Gerusalemme, 9 agosto del 70 d.C. Dopo un lungo e sanguinoso assedio, la città capitola di fronte alla potenza di Roma: i soldati di Tito entrano nella città e incendiano il Tempio, distruggendo in poche ore tutte le bellezze che da secoli erano conservate all’interno dei luoghi sacri. E, mentre le insegne della Legio X Fretensis vengono innalzate sulla Porta Orientale, tutto ciò che può essere saccheggiato è in balìa della furia devastatrice degli invasori. Parte del bottino asportato fu raffigurato ed è visibile ancora oggi sui bassorilievi del fornice dell’Arco di Tito a Roma, in cui spicca la Menorah, il candelabro a sette braccia che veniva acceso all’interno del Tempio attraverso la combustione di olio consacrato. Fatto interamente d’oro, con monofusione, il candelabro era preziosissimo sia dal punto di vista sacrale che da quello puramente venale. Ma non fu l’unico manufatto ad essere contenuto nel Tempio. E qui cominciano le domande: che fine ha fatto il tesoro? Fu trafugato interamente dai Romani, oppure i Giudei riuscirono a mettere in salvo la maggior parte di esso? E in tal caso, dove potrebbero averlo nascosto? Fu mai recuperato o si trova ancora in attesa di essere ritrovato?
Una scoperta insolita: il Rotolo di Rame
Nel 1952, nella grotta numero 3 di Qumran venne ritrovato un rotolo diverso dagli altri, dei quali abbiamo già parlato (vedi I Manoscritti del Mar Morto), sia per il materiale sia per ciò che era scritto al suo interno. Come si può intuire dal nome con cui questo reperto è comunemente conosciuto, non è un foglio di papiro, ma è un testo inciso su metallo. Catalogato come 3Q15, è formato da due rotoli composti prevalentemente da rame con circa l’1% di stagno, che erano due parti separate di uno stesso rotolo lungo in totale circa 2 metri e mezzo. Durante l’inverno 1955-56 H. Wright Baker, del College of Technology di Manchester, segò i due volumi per ottenere 23 strisce curve oltre a numerosi fiocchi che si erano staccati durante il taglio. Si scoprì che il rotolo, alto 30 cm, aveva uno spessore inferiore a 1 mm ed era stato realizzato con tre fogli di rame rivettati tra loro. La sua datazione è complessa, ma il suo contenuto si riferisce a eventi situati nella seconda parte del I secolo d.C. e il contesto della sua scoperta suggerisce che potrebbe essere stato nascosto prima che Qumran venisse conquistata dai Romani. Il testo, diviso in 12 colonne, è scritto in un ebraico intermedio all’ebraico biblico (la lingua quotidiana degli Ebrei e degli Israeliti) e l’ebraico mishnaico (caratterizzato da una progressiva intrusione dell’aramaico nei commentari talmudici della Legge e riflette la lingua parlata alla fine del periodo del Secondo Tempio). Lo stile di scrittura è diverso da quello della maggior parte dei rotoli scoperti a Qumran. Lungi dal contenere testi religiosi, la sua struttura è tipica di un inventario, molto simile a quelli di una serie di inventari di un tempio greco sull’isola di Delos. A quel tempo, il rame era usato per salvaguardare documenti non letterari, come le leggi pubbliche romane o gli ordini di smobilitazione degli ex combattenti. Il rame era, insieme al bronzo, il mezzo comune popolare per la registrazione dei documenti del Tempio durante il periodo romano. E infatti era proprio un inventario che elencava i luoghi in cui era stato sepolto, diviso in vari siti, il più grande tesoro della storia, il Tesoro del Tempio!
