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Intervento del Presidente Napolitano in occasione della visita ufficiale di Sua Santità Francesco

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napolitanoIQ. 14/11/2013 – Santità,

è un privilegio, ed è motivo di sincera emozione, darLe il benvenuto e accoglierLa in questo Palazzo, testimonianza incomparabile di storia e di creatività. Ad esso dedichiamo ogni cura e ancora lo esploriamo, riscoprendo e restaurando – come abbiamo fatto in anni recenti – ambienti e lasciti d’arte che risalgono al ‘600, all’opera di Pontefici come Urbano VIII e Alessandro VII.

Dello straordinario plurisecolare retaggio costituito dal Palazzo del Quirinale i Presidenti della Repubblica sono soltanto, da alcuni decenni, appassionati e rispettosi custodi, facendone uno spazio aperto e una casa comune per tutti gli italiani.

Qui vive, Santità, una storia che Ella porta dentro di sé, per non aver mai perso l’impronta della terra d’origine della Sua famiglia, nella quale è stato chiamato “quasi dalla fine del mondo” per guidare la Chiesa dal Soglio di Pietro. E non vorrei che la solennità formale propria – per tradizione e per spessore istituzionale – di questa cerimonia, appannasse l’espressione dei genuini sentimenti di vicinanza e di affetto che la Sua figura, il Suo modo di rivolgersi a tutti noi, il Suo impegno pastorale, hanno suscitato nell’animo nostro fin dai primi momenti del Suo pontificato.

Si tratta di sentimenti e di pensieri che ci toccano ben al di là del tessuto dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato in Italia. Questi rapporti restano di certo essenziali, pur proiettandosi ora in un orizzonte più vasto ; e da essi intendo dunque ripartire, per il solido e limpido quadro di riferimento che rappresentano.

Illuminata fu la scelta dell’Assemblea Costituente, nel marzo del 1947, di iscriverli nella nostra Carta fondamentale ancorandoli ai Patti Lateranensi. Il fatto che quei Patti fossero stati sottoscritti – a conclusione di un lungo processo di avvicinamento – nel 1929, quando in Italia dominava il regime fascista, non fece velo alla comprensione, nei giorni della Costituente, del valore non contingente della “Conciliazione” così conseguita : e non impedì di lavorare successivamente alla revisione del Concordato, collocandolo pienamente nel nuovo contesto democratico-costituzionale dell’Italia repubblicana.

E’ stato, lungo questa strada, possibile riconoscersi nel rispetto della laicità e sovranità dello Stato, e insieme della libertà e sovranità della Chiesa, e convergere sempre di più nell’operare per “la promozione dell’uomo e del bene del Paese”. Ne è stata rafforzata in modo decisivo quell’unità nazionale che è per l’Italia condizione di ogni sicurezza e progresso, e alla quale Benedetto XVI volle rendere omaggio col suo memorabile messaggio del 17 marzo 2011 per il nostro Centocinquantenario, mettendo in evidenza “i due principi supremi chiamati a presiedere alle relazioni tra Chiesa e comunità politica – quello della distinzione di ambiti e quello della collaborazione”. Principi – osservo – su cui sempre vigilare e che vediamo oggi esprimersi, Santità, con chiarezza e profondità nel Suo pensiero e nelle Sue parole.

Questo significa dunque l’omaggio che qui le rendono oggi le più significative rappresentanze dello Stato italiano, delle istituzioni e dei corpi dello Stato. Ad esse abbiamo voluto affiancare un gruppo di personalità rappresentative della società civile, del mondo della cultura, laica e cattolica, come del mondo della solidarietà verso i poveri, i sofferenti, gli “ultimi”, a Lei così cari.

E abbiamo pensato a queste nuove presenze in occasione della Sua visita per raccogliere l’ispirazione che La muove, l’intento di non lasciar racchiuso il Suo impegno, lo stesso Suo discorso pastorale entro l’orizzonte di un rapporto tra istituzioni. Ella ha trasmesso nel modo più diretto a ciascuno di noi motivi di riflessione e di grande suggestione per il nostro agire individuale e collettivo. E lo ha fatto in questi mesi raccontando sé stesso, dicendoci – con sorprendente generosità e schiettezza – molto della Sua formazione, della Sua evoluzione, della Sua visione.

E a tutti – credenti e non credenti – è giunta attraverso semplici e forti parole, la Sua concezione della Chiesa e della fede.

Ci ha colpito l’assenza di ogni dogmatismo, la presa di distanze da “posizioni non sfiorate da un margine di incertezza”, il richiamo a quel “lasciare spazio al dubbio” proprio delle “grandi guide del popolo di Dio”.

Abbiamo sentito, nelle Sue parole, vibrare lo spirito del Concilio Vaticano II, come “rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea”. E vediamo così profilarsi nuove prospettive di quel “dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari”, che Ella, Santità, ha sollecitato e che costituisce appunto l’orizzonte più vasto – oltre il contesto dei rapporti tra Chiesa e Stato – a cui oggi si deve necessariamente tendere.

