Che potere ha il calcio? È vero, è solo uno sport ma non tutti gli sport hanno questa capacità di influenzare culturalmente, economicamente e politicamente il mondo che li circonda. In nome del calcio si è persino combattuta una guerra nel 1969 tra Honduras ed El Salvador e ormai non si conta più il numero di volte in cui il football è entrato direttamente all’interno delle camere parlamentari europee; ultima in ordine cronologico è stata l’approvazione del decreto salva-calcio inserito nella scorsa Legge di Bilancio. È uno sport in grado di muovere gli interessi, soprattutto economici, non solo degli attori protagonisti interni ad esso -FIFA, UEFA, Leghe professionistiche e club- ma anche di alcuni player esterni appartenenti ad altri universi, che comunque guardano sempre a quanto accade nel pianeta calcio con una certa attenzione. Pensiamo al caso della Superlega entrato direttamente a gamba tesa nell’ordine del giorno del Parlamento Europeo di Strasburgo oppure all’azione di geopolitica sportiva messa in atto dall’Arabia Saudita – e in precedenza dalla Cina- per entrare tra gli attori protagonisti del pallone.
Piccoli Passi
Dire che il calcio cambia il mondo forse è realmente eccessivo, tuttavia si può iniziare a guardare allo sport più seguito come se fosse una delle prime raffiche che anticipano il vento del cambiamento nominato dagli Scorpions. Si tratta semplicemente di accompagnare l’umanità al raggiungimento di quei valori che sono sempre stati ammirati ed inseguiti, come distruggere le frontiere del razzismo e della misoginia. Senza dimenticare l’impegno di molti giocatori nel movimento Black Lives Matters -Marcus Thuram, nuovo acquisto dell’Inter, fu il primo ad inginocchiarsi nel 2020 per esprimere solidarietà al movimento- sul secondo punto in analisi in questi giorni il calcio sta insegnando non poco. Il solo fatto di veder scendere in campo la giocatrice del Marocco Nouhalia Benzina con indosso lo hijab rappresenta una vittoria per la libertà religiosa femminile, qualcosa che non era mai accaduto e che fino a dieci anni fa non era consentito dalla stessa FIFA.
In Italia, se si dovesse trovare un momento di svolta del movimento calcistico femminile si può pensare alla vittorie del 2019 contro l’Australia. Per altre Nazionali il Mondiale ha assunto caratteri rivoluzionari: Megan Rapinoe è diventata un simbolo del movimento LGBTQI+ e nel 2011 la squadra giapponese mise a segno un duro colpo contro la misoginia radicata nella cultura del Sol Levante. La squadra soprannominata le Nadeshiko sconfisse gli Stati Uniti ai rigori nella finalissima per il titolo mondiale, fu una sorpresa assoluta, l’unico titolo globale vinto dal Sol Levante nel calcio. “Incredibile” commentava il capitano Homare Sawa: era una squadra sconvolta, come tutto il Paese, dalla catastrofe nucleare di Fukushima accaduta pochi mesi prima, penavano di non riuscire neanche a partecipare al Mondiale. Il Giappone era in una fase di ricostruzione e lo stesso spirito sportivo rischiava di essere minacciato dalla tragedia. Fu una vittoria significativa per la ripresa del Paese, da quell’anno il calcio femminile venne visto con occhi diversi e le campionesse ricevettero un nuovo tipo di ammirazione che era riservato solamente ai campioni del Karate o del Baseball, i principali sport giapponesi. Nel 2021, dieci anni dopo il trionfo, nacque la Women Empowerment League, il campionato Nazionale di calcio femminile, fondato su 4 pilastri: Diventare un esempio per il rispetto della differenza nell’eguaglianza dei diritti, porre solide radici per tutti gli sport femminili professionistici, contribuire alla crescita del calcio femminile in Giappone e portare la nazionale alla replica dei successi o quantomeno riportarla ai vertici della classifica mondiale. Proprio in Australia-Nuova Zelanda il cammino è instradato verso importanti risultati: non solo la qualificazione agli ottavi di finale, ma la vittoria per 4-0 contro la Spagna permette anche di alzare l’asticella e pensare a nuovi traguardi “Incredibili”.