Trattare la neuroinfiammazione determinata dal Covd-19 per scongiurare le malattie neurodegenerative.
E’ l’approccio da seguire secondo Arianna Di Stadio, neuroscienziata Docente all’Università di Catania e ricercatrice onoraria presso il Laboratorio di Neuroinfiammazione del UCL Queen Square Neurology di Londra, anche sulla base di un recente studio pubblicato sulla rivista Nature.
Lo studio ha identificato una relazione tra infezione Covid-19 e malattie neuro-degenerative ed ha dimostrato come il trattamento della neuroinfiammazione sia in grado di inibire questa neurodegenerazione. I ricercatori che hanno sviluppato uno studio complesso usando sia il modello animale che la microglia umana, un tipo di cellule che si occupano della difesa immunitaria attiva nel sistema nervoso, hanno scoperto che il Sars-CoV2 attiva la microglia nella sua forma infiammatoria e che questo fenomeno persiste anche quando il virus è stato debellato.
I ricercatori hanno però scoperto che usando dei farmaci anti-neuroinfiammazione era possibile bloccare questo processo aumentando la sopravvivenza dei topi infettati da Sars-CoV2 che morivano per le conseguenze neurologiche del virus, comparandoli con quelli non trattati. Il virus SarsCoV2 può quindi attivare la microglia causando i sintomi comuni alle malattie neurodegenerative come il Parkinson.
I ricercatori hanno testato delle molecole in grado di limitare l’attivazione della microglia dopo che era stata attivata dal Covid-19 ed hanno osservato una riduzione dei sintomi. Poichè la microglia, nella sua forma pro-infiammatoria, è responsabile di diverse malattie neurodegenerative e neuro-infiammatorie e nell’esperimento condotto può essere disattivata, i ricercatori hanno ipotizzato che il trattamento della neuro-infiammazione possa essere una potenziale via di intervento anche per il Parkinson. Questo studio “dimostra a livello cellulare quanto noi abbiamo evidenziato con i nostri studi clinici, cioè che utilizzando una molecola anti-neuroinfiammazione è possibile modulare queste cellule che aiutano il recupero delle funzioni olfattorie e cognitive post-Covid – afferma Di Stadio -. Lo studio dimostra come il virus sia in grado di determinare l’infiammazione nell’encefalo, anche una volta risolta l’infezione.
In parole semplici, sebbene il Covid crei una neuro-infiammazione, se questa viene risolta con un trattamento, ne trarranno beneficio sia coloro che potrebbero essere geneticamente più predisposti a sviluppare una malattia neurodegenerativa, che coloro, che seppur non geneticamente predisposti, potrebbero avere un rischio aumentato nello svilupparla a seguito dell’infezione da SarsCoV2. Ritengo che questa scoperta sia assolutamente un passo avanti non solo per limitare i possibili effetti negativi a lungo termine dell’infezione da Covid ma anche un incentivo per continuare a lavorare sulla neuro-infiammazione e sua prevenzione come alleato per combattere le malattie neuro-degenerative”.
ANSA