinamica, colorata e colorita, difficile da immaginare: “Ecco che da ogni parte mi suona attorno vario clamore: abito proprio sopra il bagno pubblico. Immaginati ogni sorta di strepiti che possono farci prendere in orrore le orecchie: quando gli atleti si esercitano e agitano le mani appesantite di piombo, quando si affannano o fingono l’affanno, li odo gemere ogni volta che emettono il fiato represso e sibili e il respirare assai penoso; quando capito su un qualche poltrone che si accontenta di una volgare frizione d’olio, odo lo schiaffo della palma che sbatte sulle spalle e muta suono a seconda che colpisca di piatto o di cavo. Se per di più sopraggiunge un giocatore di palla e incomincia a contare i punti, addio, è fatta! Ora aggiungi l’attaccabrighe e il ladro colto sul fatto e quel tale a cui piace la propria voce nel bagno, aggiungi infine quelli che si tuffano in piscina con gran fragore di acque rimosse. A parte questi che hanno, se non altro, voci normali, immagina il depilatore e la sua voce tenue e stridula onde sia meglio riconoscibile, ripetutamente elevata né mai tacente se non quando strappa i peli delle ascelle e obbliga un altro a gridare per lui; infine, le diverse acute voci del venditore di bevande e il salsicciaio e il pasticciere e tutti i merciai ambulanti delle taverne che offrono la loro merce con una certa particolare intonazione di voce”.
Un lusso per tutti: lo sfarzo delle terme
Gli imperatori non badavano a spese per abbellire e rendere lussuose anche “le terme dell’uomo qualsiasi” in misura paragonabile solo alle più sfarzose terme private. Essi intendevano presentarsi come magnanimi benefattori e munifici sovrani agli occhi dei clienti delle terme, cui fornivano l’impressione di fare il bagno in un ambiente elegante e sontuoso che si sarebbero potuti permettere solo i più ricchi. Le pareti e i pavimenti erano rivestiti di materiali preziosi: marmo a perdita d’occhio, porfido verde del Taigeto, marmo giallo africano, alabastro e onice. L’intero Impero forniva le pietre della miglior qualità per abbellire i bagni di Roma. La parola d’ordine era: stravaganza, con grande indignazione dei moralisti del tempo come il solito Seneca, il quale scrive: “Qual numero di statue, quale di colonne che nulla sostengono ma sono poste ad ornamento come occasione di spesa! Che massa di acque fragorose, cadenti di livello in livello. …l’acqua è rovesciata da rubinetti d’argento. A tal punto di lusso siamo arrivati che non vogliamo calcare col piede se non pietre preziose”.
I pavimenti delle terme erano anche decorati con giganteschi mosaici che riproducevano per lo più animali marini. Nei locali meno frequentati si trovavano anche mosaici che presentavano “semplici” motivi floreali. I locali erano abbelliti da raffinati stucchi e affreschi dai colori sgargianti, statue e sculture create dai più eminenti artisti greci e romani, in parte copie delle sculture più celebri del mondo antico, in parte opere originali. Le raffinatezze offerte dalle terme erano senza pari: come si sarebbe potuto immaginare qualcosa di più ricercato dell’abitudine di spargere nell’acqua essenze profumate e perfino vini speziati per renderla più “delicata”?
Lo splendore delle terme si rifletteva persino nelle latrine. Anche i sedili del water, ovviamente, erano in marmo. Non esistevano pareti divisorie: il bisogno di comunicare che attirava quotidianamente molti romani alle terme si estendeva anche ad una disposizione delle latrine che permettesse ai frequentatori di continuare a chiacchierare indisturbati.
Le terme come strumento di propaganda e distrazione di massa?
Benché ufficialmente non esistessero discriminazioni di sorta e nella pratica le terme fossero frequentate da tutte le categorie sociali, esse erano tuttavia pensate in primo luogo per quei cittadini che per motivi economici dovevano necessariamente ricorrere alle terme pubbliche. Quindi la logica domanda che ci poniamo è la seguente: a che scopo impegnarsi così tanto per costruire dei luoghi sfarzosi frequentati dal popolo? A parte i motivi igienici, l’abitudine di “sponsorizzare” i bagni pubblici parte già in età repubblicana quando, per permettere alle classi meno abbienti di fare un bagno più spesso, ricchi individui prendevano in affitto i bagni per un certo periodo di tempo a tariffa forfettaria e consentivano a chiunque l’ingresso gratuito. Solo in rarissimi casi, simili “sponsorizzazioni” erano azioni puramente umanitarie: soprattutto uomini con ambizioni politiche ricorrevano intenzionalmente a questa forma di generosità per rendersi più popolari e avere maggiori probabilità di vincere le elezioni.
Su queste basi gettate già saldamente nella tarda età repubblicana continuarono poi a lavorare gli imperatori, impegnandosi meno nella diretta sovvenzione del singolo frequentatore dei bagni (il biglietto di ingresso rimase comunque sempre molto basso) quanto nella costruzione e nella manutenzione di quelle lussuose e gigantesche terme che in tutto l’Impero furono una delle caratteristiche principali della civiltà romana e che costituivano uno di quei piaceri e di quegli svaghi che davano all’uomo del popolo la gioia di vivere, mentre da un altro angolo visuale lo distoglievano (e dovevano distoglierlo) dall’attività politica o dal pensiero di impegnarvisi.
Un’eredità che ancora oggi sopravvive
La decadenza delle terme iniziò nel III secolo come risultato del collasso della vita urbana e degli acquedotti, dei processi di ruralizzazione e delle invasioni barbariche. Con il trionfo del cristianesimo, che poneva l’accento sulla vita spirituale, l’attenzione verso il corpo subì il colpo di grazia, anche se alcuni bagni rimasero in funzione fino al IX secolo. Le terme sopravvissero grazie all’Impero Romano d’Oriente (erroneamente chiamato bizantino) l’uso delle quali fu poi mutuato da Arabi e Musulmani. Segnaliamo, tra i tanti, il caso dell’Algeria: a Khenchela vi sono delle terme romane risalenti al I secolo che, ristrutturate dai Turchi dopo un terremoto avvenuto nel XIV secolo, sono ancora oggi usate come bagno pubblico, le cui acque raggiungono i 70 gradi.
Attualmente il ruolo delle terme è stato riscoperto, ed è destinato ad essere un tassello centrale del turismo, coniugando benessere psicofisico e socializzazione, offrendo ai suoi ospiti particolari percorsi 2.0. anche se i prezzi per usufruire di tale benessere non saranno mai come quelli della Roma antica, non essendoci più i munifici imperatori. Diciamo che, in un certo senso, come nei tempi della Repubblica, anche oggi astuti imprenditori hanno fiutato l’affare…