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BUROCRAZIA (Seconda parte).

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Riprendendo la nostra analisi, il dato da cui ripartire è quello della burocrazia come forma organizzata dell’espressione del potere di governo dello Stato sui cittadini attraverso gli uffici pubblici. L’esercizio di questo potere risulta direttamente collegato all’organizzazione dell’apparato statale ed ai meccanismi normativi e sanzionatori che, obbligando al rispetto delle regole, costituiscono le modalità operative del potere stesso.
Vediamo quali sono gli effetti dei meccanismi burocratici intesi come estrinsecazione del potere di governo.

INDICE DEI CONTENUTI:

LA BUROCRAZIA COME MEZZO DI CONTROLLO SOCIALE

ILLEGITTIMITÀ DELL’ESERCIZIO DEL POTERE: IL CASO DELLA TORTURA

LA BUROCRAZIA COME ABUSO DI POTERE

CONCLUSIONI

LA BUROCRAZIA COME MEZZO DI CONTROLLO SOCIALE

La burocrazia come esternazione del potere, principalmente amministrativo, e come espressione del governo di uno Stato, incide direttamente sull’organizzazione del sistema produttivo e sull’organizzazione sociale dello Stato stesso.

Max Weber nel 1918.

Anche in questo caso, a partire dalle prime teorizzazioni formulate da Max Weber nel suo trattato Economia e società, la burocrazia viene inquadrata come espressione del potere posta a base degli stati democratici (fondati sulla scelta elettorale) in grado di consentire l’esistenza del sistema del capitalismo moderno. (…l’impresa capitalistica moderna si fonda soprattutto sul calcolo. Essa richiede per la propria esistenza una giustizia e un’amministrazione il cui funzionamento possa, almeno in linea di principio, venire calcolato razionalmente in base a norme generali, nello stesso modo in cui si calcola la prestazione prevedibile di una macchina. “Economia e Società” ).
Questa attività di pianificazione e di calcolo, effettuata dal potere governativo e messa in opera con la predisposizione della macchina burocratica con i suoi meccanismi, comporta necessariamente l’esercizio di un controllo sociale cosiddetto organizzato, ovvero conseguente all’adozione di modelli e stereotipi.

Il concetto di controllo sociale è stato coniato da Edward Alsworth Ross nel 1896 definendo tale il controllo intenzionale della collettività sull’individuo “dominio sociale che si propone di adempiere, e adempie, una funzione nella vita della società”.

Nello sviluppo del concetto operato dalla sociologia, ricordiamo la definizione di Lewis Alfred Coser e Bernard Rosenberg secondo i quali “Il controllo sociale si riferisce a quei meccanismi tramite i quali la società esercita la sua autorità sugli individui che la compongono, e fa rispettare la conformità delle sue norme”.

Il controllo sociale organizzato è definito il complesso di mezzi e modalità adoperati da ogni società o gruppo o istituzione al fine di assicurare il rispetto, da parte dei propri membri, delle norme e dei modelli comportamentali stabiliti, per evitare i fenomeni di disgregazione.
Nello specifico, ogni tipo di condizionamento costituisce una forma di controllo sociale. L’esercizio del potere governativo attraverso gli uffici burocratici costituisce, quindi e nel senso sopra indicato, una forma di controllo sociale previsto e pianificato dallo Stato, nonché la realizzazione concreta delle scelte operate dall’elettorato in sede politica.

Il controllo sociale operato dai meccanismi burocratici si concretizza in un costante ed univoco orientamento dei comportamenti dei cittadini nei rapporti con le istituzioni, teso a definire dei percorsi operativi generalizzati ed imparziali.
La devianza dai comportamenti, stabiliti attraverso i meccanismi burocratici, è sanzionata secondo le norme previste dall’ordinamento, che forniscono, unitamente ai meccanismi sanzionatori, una gradazione della gravità delle violazioni e della valutazione di antigiuridicità dei comportamenti deviati.
Ma questo allineamento tra potere governativo, apparato burocratico e controllo sociale, nel rispetto dei principi normativi vigenti, sembra essere una costruzione teorica che sconta, all’atto pratico, una serie di criticità che appaiono con il passare del tempo sempre più insuperabili.

Tra le criticità rilevate, spicca quella della devianza del potere governativo azionato dall’apparato burocratico rispetto alle finalità e agli obiettivi istituzionalmente previsti, ancor più accentuata da fenomeni di corruzione, inefficienza e mancanza di coordinazione e collegamento degli uffici pubblici.
Nello specifico vengono in considerazione non tanto le devianze operate dai destinatari ultimi dei meccanismi burocratici, ovvero dei cittadini, quanto invece le devianze degli stessi operatori istituzionali preposti all’organizzazione ed al funzionamento degli uffici burocratici e responsabili dell’esercizio del potere governativo e dell’erogazione dei servizi.