La mappa del più grande tesoro nascosto del mondo…
Quando l’archeologo e linguista britannico John Marco Allegro trascrisse e tradusse il contenuto del Rotolo, quasi non credette ai suoi occhi: in esso si elencavano tesori nascosti in diversi luoghi intorno a Qumran e a Gerusalemme, come Gerico, la Valle del Chidron e la Samaria, in tutto 63 luoghi dove erano custoditi incredibili quantità di oro e di argento nonché paramenti sacerdotali, incensi ed essenze preziose Per le specificità delle unità di misura bibliche è difficile determinare il peso esatto del tesoro, ma si tratta probabilmente di tonnellate di metalli preziosi del valore monetario intorno ai 200 miliardi di dollari, ma dal valore storico inestimabile. Le istruzioni del Rotolo di Rame hanno una sorprendente somiglianza con le trame dei film di Indiana Jones: si parla di grotte, tombe, acquedotti, bacini artificiali, cunicoli, ecc., seguiti da indicazioni sul numero di passi da compiere in una certa direzione per trovare la parte nascosta del tesoro.
…ma difficile da trovare
Poiché il Rotolo fornisce misure e indicazioni geografiche riguardo ai luoghi dove sono nascosti i tesori, apparentemente non manca nulla per trovarli. La faccenda, ovviamente, non è però così semplice, come sempre nel caso di fonti molto antiche. Il testo presenta grandi difficoltà di interpretazione: inciso con martello e scalpello (che rendevano l’operazione di scrittura molto più difficile e causavano inevitabilmente degli errori) esso contiene poi parole ebraiche scarsamente conosciute, proprio a causa del tipo di ebraico usato. Il documento, inoltre, segue metodi di codifica che oggi non sappiamo bene interpretare: 7 località, ad esempio, sono seguite da gruppi di 2 o 3 lettere greche alla quali non si è in grado di attribuire un significato. Potrebbe essere quindi un metodo di classificazione di cui oggi si è perso il senso. Il Rotolo contiene anche degli errori: l’incisore si sbaglia più volte e incide lettere difettose nella forma vicino a quelle che sarebbero dovute apparire nella parola. Gli specialisti ne dedussero che coloro che commissionarono il Rotolo ne avessero affidato la realizzazione ad un incisore che non sapeva leggere, probabilmente per assicurarsi che da lui non sarebbe trapelata alcuna informazione. Inoltre, a seguito delle grandi difficoltà date dal testo, spesso i traduttori hanno interpretato la stessa frase in modo diverso, il che ha creato disaccordi sull’effettivo significato dell’intero contesto. L’unica cosa condivisa è che le indicazioni sull’ubicazione dei tesori sono fornite con una struttura fissa: si indica un luogo, poi un punto specifico relativo a quel luogo, la profondità alla quale è sepolto il tesoro o la posizione, e infine che tipo di tesoro si troverà. In un luogo chiamato “Mattia”, ad esempio, sono nascosti oltre 600 vasi sacri d’oro e d’argento del Tempio… I luoghi sono descritti in modo tale che una persona doveva essere necessariamente un contemporaneo dell’epoca in cui gli oggetti erano nascosti per poterli ritrovare. La descrizione, infatti, include dettagli oggi sconosciuti. Questi sono nomi locali di luoghi, edifici, strade, punti di riferimento che nell’antichità erano sicuramente noti ad un certo numero di persone, ma oggi non ci danno alcuna idea in quale direzione guardare.
Indicazioni sibilline
E infatti, se proviamo a leggere alcune di queste descrizioni, non possiamo non rimanere perplessi. Eccone una: “Nella rovina di Horebbah che è nella Valle di Acor, sotto i gradini rivolti a oriente, circa a quaranta cubiti di profondità giace una cassa d’argento con un peso di diciassette karsch. Nella tomba della terza sezione di pietre ci sono cento lingotti d’oro. Novecento karsch sono nascosti nel sedimento verso l’apertura superiore, in fondo alla grande cisterna nel cortile del peristilio”. Queste indicazioni sembrano a prima vista abbastanza precise: compare un luogo (la rovina di Horebbah nella Valle di Acor), dei punti specifici della struttura, metalli preziosi indicati con un’unità di misura locale. Purtroppo la prima informazione, la più importante, cioè il luogo, non è facilmente identificabile: come “Horebbah” sono stati proposti almeno una decina di siti diversi, e così avviene per tutti i luoghi indicati nel Rotolo che non siamo in grado di mettere in relazione ai toponimi attuali, come ad esempio il “Canale di Salomone” dove sarebbe nascosta una grande quantità di monete d’argento, o “Milham”, dove sarebbero nascoste le vesti del Sommo Sacerdote, possibilmente con le pietre “Urim e Thummin” (usate per interpretare il volere di Dio e, inseriti all’interno del pettorale del Sommo Sacerdote, contenevano il nome ineffabile di Yahweh) e tutti gli altri attributi descritti nella Bibbia. Un altro esempio di come le indicazioni siano precise ma praticamente inutilizzabili ci viene dalla colonna II del Rotolo di Rame: “Quarantadue talenti giacciono sotto le scale della salina… Sessantacinque lingotti d’oro giacciono sulla terza terrazza nella grotta dell’antica Casa dei Lavatori… Settanta talenti d’argento sono racchiusi in vasi di legno che si trovano nella cisterna di una camera funeraria nel cortile di Matia. A quindici cubiti dalla parte anteriore delle porte orientali, si trova una cisterna. I dieci talenti si trovano nel canale della cisterna… Sei barre d’argento si trovano sul bordo tagliente della roccia che è sotto il muro orientale della cisterna. L’ingresso della cisterna è sotto l’ampia soglia pavimentata in pietra. Scava quattro cubiti nell’angolo settentrionale della pozza a est di Kohlit. Ci saranno ventidue talenti di monete d’argento”.
