Il Nemrut Dagi è uno dei luoghi più sorprendenti ed enigmatici dell’antichità, la cui scoperta è relativamente recente. La sua vetta è sormontata da un enorme tumulo artificiale, alto 50 metri, circondato da statue gigantesche. Si tratta di un hierothesion, una dimora divina, eretta sulla montagna più spettacolare della regione perché era “la più vicina al trono di Zeus”. È un monumento prodigioso, in cima ad un monte che offre uno scenario di insuperabile bellezza, unico negli annali dell’archeologia, innalzato nel I secolo a.C. da un re, Antioco I di Commagene, che si equiparava agli dèi, e pertanto dotato di immortalità.
Fino a non molto tempo fa, la visita del Nemrut Dagi rappresentava una piccola spedizione. Oggi l’accesso è facilitato da una stradina, anche se vi sono ancora tratti che devono essere abbordati con prudente lentezza. Dopo un lungo cammino si vede sorgere, in un paesaggio lunare e con una sorprendente e teatrale apparizione, il gigantesco, impressionante tumulo a forma di cono, ricoperto da pietre livide. Bisogna arrivare fin quasi ai suoi piedi per scorgere le statue colossali che, dopo venti secoli, montano ancora la loro guardia impassibile.
Per capire meglio questo straordinario e, purtroppo, ancora poco conosciuto monumento, è necessario inquadrare sia il contesto geografico che quello storico in cui esso è inserito.
Contenuti dell’articolo:
- IL CONTESTO GEOGRAFICO: LA COMMAGENE
- IL CONTESTO STORICO: ANTIOCO I
- LA COMMAGENE DOPO ANTIOCO I
- LA SCOPERTA
- LA TOMBA-SANTUARIO DEL NEMRUT-DAGI
- IL LEONE DI NEMRUT E LA CONGIUNZIONE PLANETARIA
- IL GIGANTESCO TUMULO
- UN SANTUARIO VIVENTE
- IL NEMRUT DAGI OGGI: LA TRADIZIONE DEL SOLSTIZIO
- UN MONUMENTO UNICO
IL CONTESTO GEOGRAFICO: LA COMMAGENE
Il grande geografo greco Strabone, che scriveva alle soglie dell’era cristiana, ci ha lasciato una descrizione della Commagene, che probabilmente conosceva, essendo originario della Cappadocia, nell’Anatolia centrale: “E’ un piccolo paese…Di mediocre estensione, la terra ha però una grande fertilità”. Certo, si fatica oggi ad immaginare l’antico aspetto della Commagene percorrendone le distese dai pendii erosi e desolati, che ora il governo turco si sforza di attrezzare e far rivivere. L’erosione ha ridotto allo stato di steppa una regione un tempo nota per la sua fertilità. All’epoca dell’Impero Assiro, la Commagene forniva ai suoi potenti vicini metalli preziosi (oro e argento), vino e bestiame, oltre al legno di cedro. Questo semplice elenco ci fornisce una chiara idea di quale fosse la ricchezza della Commagene, le cupidigie di cui dovette essere oggetto e le difficoltà che ebbe per salvaguardare la propria indipendenza.
La regione aveva inoltre un ruolo importante sul piano strategico: dominava le strade del Medio Eufrate, i passaggi dall’Asia Minore verso la Siria e la Mesopotamia, di cui si valsero tanti conquistatori.
IL CONTESTO STORICO: ANTIOCO I
La storia della Commagene si perde nella notte dei tempi. Il suo nome compare per la prima volta, sotto la forma Kummuhu, negli annali del re assiro Salmanassar III, che regnò nel IX secolo a.C. In seguito, la Commagene passò sotto la sovranità dell’Impero Persiano per essere poi inglobata dalle conquiste di Alessandro Magno. Alla sua morte, la regione diventò parte del grande Stato Ellenistico dei Seleucidi. Approfittando delle discordie che travagliarono il regno di tale dinastia, la Commagene riuscì, intorno all’80 a.C., a rendersi indipendente e dotarsi di propri re. Isolata nella sua cornice di montagne, ben protetta dalla natura, il regno poteva quindi permettersi il lusso dell’indipendenza.
