Home Cultura Claudio Santamaria e i Marlene Kunts: viaggio musicale nella pellicola di Murnau

Claudio Santamaria e i Marlene Kunts: viaggio musicale nella pellicola di Murnau

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“FestivArt 2018/2019 Meridiano Sud nell’ambito della stagione teatrale del Tau (Teatro Auditorium Unical) ha presentato “ Il Castello di Vogelod”, un viaggio musicale nella pellicola di Murnau tra parole e immagini, accompagnato dalla voce e live electronics di Claudio Santamaria, con la colonna sonora dei Marlene Kunts, una pellicola ampiamente voluta dal direttore artistico del Tau Fabio Vincenzi in sintonia con lo staff organizzativo.

Cinema muto dei primi anni ‘20, enfasi mimica, assenza dei rumori ed immagini che sfruttano lo spazio per “far immaginare” il suono che si stava producendo si consacrano come elementi essenziali della rappresentazione teatrale, messa in scena da Claudio Santamaria accanto alla potenza canora dei Marlene Kunts.

La pellicola ci riporta ai tempi del cinema muto, dove le sceneggiature erano basate prettamente sull’azione, le psicologie dei personaggi non erano ben chiare e spesso non si individuava in modo dettagliato l’intreccio degli eventi; la voce di Claudio Santamaria restituisce una vocalità ai personaggi, un suono ed anche un’espressione dei sentimenti, sebbene sia complicato ripercorrere quelle situazioni con gesti, mimica e movimenti tipici o caratteristici di una data emozione, oppure di  reazione ad un evento.

Tutto si svolge all’interno del Castello di Vogelod ( Il Castello di Vogelod è il nome della pellicola) , un film tratto dal romanzo omonimo di Rudolf Stratz, che ci conduce dentro un’ampolla quasi vetrata, in cui l’intera esistenza dei personaggi sembra essere un ricordo sfuocato del passato, fatto da immagini nebulose, contorni poco pronunciati e parole mai dette. La storia del film non si allontana molto dalla realtà delle cose, si parla di amore, di odio , di libido, di desideri nascosti , di sospetto e di morte, al fianco della ricerca della verità, una verità nefasta che sopraggiunge al Castello nella veste di un certo padre Faramund, colui che muove l’intreccio del film, riportando tutto in ordine: si scopre un assassino, si svelano alcuni tradimenti, si intravede anche la tensione di una donna , si tratta di percepire o meglio verificare la sua colpevolezza in relazione all’omicidio del marito. Una consolle sul palco,azionata dallo stesso Santamaria, che riesce a riprodurre il non detto, la malinconia, la tristezza,la menzogna, la cattiveria, l’avarizia, la paura, lo sconcerto in unica direzione, il dramma.

Cosa racchiude quel castello? Racchiude la vita,il rigore dei personaggi del tempo, le loro abitudini, i vestiti antichi, i pezzi di antiquariato, e in particolare i dettagli. Il dettaglio diventa necessario quando si deve reinterpretare una pellicola risalente al cinema muto, ed in questa operazione riescono bene i Marlene Kunt, coadiuvati dalla loro sonorità sentimentale, fondendo il loro rock alla voce di Santamaria, dei veri e propri impressionisti della musica contemporanea. Ci si guarda allo specchio nel film mediante un filo che gioca sulla costante contrapposizione tra verità e finzione, rivelando tutti gli aspetti dell’essere in modo amplificato e con un certo estro, sempre in linea con la coscienza critica di chi intende comprendere le “cose non dette” nelle storie raccontate.

a cura di Matteo Spagnuolo

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