Un secondo rotolo?
Come abbiamo detto, la presenza di lettere greche, disposte in ordine logico nel Rotolo, rende le cose ancora più confuse. Le ultime righe del testo aggiungono emozione alla confusione. In esse si parla, infatti, di un tesoro ancora più grande “in un pozzo asciutto a Kohlit”… ma purtroppo una spiegazione di come e dove trovare il pozzo, nonché indicazioni per scoprire il resto dei tesori, è contenuta in una copia del Rotolo. Ciò significa che da qualche parte, forse proprio a Kohlit stessa, è nascosto un secondo rotolo di rame, che sarebbe un supplemento, una chiave per trovare gli oggetti descritti nel primo. Secondo lo scrittore americano-israeliano Joel Rosemberg, il secondo rotolo può essere ritrovato. Secondo lui, potrebbe portare anche al ritrovamento dell’Arca dell’Alleanza, scomparsa senza lasciare traccia nel 587 a.C. quando Nabucodonosor conquistò Gerusalemme. Infatti l’Arca non è presente nell’elenco degli oggetti che il re babilonese portò via dalla città. Rosemberg, a sostegno della sua ipotesi, cita alcuni testi ebraici che indicano il fatto che i tesori del Primo Tempio di Gerusalemme, o Tempio di Salomone, e l’Arca furono nascosti dai sacerdoti prima dell’invasione babilonese. Gli indizi su dove erano nascosti sono stati lasciati su una tavoletta di rame.
Da dove viene il tesoro?
Ipotesi suggestive, quelle di Rosemberg, ma al momento buone per un avvincente romanzo di avventura. In realtà, non sappiamo da dove provenga il tesoro elencato nel Rotolo di Rame. Alcuni pensano che possa trattarsi dell’immenso tesoro custodito nel Tempio di Salomone (la Bibbia parla di 5.000 tonnellate d’oro e 30.000 tonnellate d’argento), altri che possa trattarsi del tesoro custodito nel Secondo Tempio, quello di Erode il Grande. Il tesoro era, come nei templi di molte religioni, composto dalle offerte votive del popolo ebraico e da una grande quantità di oggetti sacri non dissimili da quelli descritti nel Rotolo di Rame; la Bibbia lascia intendere, come abbiamo visto, che fosse molto sostanzioso, ma è impossibile stimare con precisione quanto fosse realmente cospicuo nelle diverse epoche, poiché gli stessi racconti riferiscono che sia stato più volte saccheggiato e riaccumulato: difficile, quindi, che il tesoro possa essere quello originale del Primo Tempio. Alcuni studiosi hanno proposto che il tesoro fosse appartenuto alla comunità di Qumran. Tuttavia, la difficoltà della tesi è rappresentata dal fatto che la comunità era una fratellanza ascetica che si professava distante dai beni materiali. La datazione stessa del Rotolo è incerta ma dalle due ipotesi più condivise si possono fare supposizioni: se la data di creazione del documento collocata tra il 25 e il 70 d.C. fosse esatta, allora potrebbe essere che gli Ebrei suddivisero il tesoro del Tempio in più nascondigli prima dell’aggressione romana, per impedire che fosse saccheggiato; se, invece, fosse esatta la seconda datazione, quella tra il 70 e il 130 d.C., allora sarebbe successiva alla distruzione del Tempio, e quindi il documento avrebbe avuto lo scopo di far ritrovare il tesoro per costruire il Terzo Tempio o per finanziare la nuova guerra contro i Romani, guerra che effettivamente scoppiò tra il 132 e il 135 d.C. condotta dal celebre Simone Bar Kokhba (Simone Figlio della Stella), che si proclamò Messia del popolo ebraico. La nuova rivolta si concluse, come è noto, con la distruzione definitiva di Gerusalemme, a cui venne imposto il nome di Aelia Capitolina. Dettaglio non da poco, sembra che alcuni fedeli di Bar Kokhba abbiano trovato riparo dopo la sconfitta proprio nelle grotte di Qumran.