Intorno al 69 a.C. salì al trono di Commagene Antioco I, uno straordinario monarca, che avrebbe regnato fino al 34, cioè per circa 35 anni. Gli storici ci hanno tramandato poco di lui, ma l’archeologia oggi ce lo ha fatto riscoprire e conoscere meglio, come vedremo in seguito.
Benché isolata tra i suoi monti e difesa dalla natura, la Commagene non sarebbe sfuggita a lungo ai tentacoli di Roma. In un primo tempo, dovette “collaborare” con i Romani: dalle lettere di Cicerone sappiamo che Antioco teneva fedelmente al corrente il Senato sui movimenti delle truppe dei Parti, i potenti e temibili avversari orientali di Roma.
Antioco tra Antonio e Cleopatra
Lo sfortunato sovrano sapeva che il suo regno era fortemente desiderato sia per la sua posizione strategica che per le ricchezze. Antonio, che aveva avuto il comando dell’Oriente romano, conduceva con Cleopatra una vita lussuosa che gli imponeva una costante ricerca di fondi. A tale scopo, egli inviò un legato con l’incarico di portar via tutti i tesori di Antioco. Questi offrì spontaneamente 1.000 talenti – ossia 600 milioni di euro attuali! – ma il legato rifiutò ciò che considerava un’elemosina, con la conseguenza che le legioni iniziarono l’assedio della capitale Samosata (conosciuta all’epoca con il nome di Antiochia in Commagene). Fu tutto inutile, anche quando Antonio intervenne di persona: alla fine, il rivale di Ottaviano dovette accontentarsi di soli 300 talenti, generosamente concessi da Antioco, una cifretta pari a 180 milioni di euro attuali.
Come piccola nota a margine, desideriamo segnalare che l’antica Samosata, da grande città divenne un modesto villaggio. Le sue rovine si trovavano in corrispondenza dell’attuale Samsat (Provincia di Adiyaman), finché il sito archeologico e la sua storia non furono sommersi nel 1989 a seguito della costruzione della Diga Atatürk.
Nel 34 a.C. come abbiamo visto, il grande re di Commagene morì e venne inumato nella prodigiosa tomba-santuario che si era fatto preparare e che tra poco andremo a vedere.
Il regno conservò ancora per qualche tempo una relativa autonomia ma, dopo un’ultima e inutile resistenza, fu definitivamente annesso all’Impero Romano.
LA COMMAGENE DOPO ANTIOCO I
Dopo l’annessione, la Commagene fornì truppe a Roma: uno squadrone di cavalleria e degli arcieri, che godevano di una grande reputazione. L’imperatore Vespasiano fece arrivare a Roma i membri della famiglia reale, che si fusero con l’aristocrazia romana. Su uno dei famosi colossi di Memnone è stata decifrata l’iscrizione di una certa Giulia Balbilla (anche allora si graffitava sui monumenti antichi…), che si vantava di discendere dai re di Commagene. Essa aveva accompagnato l’imperatore Adriano in occasione della sua visita in Egitto, nel 130 d.C. Fu l’ultima testimonianza di una dinastia che ebbe tanta fama… Chissà se Giulia Balbilla fosse consapevole del fatto che uno dei suoi antenati riposava sul Nemrut Dagi, in una tomba che eguagliava per imponenza e superava in arte le piramidi egizie…
LA SCOPERTA
Il monumento fu scoperto per la prima volta agli occhi occidentali alla fine del XIX secolo. Era sempre stato noto alla popolazione locale, che venerava il sito come la leggendaria dimora dei loro antichi re. Può sembrare strano che il Nemrut Dagi sia rimasto “perduto” fino a tempi relativamente recenti. Infatti, tra le grandi località archeologiche dell’Oriente ricche di rovine affioranti, Palmira, benché sperduta nel deserto della Siria, era stata attentamente visitata già nel XVIII secolo; Petra, in Giordania, fu esplorata nei primi anni del XIX secolo. E Leptis Magna, la sfarzosa città di Settimio Severo, in Libia, fu addirittura sfruttata da Luigi XIV per rifornire di colonne Versailles. Mentre ancora poco più di centoventi anni fa, invece, il Nemrut Dagi, benché coronato dal gigantesco tumulo e cinto da statue colossali, restava ignorato. Eppure, la cosa non è strana come sembra a prima vista. Il sito si trova in una delle regioni più sperdute dell’Anatolia, fino a poco tempo fa praticamente sfornita di vie d’accesso e fuori dagli itinerari preferiti dai viaggiatori dei secoli scorsi. A ciò si aggiunga che ai tempi dell’Impero Ottomano gli stranieri non avevano la possibilità di spostarsi a loro piacere nella Turchia asiatica.
