Il trapianto di rene è un intervento chirurgico ormai consolidato, con una lunga storia alle spalle che inizia con il secolo Novecento e che sarà l’argomento del prossimo articolo. Consiste nel prelievo di un rene, completo dei suoi vasi arteriosi e venosi e dell’uretere, da un donatore cadavere o vivente e nel suo successivo trapianto nell’organismo di un ricevente.
Si tratta di un trapianto eterotopico, in quanto il nuovo organo non viene inserito nella posizione originaria a livello dei fianchi, ma viene alloggiato nelle fosse iliache (regioni che rappresentano i quanti inferiori e laterali dell’addome). Normalmente i reni nativi non vengono asportati, ma lasciati in sede, pur se ormai insufficienti, in quanto altrimenti l’intervento risulterebbe più complesso e di conseguenza gravato da un mortalità e morbilità maggiori.
L’indicazione è rappresentata dall’insufficienza renale cronica nel paziente costretto a trattamento dialitico; le cause più comuni di insufficienza renale sono la nefropatia diabetica, le glomerulonefriti croniche, la pielonefrite cronica e il rene policistico. Il donatore e il rene prelevato vengono studiati per eliminare il rischio di patologie trasmissibili, per valutarne la funzionalità e la compatibilità mediante biopsia. A quel punto viene fatto un controllo incrociato tra la lista di attesa, la gravità della patologia del ricevente e la compatibilità: il rene viene assegnato al primo paziente della lista tra quelli con la maggior compatibilità.
I reni sono gli ultimi organi ad essere prelevati nel corso del prelievo multiorgano da donatore cadavere, in quanto sono i più resistenti all’ischemia, con una durata che più arrivare anche alle 24h (tempi difficilmente raggiungibili, nella norma un rene viene trapiantato prima delle 12h). nel caso di prelievo da donatore vivente, eseguito per via laparoscopica o laparotomica, la procedura sul donatore e quella sul ricevente iniziano quasi in contemporanea; questo garante una ripresa funzionale pressochè immediata, in quanto l’organo riceve un minimo shock ischemico.
Come già accennato l’organo viene collocato in fossa iliaca in sede extraperitoneale. Dopo aver preparato il campo, si procede alle anastomosi vascolari dell’arteria renale sull’arteria iliaca esterna e della vena renale sulla vena iliace esterna; a questo punto si ripristina la circolazione nel rene trapiantato e si attendadi vedere le prime gocce di urina uscire dall’uretere, prima di anastomizzarlo alla vescica.
La ripresa funzionale può essere immediata, ma si può incorrere nella prima settimana ad una ridotta produzione di urina dovuta al danno subito dal rene nella sua fase fredda. Normalmente si tratta di problematiche reversibili.
Oltre alle complicanze immonologiche che possono determinale un rigetto che può essere iperacuto, acuto o cronico, quelle principali riguardano il versante chirurgico, come infezioni dell’area operata o della ferita, o quello della terapia immunosoppressiva che, pur salvaguardando il nuovo organo dal rigetto, aumentano nel paziente il rischio di infezioni e dell’insorgenza di alcuni tumori, motivo per cui i pazienti oncologici possono avere delle controindicazioni all’esecuzione di un trapianto.
Nonostante l’importante crescita tecnica e la consolida conoscenza nell’ambito dei trapianti in generale, si tratta di interventi di chirurgia maggiore, che comportano rischi nel periodo perioperatorio e postoperatorio; comunque a livello statistico, complicanze, morbilità e mortalità, rappresentano percentuali molto basse e, nonostante la necessità di assumente una terapia immunosoppressiva vita, il trapianto renale permette di recuperare per la propria vite le ore che si spendono nella dialisi, garantisce la guarigione da una patologia non altrimenti possibile e comporta un miglioramento della qualità e della durata della vita nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica, rappresentando uno dei tanti miracoli della medicina.