Alla ricerca del tesoro
Ovvio che le notizie sul contenuto del Rotolo di Rame, una volta tradotto, abbiano risvegliato la cupidigia di avventurieri che si misero sulle sue tracce. Ma anche una seria spedizione scientifica fece parte di questa caccia: John Marco Allegro, che ha dedicato l’intera carriera all’interpretazione dei Rotoli del Mar Morto, imbastì una spedizione tra il 1962 e il 1963 con l’approvazione del re di Giordania e una grande aspettativa sui possibili ritrovamenti. Basandosi sulle proprie interpretazioni, Allegro individuò i possibili corrispondenti attuali dei luoghi e iniziò scavi ad ‘Ain al-Feshkha, a 3 Km a sud di Qumran. Se avesse trovato i tesori, si sarebbe saputo e la scoperta sarebbe stata rivoluzionaria e clamorosa. Ma purtroppo Allegro se ne tornò a mani vuote, senza un grammo d’oro e d’argento e nessuno dopo di lui, in oltre sessant’anni di scavi a Qumran ha mai trovato traccia delle ricchezze descritte nel Rotolo.
Svanito nel nulla?
Il fatto che il tesoro sfugga ai suoi cercatori ha fatto fiorire numerose ipotesi. La prima è che il testo non sia stato correttamente tradotto: magari chi ci ha lavorato ha frainteso di molto le informazioni, peraltro notevolmente difficili da leggere e contenenti errori e non è riuscito neanche lontanamente ad avvicinarsi alla collocazione dei tesori. Potrebbe essere, certo. Però ciò comporta l’attribuire agli studiosi una ingiusta incompetenza. Un’altra ipotesi è che la traduzione sia corretta ma che il Rotolo contenga informazioni inventate. Una colossale bufala, quindi, in cui l’autore si sarebbe divertito a parlare di oltre sessanta ricchi bottini, creando un’opera di letteratura. Secondo i sostenitori di questa teoria, come il biblista e prete cattolico Joseph Milik, il Rotolo di Rame non sarebbe altro che un testo che riporta miti e leggende popolari, non diversamente da alcune storie di epoca moderna sui tesori dei pirati mai ritrovati. Però nulla fa sospettare a priori che il Rotolo contenga informazioni inventate e in più il testo è stato inciso sul rame come se contenesse informazioni importanti da conservare il più a lungo possibile e da tramandare ai posteri; difficile credere che possa essere stato sprecato del metallo e il lungo lavoro di un incisore per parlare di tesori fittizi, no? Vogliamo segnalare un testo cabalistico del XVII secolo, intitolato “Emeq Ha-Melekh”, ossia “La Valle dei Re”. In esso viene citato un rotolo di rame su cui dei sapienti ebrei avrebbero indicato la collocazione dell’oro e dell’argento di Israele; anche se il testo non prova l’autenticità del Rotolo di Rame, esso dimostra però che esisteva un racconto tradizionale di una “mappa del tesoro” incisa su rame. Robert Eisenman, nel suo libro “Giacomo, il fratello di Gesù”, sostiene che il Rotolo di Rame sia un’autentica mappa del tesoro creata dalla comunità essenica e colloca la sua realizzazione intorno al tempo della Prima Rivolta (66-70 d.C.). In seguito sostiene che una copia duplicata del Rotolo potrebbe essere stata scoperta dai Templari durante la Prima Crociata, con la quale hanno trovato e raccolto il tesoro che è stato usato per finanziare il proprio ordine. Beh, come dice Umberto Eco ne “Il Pendolo di Foucault”: “I Templari c’entrano sempre!”, ma in questo caso le affermazioni di Eisenman non sono state prese molto sul serio dagli studiosi.