ILLEGITTIMITÀ DELL’ESERCIZIO DEL POTERE: IL CASO DELLA TORTURA

La realizzazione dei programmi governativi degli Stati moderni ha attraversato, in alcuni casi, delle fasi di manifestazione del potere governativo sfociate in autoritarismi repressivi e nella negazione dei diritti fondamentali dell’individuo.
E’ il caso della tortura che, come forma di esercizio del potere e come tecnica di governo, è stata messa al bando dal diritto internazionale per effetto progressivo del riconoscimento dei diritti dell’uomo nella dichiarazione universale del 10 dicembre 1948, elemento costitutivo dell’ONU all’indomani del secondo conflitto mondiale. Proprio l’ONU aveva manifestato la necessità di intervenire a livello internazionale per definire i diritti fondamentali dell’individuo e fornire una linea di confine ai Paesi firmatari (ma anche a quelli non firmatari), relativamente alla possibilità dei singoli Stati di comprimere le libertà ed i diritti delle persone.

La tortura manifesta una situazione di superiorità o di potere con l’utilizzo di una coercizione fisica o psicologica finalizzata ad ottenere contro la volontà, del soggetto sottoposto a tortura, un determinato bene o un determinato comportamento.
Il potere è definito come la capacità di incidere sulla realtà modificandola; in senso umano è la capacità di modificare situazioni o comportamenti umani. Esso pertanto ha la necessità di esprimersi sulla realtà esterna manifestandosi in modo tale da costituire una differenza percepibile tra chi lo esercita e chi lo subisce.
Se l’esercizio di un potere costituisce il lato attivo del rapporto, dal lato passivo vi è una condizione di patimento e di soggiacenza al potere esercitato. Uno degli aspetti deteriori della manifestazione del potere può essere considerata la tortura, che è generalmente definita come l’inflizione di una sofferenza fisica o psicologica finalizzata ad ottenere un determinato risultato.

Ma quando è che l’inflizione di una sofferenza fisica o psicologica può essere definita tortura?
Nella questione possiamo essere aiutati dal testo della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti adottata dall’ONU con Risoluzione 39/46 del 10 dicembre 1984, in vigore sul piano internazionale dal 26 giugno 1987 e ratificata dal 174 Stati. In Italia in vigore dall’11 febbraio 1989.
Costituisce tortura, secondo l’art. 1 della Convenzione del 1984 “ogni atto mediante il quale siano inflitti intenzionalmente a una persona dolore o sofferenza gravi, sia fisici che mentali, allo scopo di ottenere da essa o da un’altra persona informazioni o una confessione, di punirla per un atto che essa o un’altra persona ha commesso, per intimidirla o sottoporla a coercizione o intimidire o sottoporre a coercizione un’altra persona o per qualunque ragione che sia basata su una discriminazione di qualsiasi tipo, a condizione che il dolore o la sofferenza siano inflitti da o su istigazione o con il consenso o l’acquiescenza di un pubblico ufficiale o altra persona che svolga una funzione ufficiale. Non comprende il dolore o la sofferenza che risultino esclusivamente da, o siano inerenti o incidentali rispetto a sanzioni lecite”.
L’articolo 2 della predetta convenzione nel comma 3 prevede che “l’ordine di un superiore o di un’autorità pubblica non può essere invocato a giustificazione della tortura”.

Nel caso che ci interessa, ovvero l’esercizio del potere dello Stato, a questi è conferito altresì il potere di infliggere sanzioni in caso di inosservanza delle norme. Il modello di riferimento comunemente utilizzato è quello dello stato democratico, nel quale è il popolo a scegliere le regole e la forma di governo.
Per riprendere una definizione weberiana, lo Stato è il monopolio della forza; a costituire la base della nostra convivenza è un soggetto giuridico al quale è stato conferito il monopolio della forza.

Quello che dovrebbe costituire una distinzione tra l’esercizio del potere dello Stato tramite l’applicazione di costrizioni fisiche o psicologiche e l’esercizio del potere che viene considerato tortura, è la legittimazione del soggetto che esercita il potere, oltre che i mezzi di coercizione utilizzati.
Per questi due ultimi aspetti, se per un verso possono essere individuati mezzi di coercizione contrari ai principi fondamentali espressi nella dichiarazione dei diritti dell’uomo, per altro verso l’esercizio del potere statale con l’utilizzo di mezzi di coercizione appare invece legittimo e giustificato.

