Giorni di indecisioni, i morti che continuavamo ad aumentare, l’ospedale Papa Giovanni XXIII allo stremo, le bare portate via dall’esercito. Eppure l’ordinanza di isolare l’area tra Nembro e Alzano nella Bergamasca, come era avvenuto per i comuni del Lodigiano, non è mai arrivata. La mancata istituzione della zona rossa è stato oggetto di polemiche, ma è diventato anche un fascicolo di inchiesta. Perché il prezzo pagato dalla comunità è stato altissimo e in procura sono arrivate denunce ed esposti: per le morti nelle Rsa, per l’epidemia colposa che forse si sarebbe potuto arginare con la chiusura. Tra Nembro e Alzano, con 400 aziende, 3.700 dipendenti e 680 milioni di euro all’anno di fatturato, la decisione non è stata mai presa.
Si disse che, al di là dei provvedimenti emanati dal governo, la Regione Lombardia poteva fare qualcosa per chiudere il focolaio in virtù dell’art.32 della legge n.833/1978, dell’art. 117 del d.lgs n.112/1998 e dell’art. 50 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. Ma oggi il procuratore capo facente funzione – dopo aver sentito come testi l’assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera, che aveva ammesso che la zona poteva essere istituita dal Pirellone, e il presidente della Lombardia Attilio Fontana – ai microfoni del Tg3 dice che l’istituzione della zona rossa nella Bergamasca avrebbe dovuto essere “una decisione governativa”.