Necessariamente, dico, dinanzi alle inaudite sfide dell’oggi, da superare – guardando al futuro – attraverso la più larga mobilitazione delle coscienze e delle energie – innanzitutto morali – di un popolo come il nostro, e di ogni popolo.

Parlo di sfide che investono l’intera comunità internazionale : quella, innanzitutto, di ristabilire e preservare la pace in regioni tormentate da laceranti conflitti, come il Medio Oriente e il Mediterraneo cui in particolare l’Italia e l’Europa unita sono debitrici di risposte e impegni efficaci.

Ma le sfide da affrontare nel mondo d’oggi sono anche di natura “antropologica”. “L’uomo col tempo cambia il modo di percepire se stesso”, “l’uomo è alla ricerca di se stesso” – Ella ha detto, e ci ha messo in guardia da un pensiero che “perda di vista l’umano”.

La così forte considerazione per la persona, perfino quel Suo voler “guardare le singole persone, una alla volta”, quando parla a grandi masse raccolte per ascoltarLa, è un carattere distintivo della Sua missione pastorale. Il saper comunicare con i semplici, il saper trasmettere a ciascuno e a tutti i valori del messaggio cristiano – innanzitutto quello dell’amore per gli altri – sprigiona potenzialità nuove per combattere il dilagare dell’egoismo, dell’insensibilità sociale, del più spregiudicato culto del proprio tornaconto personale.

Per reagire ovunque a simili fenomeni di regressione e far valere parametri ideali e morali irrinunciabili, resta fondamentale, vorrei sottolinearlo, il ruolo dell’Europa, in quanto si fonda – storicamente e nelle sue odierne istituzioni comuni – su quei valori di rispetto della dignità umana, di tolleranza, giustizia, solidarietà, che portano il segno del retaggio cristiano.

E’, in effetti, sollecitando un nuovo spirito di solidale e responsabile comunanza che bisogna dedicarsi – guidati dalla speranza – al superamento dei mali più gravi che affliggono oggi il mondo. A cominciare dai mali provocati o esasperati dalla crisi di questi anni sia nelle “periferie” di diversi continenti, in luoghi rimasti ancora ai margini di un moderno sviluppo economico e benessere sociale, sia nei paesi della travagliata Europa : mali estremi, quali – Ella ha detto – da un lato la disperante condizione dei giovani privi di lavoro, che vengono come “schiacciati sul presente”, e dall’altro la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi.

Ne scaturiscono, come non mai, responsabilità comuni. Responsabilità che la Chiesa si assume “esprimendo e diffondendo i suoi valori”, liberandosi da ogni residuo “temporalismo”, e dispiegando l’iniziativa delle istituzioni che ad essa si richiamano sul terreno solidaristico ed educativo che è loro proprio. Responsabilità che a loro volta nel campo, ben distinto, in cui sono chiamate ad operare, si assumono le istituzioni politiche, laiche e indipendenti per definizione.

La politica ha però – esposta com’è non solo a fondate critiche ma ad attacchi distruttivi – drammatica necessità (lo vediamo bene in Italia) di recuperare partecipazione, consenso e rispetto, liberandosi dalla piaga della corruzione e dai più meschini particolarismi. Può riuscirvi solo rinnovando – insieme con la sua articolazione pluralistica – le proprie basi ideali, sociali e culturali. E credo che in questo senso la politica possa, Santità, trarre uno stimolo nuovo dal Suo messaggio e dalle Sue parole. Un messaggio che, come Ella stesso ha detto, “si rivolge non soltanto ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà”, e che fa dunque pensare a un dialogo senza precedenti per ampiezza e profondità tra credenti e non credenti, a una sorta di simbolico, sconfinato “Cortile dei Gentili”.

Vede, Santità, noi che in Italia esercitiamo funzioni di rappresentanza e di guida nelle istituzioni politiche, siamo immersi in una faticosa quotidianità, dominata dalla tumultuosa pressione e dalla gravità dei problemi del paese e stravolta da esasperazioni di parte in un clima spesso avvelenato e destabilizzante. Quanto siamo lontani nel nostro paese da quella “cultura dell’incontro” che Ella ama evocare, da quella Sua invocazione “Dialogo, dialogo, dialogo”!

Ebbene, proprio per noi che ora qui Le rendiamo omaggio, come per tutte le espressioni della classe dirigente italiana, è tempo di levare più in alto lo sguardo, di riguadagnare lungimiranza e di portarci al livello di sfide decisive che dall’oggi già si proiettano sul domani. Facendo nascere anche da questa straordinaria e così elevata occasione d’incontro, un impegno comparabile a quello di cui Ella, Santità Francesco, ci sta dando l’esempio.

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