Il Teatro alla Scala insieme all’Opéra National de Paris ha commissionato al compositore Francesco Filidei una nuova opera tratta dal romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa (ed. La nave di Teseo). La prima assoluta, con la direzione di Ingo Metzmacher, la regia di Damiano Michieletto e Kate Lindsay e Lucas Meachem nelle parti di Adso da Melk e Guglielmo da Baskerville, è prevista al Piermarini per la Stagione 2024/2025 e lo spettacolo sarà coprodotto dalla Scala con l’Opéra e con il Teatro Carlo Felice di Genova. Il nome della rosa, la cui partitura sarà pubblicata da Casa Ricordi, è la terza opera di Filidei dopo Giordano Bruno – su libretto italiano di Stefano Busellato (Oporto, Casa da Musica, Teatro Valli di Reggio Emilia 2015, presentato al Piccolo Teatro di Milano nel corso del Festival Milano Musica dello stesso anno) – e L’inondation, su libretto francese di Joël Pommerat (Parigi, Opéra Comique 2019). Questa volta lo stesso Filidei – impegnato sul libretto con Stefano Busellato e Pierre Senges oltre che con i drammaturghi Hannah Dübgen e Carlo Pernigotti – lavora su due versioni, italiana e francese, per le prime a Milano e Parigi.
La presentazione del progetto è avvenuta oggi nel Ridotto dei Palchi del Teatro alla Scala, nei giorni in cui si svolge a Milano la 32° edizione del Festival Milano Musica, ed è stata l’occasione per anticipare che il programma del Festival 2025 tornerà ad avere carattere monografico e sarà dedicato proprio a Francesco Filidei. Il nome della rosa è il secondo progetto realizzato dal Teatro alla Scala in collaborazione con SIAE – Società Italiana Autori ed Editori nell’ambito del Concorso per compositori, librettisti e coreografi iscritti alla SIAE. La prima edizione, riservata alla coreografia, aveva sostenuto la creazione di Madina, coreografia di Mauro Bigonzetti e musica di Fabio Vacchi, andata in scena nel 2021.
L’opera
Per impostare il lavoro compositivo, tuttora in corso, Francesco Filidei si è chiesto innanzitutto quale sarebbe stato il percorso narrativo di Eco se fosse stato un musicista invece che uno scrittore. Per rispondere è necessario analizzare la struttura narrativa del romanzo per tradurla in drammaturgia musicale. Un nodo centrale è la relazione che il testo intrattiene con il romanzo popolare ottocentesco, soprattutto francese (Il conte di Montecristo, I misteri di Parigi, ecc.), ma anche con l’opera popolare ottocentesca, soprattutto italiana (Don Carlos, Il trovatore). Eco stesso, spiega Filidei, indica la strada da seguire quando nelle Postille al Nome della Rosa parla di “un libro che assumeva una struttura da melodramma buffo, con lunghi recitativi, e ampie Arie”. Inoltre Eco racconta in diverse interviste che un’ispirazione per la sua scrittura è venuta dal lavoro di collazione di materiali differenti realizzato da Mahler nelle sue sinfonie (e in questo senso non si può non ricordare la sua amicizia con Berio e il Terzo Movimento di Sinfonia, gravitante intorno allo Scherzo della Seconda di Mahler). Filidei sviluppa quindi il suo discorso musicale come una struttura portante di tipo sinfonico su cui si innesta una successione di arie e recitativi, quasi forme chiuse, il cui materiale è derivato principalmente dalla variazione di melodie gregoriane. È la dimensione del sacro a giustificare il passaggio dalla parola al canto.
Drammaturgicamente l’opera, che avrà la struttura di un autentico grand-opéra con oltre una quindicina di personaggi, sfrutterà la struttura del romanzo, in cui i fatti sono sempre presentati “de relato”, per dare a ciascuno un’aria. Le riflessioni teologiche e filosofiche inserite da Eco nel libro e difficili da tradurre in linguaggio teatrale saranno riflesse nella costruzione formale di alcune sezioni del lavoro, attraverso madrigalismi e strutture leitmotiviche associate alle varie tematiche proposte.
Filidei condivide la passione di Eco per la materia linguistica, si tratti di parole o di note, e il gusto per la struttura e la simmetria. Il nome della rosa è diviso in sette giornate, tre delle quali andranno a formare il primo atto e quattro (l’ultima è una chiusa di breve durata) il secondo. I due atti hanno forma simmetrica e le scene sono costruite ciascuna su una nota: do, do diesis, re bemolle, re… e poi specularmente fino a tornare al do. Ne consegue un’architettura formale rigorosa, ma anche la rappresentazione grafica di un labirinto, o dell’abbraccio dei petali: un’opera in forma di rosa.