Dopo una serie di racconti apparentemente fantastici del XIX secolo degli esploratori tedeschi (che raccontavano di statue giganti, centinaia di sculture in rilievo e animali immensi), le autorità incredule inviarono una squadra in Turchia per scalare il Nemrut Dagi. Allo stesso modo, anche i Turchi inviarono un contingente investigativo. I due gruppi lavorarono separatamente e i resoconti che ci hanno lasciato, per quanto preziosi sono tuttavia incompleti ed imprecisi.
Anche se la zona era ora stata descritta, restava comunque alla stregua di curiosità enigmatica avvolta nel mistero, fino a quando gli scavi dell’archeologa americana Theresa Goell (che lesse i vecchi rapporti) e il suo team internazionale portarono alla luce l’intero sito negli anni ‘50.
LA TOMBA-SANTUARIO DEL NEMRUT DAGI
E vediamolo, finalmente, questo sito straordinario il cui nome in turco significa “Montagna di Nimrud”, forse in riferimento al mitico re della Genesi, colui che costruì la Torre di Babele, edificò Ninive e che, secondo la leggenda locale, andava a caccia in quella zona. Non stupisce che la montagna abbia tratto (quando non si sa) il nome di un mitico eroe. Si è pensato che il personaggio sia stato ispirato dal dio sumero Ninurta, signore della guerra: la Commagene era abbastanza vicina al mondo mesopotamico e iranico, dove la leggenda di Nimrud conservava tutta la sua forza.
Sul Nemrut Dagi Antioco I fece edificare un tumulo artificiale, ai piedi del quale eresse un imponente complesso di diciotto grandi statue alte tra i cinque e i nove metri, composte da blocchi di pietra assemblati. Nel corso dei secoli, le statue furono gravemente danneggiate dai terremoti che colpiscono regolarmente l’Anatolia, e alcune di esse furono vandalizzate e mutilate in qualche momento del passato.
Per realizzare il complesso, che copre più di 26.000 metri quadrati, furono necessari enormi investimenti di mezzi e grandi competenze in ambito artistico. Fu necessario terrazzare la cima della montagna per erigervi un tumulo di forma conica di 150 metri di diametro e circa 60 metri di altezza, oggi ridotti a 50. Intorno al tumulo, al quale si poteva giungere percorrendo tre vie processionali provenienti da diverse direzioni, per accogliere le statue furono create tre terrazze sui lati nord, est ed ovest. Gli dèi di Commagene furono scolpiti seduti su troni rivolti verso il sole all’alba e al tramonto.
La terrazza nord
La terrazza rivolta a nord fungeva da punto di raccolta dei pellegrini; statue colossali di un leone e di un’aquila ornavano l’entrata. È la più rovinata delle tre terrazze, e di essa non rimane più nulla.
La terrazza est
La terrazza orientale è dominata da cinque grandi figure sedute, la cui identità è indicata dalle lunghe iscrizioni incise sui dorsi dei rispettivi troni. La maggior parte di queste statue sono state spezzate, erose. La pietra screpolata dà ai volti le rughe di un’augusta anzianità. Si ha l’impressione di un cimitero di giganti in uno scenario sovrumano…
Ovviamente tra gli dèi troneggia Antioco, come da lui stesso spiegato nell’iscrizione incisa alla base del seggio reale: “Ho fatto porre in mezzo ai seggi degli dèi benigni la statua della mia persona, associando così ad una nuova fortuna l’antica maestà degli dèi, e volendo rappresentare la cura costante che ho votato agli dèi immortali”. Il nome di Antioco era anche accompagnato da appellativi roboanti come theos epiphanes, dio manifesto. Ciò non deve stupire e non si trattava della megalomania di un pazzo: era la caratteristica delle monarchie teocratiche che si svilupparono in Oriente nel periodo ellenistico, ovvero il periodo intercorso tra la morte di Alessandro Magno e la conquista della zona da parte delle aquile romane.
