Il vero calcio rientra nell’Epica diceva Gianni Brera commentando quella partita, quel Italia Germania “quattroatre” che si pronuncia tutto d’un fiato, tutto attaccato, come il nome della leggenda che quel giorno fu protagonista: Gigi Riva. “Il vento urlava sempre più forte con un continuo rombo di tuono” scrisse Grazia Deledda, fu poi sempre Brera a mettere la maiuscola a quell’immagine riferendosi al Re sardo del Lago Maggiore, Luigi, che al suo arrivo nell’isola è diventato per sempre Gigi, Rombo di Tuono. L’anno di Riva è il 1970, quello dello scudetto del Cagliari e del quasi mondiale italiano: l’ultima coppa Rimet la vinse il Brasile, la vinse per la terza volta Pelé contro tutti i campioni del tempo, dagli inglesi trionfanti quattro anni prima, alla squadra di Ferruccio Valcareggi che con Gigi, aveva dimenticato le ferite della prima Corea (la seconda nel 2002 Riva la visse da team manager). Tornando indietro, di una partita, nello storico “quattroatre” Rombo di Tuono fece sentire una volta la sua voce, era il 104’ il 3-2 azzurro che precedeva l’ultimo colpo di Rivera sferrato al 111’ dopo il pareggio di Gerd Müller. La Nazionale di Ferruccio volava in Messico, all’Azteca teatro della storia sportiva (16 anni prima di Maradona e del suo gol del secolo), giocava a Città del Messico teatro della storia mondiale, due anni dopo i pugni chiusi di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi 1968. Sicuramente Gigi ci avrà ripensato a quella partita, quando dopo 36 anni assistette ad un’altra semifinale mondiale Italia-Germania, anche quella vincente e solo preludio al trionfo di Cannavaro, Totti, Del Piero e un altro Gigi, Buffon. Ala sinistra mancina con il numero 11 del Cagliari, Riva ha messo la Sardegna al centro del calcio italiano con quello scudetto indimenticabile e adesso, come sempre, rimarrà impresso nelle memorie calcistiche nazionali con “un solco sul viso, come una specie di sorriso” per dirla con le parole del suo grande amico Fabrizio De Andrè.
Gigi Riva: il dolore di Dickens e il primo rifiuto alle grandi
Le storie di ragazzi, quasi bambini si può dire, che sono stati salvati dalla miseria grazie al calcio non si contano ormai, tuttavia, una delle prime è proprio quella di Gigi Riva. Nato il 7 novembre 1944 a Leggiuno, sul Lago Maggiore da una famiglia modesta la cui già traballante stabilità economica viene meno quando il padre morì in fabbrica. Era il ‘53 e Gigi si ritrovò orfano, venne mandato in collegio e non molto tempo dopo il cancro si portò via anche la madre del futuro campione. E così Riva si ritrovò a vivere quelle tristi ambientazioni alla Charles Dickens, in costante solitudine e povertà (spesso ha raccontato di aver tentato la fuga dai vari collegi). Nel 1960 conosce il calcio, il suo salvatore dalla miseria, che lo portò a giocare prima nel Laveno Mombello e nel per il Legnano. È nell’intervallo di una partita della nazionale giovanile giocata a allo stadio Flaminio di Roma contro la Spagna che la sua vita subisce una svolta: venne acquistato quel giorno dal Cagliari, il club che bruciò la concorrenza soprattutto del Bologna (il Presidente Dall’Ara aveva offerto più dei 37 milioni di lire proposti da Arrica, ma la squadra lombarda scelse di mantenere la parola data ai sardi). Al termine della stagione 63-64, mentre sotto le due Torri si scatenava la festa per il settimo scudetto, sull’Isola, allo stesso modo si gioiva, ma per una promozione in Serie A.
Gigi Riva: lo scudetto con il Cagliari segnato da Rombo di Tuono
Al momento del trasferimento il giovane Gigi non era entusiasta, accettò convinto un giorno di poter tornare sulle sponde del suo lago, poiché “non esiste rimorso più profondo di quello senza rimedio” diceva appunto Charles Dickens, e rifiutare il Cagliari sarebbe senza dubbio stato il più grande rimpianto della sua vita. Dal 1963 lascia il “Continente” e si stabilisce sull’isola che finì per non abbandonare mai, rifiutando ogni occasione di un possibile ritorno al Nord. Nel 1963 il Cagliari non era la squadra in grado di vincere lo scudetto, non poteva aspirare a quel tipo di traguardi e anzi era addirittura in serie B. Con la crescita dei risultati, iniziò a scalare le gerarchie anche e soprattuto grazie ai gol di Gigi: di sinistro, di testa, in acrobazia, non c’è un tecnicismo sconosciuto a colui che ormai era diventato Rombo di Tuono. Nel 1970 arrivò lo scudetto e a quel punto la Juventus si fece avanti, l’Avvocato Agnelli e Boniperti non potevano lasciarsi scappare un fenomeno di quel calibro e presentarono l’offerta: 2 miliardi di lire con Bettega, Gentile e Cuccureddu. Era il 1973, dopo uno scudetto e il record di gol in Nazionale (35 in 42 partite) qualunque campione si sarebbe ritenuto pronto per il grande passo verso una delle tre grandi satiriche del calcio italiano (ci provarono anche Inter e Milan). Per Gigi sarebbe stato il ritorno verso le terre in cui era nato, d’altronde anche il suo amico De André cantava “Amore che fuggi, da me tornerai”, ma ormai la sua casa era diventata la Sardegna e il suo posto non poteva essere altrove. La scelta di cuore di Riva, il gran rifiuto figlio dello Scudetto, figlio dell’amore nato per una donna sposata -Gianna Tofanari, ndr- e reso possibile anche dalla rivoluzione culturale del ‘68, passa alla storia. Da quel giorno Riva divenne il simbolo di un popolo di tifosi, l’indimenticata icona del Cagliari campione nel segno di Rombo di Tuono.
Caro Ascanio, io nel 1970 appena sposato in quel fatidico 4a3 c’ero davanti al televisore insieme ai miei storici amici romanisti della Tevere numerata Giulio Lais, Alberto Indri, Enrico Bendoni…l’emozione di quel risultato, e di quel grandissimo Gigi Riva e’ ancora nel cuore a maggior ragione per lo schifo nel quale è piombato il calcio attuale oramai uscito dai miei interessi. Grazie per avere scritto di quel grande che forse non hai mai visto.