Una dea-ninfa delle origini, tanto antica quanto benevola, il cui culto si trasformò in epoca tardo imperiale in qualcosa di oscuro e misterioso: questa è Anna Perenna, la divinità che abbiamo già incontrato in un precedente e fortunato articolo sulle “Tavolette Defixiones”, e che desideriamo conoscere meglio, anche per inquadrare in modo più nitido quale fosse il sentimento più genuino dei Romani dell’epoca, che sicuramente sentivano più vicine a loro le divinità cosiddette “minori” (ma che di minore, come vedremo, non avevano proprio nulla) che non i vari Giove, Giunone Minerva, etc., che erano percepiti come distanti e troppo “ufficiali” (senza contare che questi grandi dei avevano un’origine straniera, forse nordica, ma su questo torneremo in un futuro prossimo).
TABELLA DEI CONTENUTI:
- LE ORIGINI
- LE CARATTERISTICHE
- LE CELEBRAZIONI
- IL BOSCO MAGICO RITROVATO: LA FONTANA DI ANNA PERENNA
- OGGETTI PER LA MAGIA NERA
- LE IPOTESI DELL’AUTORE
LE ORIGINI
L’origine del culto di questa antichissima divinità, così antico che venne dimenticato dagli stessi Romani che tale culto pur praticavano, fu in vario modo interpretato già dagli scrittori dell’epoca come Ovidio, il quale ci racconta che Anna fosse la sorella di Didone, la famosa e leggendaria regina di Cartagine, e che, dopo la tragica morte di quest’ultima, per sfuggire al fratello Pigmalione, si rifugiò dapprima a Malta (dove sappiamo che il culto della Dea Madre fu molto sentito e che ha lasciato numerose testimonianze), presso la corte del Re Batto. Nuovamente costretta a prendere il mare, naufragò sulle coste del Lazio dove, per un gioco beffardo del destino, venne accolta ed ospitata con amore da Enea, forse spinto dal rimorso nei confronti di Didone, da lui abbandonata e spinta al suicidio per la disperazione. Tuttavia, questo comportamento suscitò le ire della moglie Lavinia che, gelosa, iniziò a perseguitare Anna, costringendola ad abbandonare la casa di Enea dietro consiglio della sorella, apparsale in sogno. Fuggita nei boschi, la donna giunse nei pressi del Numicio, un piccolo fiume dalla difficile identificazione, dove scomparve, forse assassinata dai sicari inviati da Lavinia. Il dio del fiume Numicio la trasformò in ninfa prendendola come sua sposa. Da allora, chi si trovava a passare nei pressi del fiume, poteva udire la voce della donna confondersi con lo scorrere delle acque che diceva: “Sono la ninfa del quieto Numicio, celata nell’onda perenne (amnis perennis), mi chiamo Anna Perenna” (Ovidio, Fasti, III, 545, 654). Come piccola nota a margine, ci preme sottolineare che il fiume Numicio, sicuramente sconosciuto ai più, era il più importante fiume della tradizione sacrale ed eroica latina dopo il Tevere: da qui si estraeva l’acqua sacra per il culto di Vesta a Lavinio e qui, secondo la tradizione, morì in combattimento contro i Rutuli lo stesso Enea.
Secondo un’altra versione, invece, Anna Perenna era una vecchietta di animo gentile che, durante i disordini avvenuti a Roma nel 494 a.C., aiutò i plebei che si erano ritirati sul Monte Sacro, preparando per loro molte focacce così da poterli sfamare. Il suo aiuto fu tanto gradito che a Roma venne innalzata una statua a lei dedicata, rendendole anche onori divini.
Molti studiosi hanno identificato Anna Perenna con un’antichissima Dea etrusca legata alla terra, una sorta di Dea Madre, figura divina molto diffusa nelle religioni arcaiche di quasi tutte le civiltà del Mediterraneo e non solo: nel suo nome si ritrova, infatti, la radice sanscrita “ann” (“cibo”) che ha un corrispettivo romano in Annona, antica Dea dell’abbondanza e degli approvvigionamenti raffigurata con un fascio di spighe tra le mani, e in questo si può cogliere un probabile collegamento con la storia della vecchietta che aiutò i plebei con le focacce.