Ciò che attira particolarmente l’attenzione è che gli dèi scolpiti del Nemrut Dagi sono ibridi, come la cultura del regno di Commagene, situato com’era nel cuore di un’Anatolia già ricca di civiltà e che, nei suoi elementi iranici ed ellenistici, rifletteva profondamente la vicina Persia. Del resto, Antioco dichiarava di discendere sia da Alessandro Magno da parte di madre – una principessa seleucide – che dalla dinastia persiana da parte del padre, Mitridate Callinico.
Ed è così che la prima statua è una combinazione di Zeus e Ahura Mazda, rispettivamente le divinità supreme della religione greca e persiana: la seconda statua, invece, coniuga le caratteristiche di Apollo, Elio, Ermes e Mithra, la grande divinità iranica, il cui culto si diffonderà largamente nel mondo romano (eguagliando il nascente Cristianesimo), fino in Gallia, col suo apporto di un alto senso morale e della speranza della redenzione; l’altra statua riunisce le figure di Eracle, Ares e Artagnes o Verathragna (la controparte persiana di Ares, considerata la protettrice di tutti i re); l’ultima statua rappresenta la personificazione della terra di Commagene.
Le cinque statue principali erano affiancate da due coppie costituite da un’aquila e un leone, simboli del potere celeste e terreno.
Ciò che colpisce è che la rappresentazione degli dèi sia prettamente greca, ma le loro dimensioni colossali rispecchiano una caratteristica dell’arte persiana. Anche le aquile e i leoni sembrano come venuti da Persepoli.
Davanti alle figure si trovava un grande altare a forma di piramide, la cui base quadrata aveva i lati di tredici metri di lunghezza.
La terrazza ovest
Le stesse figure compaiono anche sulla terrazza occidentale, sebbene siano decisamente più deteriorate. Tuttavia, su uno dei rilievi meglio conservati, è visibile la strana immagine di un leone col corpo cosparso di stelle, e che vedremo meglio.
In uno stato migliore di conservazione appaiono diverse stele a rilievo che raffigurano il sovrano che stringe la mano agli dèi – un gesto chiamato dexiosis – sia persiani che macedoni.
IL LEONE DI NEMRUT E LA CONGIUNZIONE PLANETARIA
Questo leone raffigurato sulla terrazza occidentale presenta, come abbiamo detto, il corpo cosparso di stelle. Gli studiosi ritengono che possa trattarsi di un oroscopo o calendario astronomico. Lo indicano le 19 stelle disposte intorno al felino e sul suo corpo, oltre alla mezzaluna che porta al collo. Questa disposizione riflette la congiunzione planetaria di Giove, Marte e Mercurio, avvenuta in una data precisa: il 7 luglio del 62 a.C.
Si ritiene che tale data indichi o la fondazione del prodigioso santuario o il giorno dell’ascesa al trono di Antioco.
IL GIGANTESCO TUMULO
I gruppi scultorei delimitavano su tre lati il colossale tumulo costruito sulla cima del monte Nemrut. Gli originali 60 metri di altezza sono stati ridotti a 50 da secoli di erosione dovuta agli agenti atmosferici (forti variazioni di temperatura stagionali e giornaliere, cicli di gelo e disgelo, vento, accumulo di neve ed esposizione al sole) nonché alle precedenti indagini di ricerca incontrollate e dall’arrampicata da parte dei visitatori. Molto sicuramente Antioco fu sepolto con il suo corredo all’interno di una camera funeraria disegnata a questo scopo, che venne poi ricoperta da migliaia di tonnellate di pietra frantumata per creare un rilievo artificiale.
Un sepolcro non ancora scoperto
Non vi è dubbio che Antioco riposi ancora sotto il tumulo in cui fu sepolto più di duemila anni fa. Ovvio che la tentazione di scavare è grossa. Ma come procedere? Il mostruoso cumulo è fatto di pietre che franano sotto i piedi di chi ne tenta l’ascesa. Non sarebbe certo un’impresa sensata distruggerlo metodicamente per penetrarne i segreti, come non sarebbe sensato scavare un tunnel per raggiungerne il cuore: ci si esporrebbe a gravi difficoltà, in particolare quella di provocare una vera e propria valanga di pietre.
