Cari fratelli e sorelle,
la parabola dei talenti, che tante volte abbiamo ascoltato, ci fa spesso riflettere sui doni – i talenti – che abbiamo ricevuto nella nostra vita personale. Ci invita alla responsabilità di usare bene quei talenti affidatici dal Signore. Forse mai abbiamo pensato che i talenti non sono solo le opportunità o le qualità della nostra vita personale.
Vorrei oggi leggere il dono dei talenti in un altro senso. Essi sono il dono di una patria, di una comunità nazionale. Ognuno riceve il dono di una patria: forse c’è chi lo riceve con più opportunità chi con meno, ma tutti hanno una patria. Diceva San Giovanni Paolo II: “L’espressione ‘patria’ si collega con il concetto e con la realtà di ‘padre’”. È “l’insieme di beni che abbiamo ricevuto dai nostri padri”: eredità di terra, di storia, di cultura, di valori spirituali, di lingua…”.
Forse non abbiamo riflettuto al gran dono di Dio rappresentato dall’avere una patria. È scontato. Ma coloro che l’hanno persa o che ne sono stati scacciati o l’hanno dovuta abbandonare, sanno bene quale valore essa abbia. Tanti rifugiati e profughi cercano una patria con un volto materno. In guerra – e ricordo i racconti della mia infanzia – si capisce il valore di una patria in pace. Diceva ancora Giovanni Paolo II che il proprio Paese “è per ciascuno, in un modo, molto vero, una madre”.
In questi mesi, dopo le elezioni politiche, abbiamo vissuto momenti di seria preoccupazione, non solo per la composizione del governo che tardava a venire. Oggi, finalmente arrivata, facciamo i migliori auguri di buon lavoro al nuovo governo al servizio del bene comune del Paese. Ma non possiamo dimenticare che c’è stato un clima di tensione e attimi di conflittualità che sono emersi dalle viscere profonde del Paese.
Soprattutto su internet, il cui uso talvolta irresponsabile è da biasimare, ho visto montare una rabbia sociale persino contro la persona del Presidente della Repubblica e la sua misurata e saggia azione di garanzia di tutti i concittadini.
Ci vuole una svolta nella vita del Paese per cominciare a lavorare insieme: è, infatti, eticamente doveroso lavorare per il bene comune dell’Italia senza partigianeria, con carità e responsabilità, senza soffiare sul fuoco della frustrazione e della rabbia sociale. Che tutte le forze politiche, gli operatori della comunicazione, i responsabili a qualunque titolo non badino all’interesse immediato e di parte! Si ricordino delle parole del profeta Osea: “E poiché hanno seminato vento/ raccoglieranno tempesta” (8,7).
La conclusione di un periodo difficile, con la composizione di un nuovo governo, richiama tutti a un senso di responsabilità nelle parole e nei fatti, sempre tenendo conto del rispetto delle persone e del bene comune. La mia preoccupazione va a tanti mondi, specie le periferie delle nostre città, lacerati, in cui alla fatica quotidiana di vivere – e spesso è tanta! – si aggiungono nuovi conflitti e diffidenze. C’è un tessuto umano da ritessere in questi angoli di mondo e in tutta la società civile italiana in nome della pace civile e sociale.
Dicevo ai vescovi italiani qualche mese fa: “Dobbiamo, perciò, essere capaci di unire l’Italia e non certo di dividerla. Occorre difendere e valorizzare il sistema-Paese con carità e responsabilità. Perché il futuro del Paese significa anche rammendare il tessuto sociale dell’Italia con prudenza, pazienza e generosità”.
La Chiesa italiana è impegnata nel rammendo nella società italiana, perché essa è e vuole essere segno di unità e di pace del popolo italiano. Il mondo intero ha bisogno di un’Italia in pace, perché siamo tutti interdipendenti. L’Italia dà all’Europa, al Mediterraneo, al mondo un grande contributo di servizio alla pace, di cultura, di lavoro, di sviluppo. Non possiamo mancare alle nostre responsabilità, che hanno reso il nostro Paese conosciuto e simpatico nel mondo intero. C’è un’umanità italiana che non dobbiamo perdere o lasciar stravolgere da odi o razzismi, ma incrementare e trasmettere ai nostri figli.
La parabola dei talenti mostra come due servi abbiano investito il dono ricevuto impiegandolo saggiamente: uno guadagna due talenti e l’altro ne guadagna cinque. Entrambi i servi ricevono il plauso del Signore: “Bene, servo buono e fedele… sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. C’è un servo però che ha avuto paura e ha nascosto il talento sotto terra. Molti di noi, in questo tempo, hanno paura per sé, hanno paura del futuro, hanno paura per il nostro Paese. Così, per paura, cercano di non confondersi, di mettersi al riparo, quasi di sottrarsi al comune destino di essere italiani responsabilmente. Non bisogna aver paura e pensare solo a sé, al proprio interesse, al proprio tornaconto, rinunciando a trafficare i propri talenti per il bene comune del Paese.
Qualche mese fa, papa Francesco, parlando qui a Santa Maria in Trastevere alla Comunità di Sant’Egidio, che oggi ringrazio per questa iniziativa, ha detto:
“L’atmosfera di paura può contagiare anche i cristiani che, come quel servo della parabola, nascondono il dono ricevuto: non lo investono nel futuro, non lo condividono con gli altri, ma lo conservano per sé”.
Sì, anche noi abbiamo rischiato di farci contagiare dal clima di paura e ci siamo chiusi nei nostri ambienti. Abbiamo avuto paura anche della politica, come qualcosa che ci sporcava, dimenticando com’essa è un grande servizio alla comunità nazionale, alla patria, madre nostra e dei nostri figli.
Non bisogna avere paura della politica ed essere assenti! L’ho detto ai cattolici fin dall’inizio del mio mandato, come presidente della CEI, e – dopo l’esperienza di questi mesi – lo ripeto con maggiore convinzione: non abbiamo paura della responsabilità politica. Non lo dico perché favorisca l’uno o l’altro disegno politico. Non è compito dei pastori!
Ma credo che i cristiani, in un momento così serio della nostra storia, non possano essere assenti o latitanti, con i loro valori, anzi – come diceva Paolo VI – quali “esperti di umanità”. Sì, non possano disertare quel servizio al bene comune che è fare politica in democrazia. Rischieremmo l’irrilevanza: “Voi siete la luce del mondo… né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa” (Mt 5,14-15). Far luce non è dominare, ma nemmeno nascondersi sotto il moggio.
È venuto il momento, come ho detto recentemente, di avviare nuovi processi, senza preoccuparsi di occupare spazi di potere. Nuovi processi in cui i giovani – soprattutto i giovani – si sentano chiamati ad assumersi nuove responsabilità e ad elaborare nuove “idee ricostruttive” per la democrazia del nostro Paese. Sono convinto che le energie morali di questo Paese sono ancora tante e tantissimi siano i talenti inespressi che necessitano di essere valorizzati.
Preghiamo per l’Italia, perché lo Spirito del Signore soffi nel cuore dei responsabili e degli italiani, affinché s’impegnino per il bene comune, in particolare per le fasce più povere della popolazione, memori che l’Italia – per la sua storia e la sua collocazione geografica in Europa e nel Mediterraneo – ha una particolare vocazione e una sua responsabilità. Possa essere il nostro Paese una vera madre per tutti i suoi cittadini e una presenza di pace e di soccorso nel mondo!