LE CARATTERISTICHE
Le origini di Anna Perenna la identificano come una Dea legata al nutrimento, all’abbondanza, alla forza selvaggia della Natura. Nel corso dei secoli la sua figura assunse un significato diverso, pur mantenendo alcune prerogative del suo misterioso passato. Nel nome stesso di Anna Perenna è evidente il suo rapporto con il principio e la fine dell’anno, considerata, infatti, la personificazione del suo perpetuo rinnovarsi, al punto che presso i Romani vigeva l’augurio di “annare perannareque commode” ossia di passare un buon anno dall’inizio alla fine, ragione per cui la Dea veniva chiamata anche “Anna ac Peranna”.
LE CELEBRAZIONI
Essendo una divinità che presiedeva al corso dell’anno e al perpetuo rinnovarsi delle stagioni, la sua festività cadeva alle Idi di Marzo e, mentre i cittadini si rivolgevano tra loro gli auguri di passare un buon anno, i contadini speravano nella Dea per il futuro dei loro raccolti, essendo il 15 marzo l’inizio della primavera. A tal fine banchetti e libagioni si tenevano in un bosco sacro a lei dedicato presso la riva sinistra del Tevere, all’incirca al 1° miglio della Via Flaminia; si trovava fuori della cinta delle mura urbane e qui ci si accampava sui prati, stendendosi al sole o sotto tende improvvisate.
Come attesta Marziale, il sacro lucus si vedeva dall’alto del Gianicolo: “et quod virgineo cruore gaudet, Annae pomiferum nemus Perennae” (“e che gode del virgineo sangue versato il bosco ricco di frutti di Anna Perenna” – Trad. Prof.ssa Angela Bernardo). Si trattava di festività in cui tutti, uomini e donne, banchettavano e ballavano senza freni intonando canti popolari osceni, il tutto terminando spesso in colossali ubriacature, così come narrato da Ovidio. Infatti, secondo la credenza popolare si potevano aggiungere alla propria vita tanti anni quante coppe di vino si riuscissero a bere. In tali celebrazioni dal clima esaltato e licenzioso, nel quale venivano spesso meno i freni inibitori dei partecipanti, ritroviamo le caratteristiche ancestrali della Dea, intesa quale forza selvaggia e sessuale della Natura, la Grande Madre che segna le vite umane e i cicli naturali e cosmici, esprimendo con ciò l’interminato ciclo di nascita-sviluppo-morte-rigenerazione.
IL BOSCO MAGICO RITROVATO: LA FONTANA DI ANNA PERENNA
Il bosco dove si svolgevano tali riti è stato identificato nella zona dei Monti Parioli. Durante gli scavi per un parcheggio interrato all’angolo tra Piazza Euclide e Via Dal Monte, ad una profondità compresa tra i 6 e i 10 metri dal piano stradale, fu ritrovata la Fontana di Anna Perenna, risalente al IV secolo a.C. e utilizzata fino al VI secolo d.C. Costruita con blocchi di tufo, la struttura è di forma rettangolare. Il frontespizio era ornato da un altare sul quale è stata rinvenuta l’iscrizione “Nimphis Sacratis Annae Perennae” (“Alle Ninfe consacrate ad Anna Perenna”), che permise di attribuire la fonte alla Dea. Si è trattato del primo ritrovamento archeologico che ha confermato la testimonianza letteraria secondo cui a Roma fu attivo un luogo dedicato ad Anna Perenna.
All’interno di una cisterna a lato della fontana, furono rinvenuti centinaia di oggetti connessi al culto delle Ninfe e della dea, e precisamente 549 monete beneauguranti, 74 lucerne ad uso rituale e 3 brocche di ceramica, oltre a gusci d’uovo simbolo di fertilità, pigne, rametti e tavolette di legno.
Ma oltre a tali oggetti, ne sono stati ritrovati altri che avevano uno scopo parecchio inquietante e che gettano un’ombra oscura sulla dea e in cosa potrebbe essersi trasformata.
