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In ricordo di Giovanni Spadolini, a 20 anni dalla sua morte.

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di Cristiano Ottaviani (*)

20 anni fa, il 4 agosto del 1994, moriva a Roma Giovanni Spadolini. Molti oggi hanno dimenticato il suo nome e quello che, questo politico colto, capace e di alta statura morale, ha fatto e ha rappresentato per il nostro paese. Umanista laico, repubblicano e mazziniano, da giovanissimo ha simpatie per il fascismo di Giovanni Gentile. Alla fine della guerra però, poco più che ventenne, orfano di padre e dello stato su cui molto si era illuso, inizia a mettere in discussione  i suoi miti.

Lo aiuta l’interesse per la storia politica. Trova i testi, tra la grande libreria di famiglia, che lo richiamano alla civiltà liberale e democratica. Si convince che “l’Italia della ragione”, apparentemente minore rispetto ad altre, è quella che più di tutte e senza retorica, può e ha costruito con saggia concretezza, umiltà e pazienza, un paese migliore. Giovanni Giolitti, la destra storica, Benedetto Croce, Luigi Einaudi e l’eretico Pietro Gobetti entrano profondamente in lui, plasmandone il pensiero e il senso del dovere. Stoico e “ quiritario” ebbe sempre una visione laica, ma al tempo stesso spirituale della storia. L’impegno civile, il lavoro, lo studio, la politica erano parti fondamentali del suo modo di vivere e di ciò che riteneva più degno.

Brillante pubblicista politico, saggista importante e originale, giovanissimo ottiene la cattedra di storia contemporanea. Sin da subito si segnala comeintellettuale singolare e poliedrico. Unisce alle doti dello studioso, quelle del manager editoriale ed universitario e del comunicatore. A 30 anni e’ direttore del Resto del Carlino, a 42 del Corriere della Sera, a 46 senatore  del Pri;  poi è ministro, e  nel 1979, dopo la morte di La Malfa, segretario del suo partito. Meno settario e ideologico dello storico leader che lo ha preceduto, Spadolini  non era un economista, né un tecnico,  ma un elegante animale politico, l’unico, ai suoi livelli e della sua generazione, ad avere vero senso dello stato.

Da storico, anche come uomo d’azione, riusciva a captare i rapporti di forza con grande padronanza. Costruttivo, sapeva soppesare e analizzare gli equilibri e le dinamiche del potere per scomporle e ricomporle con raffinata creatività e attenzione. Come Moro, a cui per tanti versi somigliava e di cui era amico, era un grande mediatore e un fine diplomatico. Generale senza esercito, forse anche per questo, era stimato da tutti, soprattutto dai  comunisti.

Laico era rispettoso della Chiesa e della tradizione religiose. Illuminista era sensibile alla storia e, come Mazzini, allo ethos spirituale dei popoli, ma senza il culto cieco verso le leggi dogmatiche che pretendono di regolare la vita degli uomini, anche quando postulano incondizionata fiducia verso le leggi del progresso.

Nel 1981, in uno dei momenti più delicati della storia della Repubblica, assume la guida del governo. E’ il primo laico a Palazzo Chigi dal 1945.Subisce l’onta dell’assassinio di Dalla Chiesa, ma ottiene successi. Sotto la sua guida  lo stato inizia a imporsi sul terrorismo, fa liberare dalle br il generale Dozier, conferma l’installazione degli euromissili in Sicilia e inizia a calare l’inflazione a due cifre. Denuncia con forza il carattere eversivo della  P2 e prende i provvedimenti per sciogliere la loggia.Con lui un  contingente di bersaglieri va in Libano nell’ambito di un’ operazione di pace. Dopo decenni di oblio negli italiani si riaccende qualcosa.La vittoria dei mondiali del 1982, Pertini e la sua immagine contribuiscono in quel periodo, in cui il nostro paese subisce il terrore dei morti ammazzati e gli scandali, a dare l’idea che un’altra Italia è possibile.

Il suo governo non dura tantissimo, ma all’elezioni del 1983 i repubblicani ottengono oltre il 5%, un record ma più raggiunto. Dopo essere stato per alcuni anni ministro della difesa, nel 1987 diventa presidente del senato, lo resta per sette anni.

Nel 1992, dopo la strage di Capaci, sfiora il  Quirinale, ma, forse i vecchi nemici della P2, forse coloro che temono le sue capacità e il suo senso dello stato, glielo impediscono. Tra i pochi politici immuni agli scandali di Mani Pulite, Spadolini sarebbe stato in quegli anni un presidente ideale. A differenza di Scalfaro, capo di stato dell’epoca, non era solo un retore e un uomo per bene, ma uno statista lucido e concreto. Se fosse stato presidente in quel periodo difficile, probabilmente avrebbe risolto in maniera politica Mani Pulite, evitando ciò che è seguito.Dopo l’elezioni del 1994 la Lega che lo odia, perché vede in lui il simbolo più forte dell’unità nazionale, gli impedisce di restare alla guida di Palazzo Madama. Non riesce ad evitare una rocambolesca sconfitta. Si defila, non senza prima ammonire Berlusconi, allora profeta del nuovo che avanza, sul rispetto del passato e delle istituzioni. Pochi mesi dopo scompare per un male improvviso. a

Ciceroniano nello stile, tratti volutamente ambiguo, ma capace di essere anche rigoroso, Spadolini, non solo era portato ad analisi acute e ben ponderate, ma sapeva essere autenticamente solenne. Poteva scrivere o parlare in maniera torrenziale, ma difficilmente stancava. Il flusso, ben modulato delle sue eleganti e a tratti giocose parole, riusciva con grande misura a creare il giusta clima con cui “evocare” la storia. Grasso e grosso, infantile nei tratti imberbi e con una voce, per quanto musicale,strozzata, tutta di testa e priva di fascino virile; era tra i pochissimi che sapeva emanare la grandezza e avere lo spessore del Padre della Patria.