UN SANTUARIO VIVENTE
Il complesso monumentale del Nemrut Dagi non era un santuario morto, rifugiato sulle vette per ottenere celesti solitudini. Al contrario: Antioco, come sappiamo dalle iscrizioni, volle farne un centro di culto vivente dei suoi dèi e di se stesso. Il testo scritto sulla base delle colossali statue descrive dettagliatamente le grandi cerimonie che dovevano svolgersi il decimo e il sedicesimo giorno di ogni mese, ricorrenze della sua nascita e dell’ascesa al trono. Sono descritti tutti i riti: le corone d’oro che dovevano ornare le teste degli dèi, le offerte d’incenso e di aromi da deporre sugli altari, la veste persiana che i sacerdoti dovevano indossare. Le iscrizioni sono in greco, ma i riti che descrivono sono strettamente legati alla tradizione religiosa persiana.
Il santuario era collegato con la campagna circostante e con i suoi abitanti da tre vie processionali, ognuna conducente ad una delle tre terrazze. Ogni percorso era sorvegliato da un consigliere che ammoniva i visitatori di accedere al santuario solo con intenzioni pie per non essere colpiti dalle mille frecce di Apollo ed Eracle.
Il sacerdote, dopo aver ricevuto i tributi della popolazione, faceva offerte di profumo e incenso sugli altari e infine compiva sacrifici di animali la cui carne veniva disposta su dei tavoli per essere consumata collettivamente in un banchetto allietato da musicisti i innaffiato da abbondante vino.
IL NEMRUT DAGI OGGI: LA TRADIZIONE DEL SOLSTIZIO
Oggi il Nemrut Dagi è la destinazione principale per chi vuole vedere il solstizio. È il luogo preferito dai turisti giapponesi, cinesi e israeliani. Come a Stonehenge, dove un festival permette ogni anno a ventimila persone di assistere all’allineamento del sole con gli antichi megaliti, anche in Turchia ha preso piede la tradizione del solstizio: ogni anno una piccola ma crescente folla di viaggiatori sale a 1.800 metri di altitudine e da lì raggiunge la vetta del Monte di Nimrud attraverso i percorsi cerimoniali originali. L’aria rarefatta e la fatica della salita inducono a riflettere sull’enorme impresa che compirono i costruttori del santuario. L’altezza della montagna è tale che la luce dell’alba sembra venire dal basso quando illumina i volti di pietra. Chi trascorre l’intera giornata sulla vetta, può rivivere lo stesso momento al tramonto, sulla terrazza ovest. Molti, al contrario, preferiscono salire al tramonto e aspettare l’alba nella suggestione magica della montagna di notte.
UN MONUMENTO UNICO
Dichiarato nel 1987 dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità, il monumento di Antioco I è una delle costruzioni più ambiziose del periodo ellenistico. Il suo complesso design e le dimensioni colossali ne hanno fatto un’opera senza uguali nella storia non solo della Commagene ma di tutto il mondo antico. Per costruire le statue colossali e le stele fu utilizzata una tecnologia altamente avanzata, della quale non sono stati trovati paralleli in nessuna altra parte per lo stesso periodo.
Il sito è in gran parte intatto ed esprime ancora oggi con forza il suo valore universale di incontro tra culture diverse. Gli importanti ambienti di culto sono ancora esistenti, come le strutture ancora originarie che si possono osservare percependo le correlazioni le une con le altre.
Un re unico
Il Nemrut Dagi ci ha conservato di Antioco la sua testa colossale, con le stigmate della giovinezza, dai tratti sereni e regolari che ricordano da vicino i ritratti di Alessandro Magno. Ma di tutti i dinasti nati dalle conquiste del vincitore di Babilonia, Antioco ci appare come un personaggio fuori del comune per il suo slancio religioso, per le sue concezioni artistiche e per l’affermazione del suo orgoglio.
Il regno ellenistico di Commagene fu effimero – durò poco più di un secolo – ma creò ed affermò una straordinaria civiltà nel cuore delle sue montagne. Di esso si conoscevano solo brandelli di storia, ma l’archeologia ci ha mostrato tutto il suo splendore: è un mondo perduto che è stato ritrovato.