OGGETTI PER LA MAGIA NERA
Furono infatti rinvenuti nel fango rappreso svariati oggetti utilizzati per riti magici: 22 laminette in piombo serrate in rotolini strettissimi con maledizioni incise a lettere sbalzate e capovolte, 14 rarissimi contenitori di piombo sigillati in cui appaiono demoni orientali al cui interno vi erano figurine antropomorfe realizzate impastando cera e farina e infilate a testa in giù e gettate nella fontana affinché, attraverso i canali di scolo, arrivassero nell’aldilà, oltre ad un pentolone di rame, un vero e proprio calderone antico (caccabus), con segni di bruciato, il cui ritrovamento suggerisce che presso il sito si preparassero pozioni magiche.
Ci vollero anni di restauro e di raggi infrarossi per srotolare le tavolette defixiones e per aprire i coperchi sigillati dei contenitori. Le analisi effettuate nel 2000 dalla Polizia Scientifica hanno anche evidenziato sul sigillo del più interno dei tre cilindri delle impronte digitali.
Questi oggetti e la Fonte stessa, che riconducono all’antico culto femminile di Anna Perenna, le cui Sacerdotesse venivano chiamate Ninfe e i cui Misteri sono tuttora celati, testimoniano come il culto di questa arcaica Dea-Ninfa si sia trasformato, in epoca tardo imperiale, in qualcosa di oscuro e misterioso, diventando un punto di ritrovo per fattucchiere e stregoni che vi attuavano i loro riti magici.
LE IPOTESI DELL’AUTORE
Proprio perché ci sfugge il percorso attraverso il quale una divinità, da benevola sia passata, per così dire, al lato oscuro, osiamo avventurarci con audacia sul terreno minato delle ipotesi per cercare di spiegare o, in via subordinata, almeno fornire uno spunto di riflessione e dibattito. Ve ne proponiamo un paio.
La prima ipotesi attiene al luogo stesso nel quale i riti magici si svolgevano: il bosco. Per sua natura, un bosco garantisce tutta la segretezza di cui si ha bisogno, dal momento che le pratiche magiche erano severamente vietate da una legge della tarda Repubblica, e precisamente la Lex Cornelia Sullae de sicariis et veneficis, emanata nell’81 a.C. dal dittatore Lucio Cornelio Silla che, tra i vari articoli, colpiva chi preparava, vendeva, comprava, deteneva o somministrava un “venenum malum necandi hominis causa” e anche chi praticava arti magiche. Ora, potrebbe essere possibile che il luogo possa essere stato scelto indipendentemente dalla divinità a cui esso era consacrato, utilizzandolo, quindi, “abusivamente” in virtù della presenza della Fontana che, come abbiamo visto, era considerata idealmente collegata all’aldilà tramite i canali di scolo. In effetti, sembra che nessuna defixio abbia usato il nome di Anna Perenna come divinità coadiuvante e invocata nei malefici.
Una seconda ipotesi dovrebbe considerare che, con l’avvento del Cristianesimo come religione di Stato, il culto di Anna Perenna possa essere caduto in disuso, oppure fortemente ridimensionato. In ogni caso, la sua Fontana potrebbe essere stata utilizzata per i riti magici come oggi si usano le chiese sconsacrate. Anche così, la povera Dea-Ninfa sarebbe stata estranea ai sortilegi ivi praticati.
Purtroppo, non avendo a disposizione il leggendario Cronovisore di Padre Ernetti, tutte le domande sono destinate a rimanere senza risposta. Ciò che rimane sono le centinaia di oggetti rinvenuti, oggi visibili al Museo Nazionale Romano, e la Fontana, tristemente interrata in un prosaico parcheggio, che è stato possibile vedere fino a poco tempo fa, prima che le visite venissero sospese causa Covid-19 e, stranamente, tuttora interrotte. Ci auguriamo che esse riprendano quanto prima, affinché sempre più persone conoscano una storia quasi dimenticata e possano immergersi nell’atmosfera di un luogo magico in tutti i sensi, consapevoli che tanti secoli fa, attorno ad esso la festa e l’allegria coloravano quelle che oggi sono pietre mute.