Nel caso dello Stato, per configurare il crimine di tortura occorre che la coercizione e la sofferenza inflitta sia al di fuori delle forme di coercizione e di sanzione lecitamente previste dal diritto interno; la nozione di tortura si riferisce ad atti che si definiscono ad “effetti privati” intendendo atti comunque non riferibili ad attività positivamente codificate nello Stato.
Ed in tal senso anche le sanzioni lecite, ovvero quelle previste dal diritto penale di uno Stato, sono sottratte dalla qualificazione di tortura.
Se ne dovrebbe dedurre che la burocrazia, come esercizio di un potere legittimo dello Stato, nel perseguimento dei propri fini istituzionali non possa costituire fattispecie di tortura seppure comporta l’inflizione di sofferenze e coercizioni.

Tuttavia il concetto di tortura rimane ancora astratto e soggetto ad interpretazioni più o meno restrittive (vedi la questione delle restrizioni adottate dagli Stati Uniti per gli interrogatori dei sospettati di terrorismo dopo gli attentati dell’11 settembre 2001) che ne rendono piuttosto sfumati, se non indeterminati, i confini. La nozione di trattamento crudele, inumano o degradante viene accettata nella misura in cui sia corrispondente ai contenuti della carta costituzionale.
Ma qual è allora il limite tra un esercizio legittimo del potere ed un esercizio illegittimo dello stesso potere? Fino a che punto lo Stato può agire coercitivamente sui propri cittadini?

LA BUROCRAZIA COME ABUSO DI POTERE

Abbiamo in precedenza evidenziato che le problematiche relative all’esercizio del potere, oggetto di particolare attenzione e considerazione, non sono quelle poste a valle dell’esercizio del potere stesso (i cittadini destinatari delle regole burocratiche), in quanto eventuali devianze, o disallineamenti dei comportamenti rispetto a quelli richiesti dal potere governativo e dalle istituzioni preposte, comportano sanzioni e conseguenze codificate, prevedono interventi e correttivi finalizzati a mantenere l’integrità del sistema.
Le problematiche maggiormente degne di attenzione e riflessione sono quelle relative alle devianze poste in essere nell’organizzazione e nell’esercizio del potere burocratico.

Quali sono le conseguenze relative ad un esercizio del potere difforme o contrario agli obiettivi organizzativi o attuativi previsti dal potere stesso? Cosa succede quando un funzionario pubblico esercita il potere del quale è investito in difformità ed in violazione del mandato ricevuto?
Il problema non è di poco conto proprio in relazione alle riflessioni svolte in ordine al concetto di tortura.
Abbiamo infatti visto che il concetto di tortura non è applicabile ad attività positivamente codificate nello Stato. Tuttavia l’esercizio del potere attuato con difformità rispetto alle attività codificate dallo Stato comporta l’attuazione di un abuso che costituisce da un lato una devianza personale del pubblico ufficiale o del funzionario preposto a quell’ufficio o a quel compito, da un altro lato la mancata realizzazione degli obiettivi posti dal potere governativo e degli obiettivi istituzionali connessi anche alla imparzialità dell’operare della pubblica amministrazione.

Nella generalità dei casi l’abuso operato nell’esercizio della propria funzione o qualità si traduce in quello che noi nel nostro ordinamento avremmo definito “abuso d’ufficio”, ma che in ordinamenti diversi dal nostro viene declinato in fattispecie diverse, riconducibili sostanzialmente ad un “abuso di funzione”. Questo abuso di funzione, attuato in ogni caso sotto la veste di esercizio del potere burocratico, trova alcune contromisure all’interno del nostro ordinamento per effetto dell’introduzione di alcune fattispecie specifiche di reato nel sistema penale e per effetto dell’introduzione di modifiche alle ipotesi criminose esistenti, avendo l’Italia ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (cosiddetta Convenzione di Merida del 31 ottobre 2003) con la legge n. 116 del 3 agosto 2009, con l’effetto dell’introduzione dell’art. 323 bis del codice penale.

Per alcuni passi fatti in avanti, si registra comunque un notevole arretramento conseguente all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio ex art. 323 del codice penale dal nostro ordinamento, questione relativamente alla quale richiamiamo le considerazioni contenute nell’articolo del 28 settembre 2024.
Il risultato concreto è quello di avere delle carenze di tutela normativa interna sugli abusi perpetrati dai funzionari pubblici (nello specifico dai pubblici ufficiali) nell’esercizio del potere amministrato dagli uffici burocratici.
In definitiva il potere burocratico nella sua manifestazione, che incontrava il proprio limite esterno nella violazione delle regole preposte all’esercizio del potere pubblico sotto forma dell’eccesso di potere e dello sviamento di potere da parte del pubblico ufficiale, ora trova il proprio limite esclusivamente al proprio interno nel perseguimento dei fini istituzionali e nelle scelte politiche di governo.

