Mi presento: mi chiamo Gianfrancesco Intini, sono nato a Roma 35 anni fa, sono un chirurgo generale: mi occupo principalmente di patologia oncologica addominale, in particolare colorettale, e ho passata esperienza nel campo dei trapianti d’organo.
Cerco di impiegare il poco tempo libero, residuo dell’attività lavorativa, dedicandolo all’attività fisica e al vivere le passioni. Tra i miei interessi principali sicuramente la lettura e la scrittura: ho pubblicato un romanzo due anni fa a tematica thriller-horror.
Adoro inoltre la fotografia, soprattutto di paesaggio, che posso conciliare a lunghe passeggiate nella natura, e la musica, da ascoltatore e da musicista dilettante, appassionato di chitarra elettrica e acustica.
Non dimentico inoltre un forte interesse per il cinema, l’arte e la storia.
“Bisogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro”, diceva lo storico greco Tucidide nel V secolo a.C. e questa affermazione è sopravvissuta allo scorrere del tempo e delle civiltà, mantenendosi reale, soprattutto in un’epoca come la nostra, dove l’accesso alle informazioni è semplificato, ma non correttamente bilanciato da una giusta capacità di capire.
Fu lo stesso storico greco che, descrivendo la peste che colpì Atene durante la Guerra del Peloponneso nel 430 a.C., osservò che le persone che guarivano dalla malattia, raramente si ammalavano e, comunque, chi ne veniva colpito una seconda volta presentava un decorso più lieve (questo rapportato ai giorni nostri ci ricorda qualcosa).
Fin dall’antichità, pertanto, si sapeva che vi doveva essere qualcosa che proteggeva dalla reinfezione. In epoche tecnologicamente lontane, erano il solo metodo scientifico, l’intuizione e la sperimentazione che guidavano la scienza e portavan progressi per l’umanità. Fu così che i medici cinesi, intorno all’anno 1000, iniziarono a sperimentare un metodo per arginare una malattia antica e terribile: il vaiolo. Nacque, infatti, in quel luogo e in quegli anni, la pratica della variolizzazione, che consisteva nell’inoculazione in un uomo sano, del prodotto delle pustole di un soggetto affetto da vaiolo in forma leggera o in fase di guarigione.
Con il tempo tale metodica giunse anche in Europa, riducendo in parte i casi di vaiolo, nonostante la bassa efficacia, pur presentando ancora molti rischi: non si sapeva ancora che tramite la variolizzazione si inoculava il virus vivo.
La vera rivoluzione si ebbe verso la fine del Settecento, ancora una volta grazie ad un’intuizione. Edward Jenner era un medico inglese di Berkeley, il quale notò che esisteva una forma di vaiolo che infettava i bovini. Egli non fu colpito tanto dall’evoluzione della malattia tra gli animali, quanto dal fatto che essa poteva contagiare anche l’uomo; non solo, egli notò anche che i mungitori inglesi che contraevano la forma bovina, risultavano immuni (anche se questo termine entrò nella pratica clinica più avanti) al vaiolo umano oppure sviluppavano una forma leggera e vi guarivano.
Una lattaia di nome Sarah Nelmes, nel 1796 si recò da Jenner per essere curata dopo aver contratto il vaiolo bovino: il medico sfruttò l’episodio per sperimentare la sua teoria. Inoculò al figlio del suo giardiniere, un bambino di otto anni di nome James Phipps, il materiale prelevato dalle lesioni del vaiolo bovino di Sarah. Il bambino presentò un rialzo febbrile e una lesione locale, ma non ci furono altre conseguenze e risultò perfettamente sano in un paio di giorni. Dopo due mesi il medico inoculò James con materiale prelevato da un caso di vaiolo: il ragazzo non si ammalò. Era immune.
Nel 1798 Jenner scrisse un articolo intitolato “An Inquiry Into Causes and Effects of the Variolæ Vaccinæ”, in cui riportava la sua esperienza su 23 casi: dal quel momento iniziò la pratica della vaccinazione che ridusse i casi di vaiolo in Inghilterra da 18.596 a 182.
Tutto questo è stato l’inizio di un percorso che ha portato all’annuncio della completa eradicazione del vaiolo da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1986.
Conoscere il passato ci aiuta a capire quanto sia stato lungo e difficile giungere a certe scoperte e come fatti che diamo per scontati abbiano richiesto lunghi studi, rischi e fatica. Se Tucidide 2500 anni fa sapeva che aver contratto la peste non dava la certezza di non potersi riammalare, ma nella peggiore delle ipotesi dava il vantaggio di ridurre enormemente i rischi, perché oggi ci viene più difficile comprendere? Abbiamo più sapere, abbiamo tecnologia e mezzi e le informazioni a portata di mano: quello che manca è la capacità di comprendere.