Amico degli azionisti e dei laici, cosi’ propensi, insieme ai social comunisti e ai democristiani, a voler superare lo stato nazionale in nome di una futura unione europea, Spadolini non fu mai pienamente uno di loro. A differenza di quasi tutti gli altri protagonisti della prima repubblica la sua cultura, sia pur cresciuta tra le ferite della guerra, non lo portava all’internazionalismo proletario social comunista, al globalismo antistatale di tanti laici e liberali, né al guelfismo non nazionale dei democristiani. La sua visione europea non era millenarismo, ma il desiderio di voler unire il nostro paese a contesti civilmente più evoluti e di consolidare la comunità occidentale, creando un’alleanza dignitosa con gli Stati Uniti.  Non fu mai gollista, ma convinto sostenitore del sistema parlamentare. Non ebbe mai simpatia, dopo i primi anni giovanili, per le idee giacobine e populiste. In lui  era radicata la diffidenza verso tutto ciò che potesse ricordare il fascismo e le ”nostalgie africane”, quasi a presupporre che “l’Italia della ragione” potesse sopravvivere solo se lontana da logiche autarchiche e internazionalmente non cooperative. In questa allergia c’era la consapevolezza della nostra difficile storia culturale, intrisa di culto del particolare, servilismo, amore per la prepotenza e l’intrigo, coperti però, con  conformismo cortigiano, dall’amore dei miti e delle ideologie.

Da vero repubblicano, come La Malfa e la destra storica, credeva, non al dominio delle oligarchie, ma al primato dell’interesse nazionale su ogni fazione, da democratico mazziniano e amendoliano e come Pacciardi, di cui per tanti versi  era l’antitesi, pensava che le istituzioni non potessero reggersi se non radicate tra gli italiani attraverso un senso sobrio e fermo di dignità patria di cui tutti ,a cominciare dai politici, avrebbero dovuto dare l’esempio.

Spadolini più che un politico, fu il simbolo, in anni già allora confusi e difficili, della vecchia Italia liberale e risorgimentale di cui gli italiani inconsciamente, quando usano la testa e il senso del sobrio, si sentono orfani e di cui, forse ancora, percepiscono, senza ammetterlo perché schiavi  della paura, della retorica e dell’individualismo anarchico, l’autorevolezza statuale dignitosa e moderna.Per questo motivo in un paese come il nostro, dove il patriottismo era relegato ai missini o alle sparate antioccidentali e nazional populiste di Craxi, la sua visione politica non fu mai pienamente capita dal popolo, né fu lui mai del tutto accettato dal sistema, diffidente verso certi suoi tratti inquietantemente estranei a quelli  ufficiali.

Se fosse sopravvissuto al 1994, forse, si sarebbe ritirato dalla politica, divenuta troppo dozzinale per i suoi gusti.Se proprio avesse proseguito, è da escludere la sua adesione al centro destra berlusconiano, troppo lontano dalla sua cultura e dal suo stile. Improbabile pensarlo sostenitore dei tecnici, anzi si sa della sua proverbiale antipatia nei confronti di Monti sin dai tempi della Bocconi. Liberale, moderato, borghese, attento al capitalismo e al merito, anche intellettuale, Spadolini non era un uomo di destra, ma un centrista tendente a sinistra. Non disgiungeva infatti da una visione rigorosa e moderna dell’economia, dal richiamo alla serietà internazionale e istituzionale, dall’amore per l’ordine e l’orgoglio patrio, una visione autenticamente democratico e riformista nonché  attenta alla giustizia sociale.

Forse avrebbe  potuto essere un “padre nobile” del Partito Democratico e ricoprire il ruolo di Prodi o di Ciampi, forse, con gli incarichi e il potere, sarebbe ancora vivo come Napolitano, magari al Colle. Mi viene da pensare che anche con lui , probabilmente  troppo legato a certe idee e alla fine soggetto come tutti ai tempi , non avremmo evitato la deriva della crisi e dell’euro, gli sbarchi incontrollati e il grande caos che stiamo vivendo, ma che nell’affrontare questo marasma saremmo stati però con le finanze in ordine, senza sghignazzi all’estero, con le scuole efficienti e con i marò non prigionieri in nazioni straniere. Avremmo avuto insomma molto più orgoglio e fiducia e alla fine ci saremmo ripresi. Se questa repubblica sapesse tornare a evocarlo ed esserne erede potrebbe ancora risorgere, se non dovesse succedere sarà compito della nuova Italia che forse verrà, riprenderne esempio e onorarne memoria.

(*) Giornalista Pubblicista – Vicecaporedattore Informazione Quotidiana

https://www.tumblr.com/cristianottaviani/96266149083/in-ricordo-di-giovanni-spadolini-a-20-anni-dalla

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