Dal punto di vista della cittadinanza il peso della burocrazia assume un’incidenza progressivamente maggiore, dettata dalla complessità in evoluzione della struttura istituzionale e sociale dello Stato.
Tale evoluzione strutturale contraddice, però, la vocazione stessa degli Stati democratici, che aspirano alla realizzazione delle istanze libertarie degli individui ed al pieno riconoscimento dei diritti fondamentali declinati nelle convenzioni internazionali e nelle Carte Costituzionali.
Ne discende che le organizzazioni burocratiche dei singoli Stati, per la realizzazione dei progetti e dei piani governativi, tendono sempre più a restringere e comprimere le libertà dei cittadini con un livellamento orizzontale che incide direttamente sotto il profilo economico e produttivo sulla struttura sociale degli Stati. E’ altresì da registrare un processo di coordinamento internazionale delle organizzazioni burocratiche, teso a favorire i sistemi di scambio economico e finanziario; attraverso la burocrazia si cerca il modo di eliminare le barriere che dividono le economie degli Stati.

CONCLUSIONI

Ciò che ha reso l’apparato burocratico vincente nel corso della storia è stato il senso di impersonalità e di imparzialità delle regole che esso applica. Caratteristiche rassicuranti per i governati che sentono la presenza e la vicinanza dello Stato e dei suoi servizi resi nell’interesse della collettività. Ed anzi, per paradosso, proprio gli Stati più orientati ad un forte capitalismo economico hanno dovuto ricorrere alla burocrazia, alla creazione di un sistema di regole in grado di garantire il funzionamento dei mercati e la competizione secondo principi economici e normativi.

Tuttavia, i meccanismi nati per garantire i principi del liberalismo e della democrazia, si sono poi rivelati la gabbia dentro la quale chiudere le libertà individuali e comprimere quelle costituzionali con imparziale uniformità, orientando la costruzione degli stati secondo una visione socialista e collettivista.

John Stuart Mill nel 1870.

John Stuart Mill affermava nel XIX secolo che esistono soltanto due tipi di governo competenti: le burocrazie e le democrazie. Le altre forme di governo conosciute come monarchie o aristocrazie, se dimostrano forza intellettuale e capacità nell’eseguire i propri compiti, sono in realtà burocrazie nelle mani di amministratori di professione, cosa che costituisce l’essenza ed il significato di burocrazia.
I sistemi politici degli Stati moderni hanno saputo convogliare negli apparati burocratici quei meccanismi di orientamento e coordinamento sociale in grado di imbrigliare le naturali istanze dell’individualismo libertario.
L’individuo, al centro della declinazione dei diritti fondamentali e del riconoscimento delle libertà costituzionali, nel progredire dei contesti politici ed istituzionali cede il passo all’interesse collettivo ed alle esigenze dello Stato.

L’impersonalità asettica dell’esercizio del potere burocratico garantisce anche una diffusa irresponsabilità del potere stesso. Il fatto che si richieda un’autorizzazione e la si ottenga dopo anni, che una richiesta di riconoscimento di invalidità o di pensione ottenga risposta dopo il decesso dell’interessato, la prenotazione di una visita sanitaria urgente che viene fissata a distanza di decine di mesi, viene sempre attribuita ad un’endemica inefficienza del sistema che si perde nell’astrattezza e nell’indeterminazione.
La debolezza delle normative interne finalizzate alla imposizione nei confronti degli organismi statali di determinati comportamenti, l’assenza di significative ed incisive sanzioni e imposizioni di obblighi nei confronti del personale amministrativo, hanno reso l’apparato burocratico sempre vincente e soverchiante nei confronti del rispetto dei diritti del singolo e dell’individuo.
I contorni dei diritti riconosciuti al singolo sfumano in declaratorie del tutto astratte ed indeterminate, di fatto inattuabili nel contesto sociale esistente.

In questo scenario, il contesto internazionale e gli interessi economici dei gruppi transnazionali opereranno sempre più per la limitazione e la subordinazione dei diritti individuali dei singoli cittadini, e questi ultimi tenderanno sempre più a uniformare la loro identità sociale alle regole imposte.

Belice, 1971.

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