Già preso da altri?
Forse la soluzione più sensata, a scanso di clamorose future scoperte, sul caso del tesoro scomparso è stata proposta da tre studiosi che si sono occupati anche di fornire un’aggiornata traduzione dei Rotoli del Mar Morto, Michael Wise, Martin Abegg Jr.e Edward Cook. Secondo questi esperti, anche a seguito di una corretta decifrazione del Rotolo di Rame, è impossibile rinvenire al giorno d’oggi i tesori nei luoghi indicati per un semplice motivo: sarebbero stati già portati via da qualcun altro in passato. Come abbiamo visto prima, il Rotolo è una trascrizione e allude ad un altro documento identico contenente anche dettagli aggiuntivi; è ragionevole supporre che qualcuno abbia utilizzato un’altra copia per mettersi sulle tracce di questi tesori già molti secoli fa, riuscendo a comprendere bene a quali luoghi si facesse riferimento nel testo, a differenza di noi quasi due millenni dopo.
L’ipotesi romana
A questo punto, sarebbero addirittura due gli scenari plausibili in seguito a questa teoria. La prima è che dopo la distruzione del Tempio nel 70 d.C. gli stessi Romani avrebbero potuto mettersi a caccia dei tesori sparsi per regno di Israele come bottino di guerra. Secondo Giuseppe Flavio, il più importante storico antico che ci parla del mondo giudaico, i Romani avevano una politica attiva per quanto riguardava il recupero dei tesori nascosti e arrivavano a torturare i prigionieri per farsi rivelare l’ubicazione delle ricchezze. La spoliazione dei luoghi conquistati era una pratica comune a tutti gli eserciti ed è testimoniata da numerose fonti, inclusi i monumenti che celebrano il trionfo sui nemici vinti, come, appunto, l’Arco di Tito. Ricordiamo che l’Anfiteatro Flavio, meglio conosciuto come Colosseo, fu costruito proprio con i proventi derivanti dalla vendita dei tesori depredati a Gerusalemme.
L’ipotesi Bar Kokhba
Il secondo scenario vede il tesoro prelevato dagli stessi Giudei per poi utilizzarlo contro gli invasori. Come sappiamo, infatti, l’attività antiromana proseguì ben oltre la distruzione del Tempio, sfociando in altri conflitti, come quello che scoppiò tra il 132 e il 135 d.C. guidato da Simone Bar Kokhba. Durante questa rivolta, il condottiero fonda uno stato ebraico indipendente nella Giudea, progetta di ricostruire il Tempio e fa coniare monete. Tutto questo aveva bisogno di una ingente quantità di beni preziosi. Da qui l’ipotesi che la rivolta sia stata finanziata con il tesoro ritrovato.
Personalmente propendiamo per l’ipotesi più logica, e cioè che il tesoro sia stato interamente preso dai Romani. Certo, gran parte della suggestione e del fascino che storie come questa suscitano negli animi più portati a fantasticare viene in questo modo a mancare, ma a volte la realtà è più semplice e banale di quanto pensiamo. Se ci basiamo sulle tangibili testimonianze ancora esistenti, non possiamo ignorare che il tesoro sia stato utilizzato per la costruzione di edifici pubblici. La stessa raffigurazione della Menorah sull’Arco di Tito come bottino di guerra ne è una prova. Tuttavia ci piace pensare che, se anche una parte del tesoro potesse essere ancora lì, beh sarebbe una scoperta dal valore scientifico e storico incalcolabile, e magari, chissà, l’ultimo mistero di Qumran è ancora in attesa del suo Indiana Jones.