Una disciplina alla prova
Quarta indagine nazionale sull’insegnamento della religione cattolica in Italia
a trent’anni dalla revisione del Concordato
A cura di Sergio Cicatelli e Guglielmo Malizia
Elledici, Torino 2016, pp. 344
Una sintesi
Lo stato di salute dell’Irc (Insegnamento della Religione Cattolica) sembra migliore del previsto, stando ai risultati dell’ultima ricerca di settore, che ha tastato il polso a un campione rappresentativo di circa 3.000 insegnanti di religione e di oltre 20.000 studenti di ogni ordine e grado di scuola.
Lo studio, promosso dall’Istituto di Sociologia dell’Università Salesiana e da alcuni uffici della Conferenza Episcopale Italiana (Servizio Nazionale per l’Irc; Ufficio Nazionale per l’Educazione, la Scuola e l’Università; Centro Studi per la Scuola Cattolica), va in questi giorni in libreria, edito da Elledici e con il titolo Una disciplina alla prova. Quarta indagine nazionale sull’insegnamento della religione nella scuola italiana a trent’anni dalla revisione del Concordato, a cura di Sergio Cicatelli e Guglielmo Malizia.
La ricerca è la quarta di una serie avviata inizialmente dagli Istituti di Sociologia e di Catechetica dell’Università Salesiana e proseguita ultimamente anche con il sostegno dei citati uffici della Cei. I titoli delle precedenti indagini mostrano in un certo senso il percorso compiuto in tutti questi anni dall’Irc: Una disciplina in cammino (1991), Una disciplina al bivio (1996), Una disciplina in evoluzione (2005).
All’epoca della firma del nuovo Concordato pochi avrebbero scommesso sulla tenuta di questo insegnamento, che oggi invece mostra di essere ancora vitale, con un tasso di adesione di poco inferiore al 90% nella media nazionale. In occasione dell’uscita del volume la Cei ha infatti reso note le rilevazioni condotte ogni anno, che mostrano come, nella media nazionale di tutti gli ordini scolastici, da una percentuale del 93,5% registrata nel 1993-94 si sia scesi nel 2015-16 all’…. di alunni che si avvalgono dell’Irc, con un recupero di qualche frazione decimale rispetto all’anno precedente, dovuto alla raccolta dei dati condotta per la prima volta on line. Nel corso degli anni si registra dunque un calo contenuto, con situazioni molto differenziate sul territorio nazionale: a fronte di un Sud che in venti anni è rimasto stabilmente intorno al 98%, c’è un Nord sceso ultimamente fino all’82%; inoltre, mentre le scuole dell’infanzia e del primo ciclo si mantengono ancora intorno al 90% di adesioni, le scuole secondarie di II grado scendono sotto l’82%; un ulteriore fattore di differenziazione è poi costituito dall’urbanizzazione, dato che nelle città capoluogo l’Irc è scelto in misura nettamente inferiore rispetto alle scuole di provincia. Insomma, un panorama variegato, che a seconda del punto di osservazione può suggerire valutazioni negative o rassicuranti.
La ricerca si divide sostanzialmente in due parti: una prima rivolta a descrivere le condizioni dell’Irc attraverso le risposte fornite dagli insegnanti; una seconda dedicata a verificare le conoscenze religiose acquisite dagli studenti in cinque diversi momenti della loro carriera scolastica (quarta primaria, prima secondaria di I grado, prima, terza e quinta secondaria di II grado).
L’indagine sugli studenti, che costituisce forse l’aspetto più innovativo di tutto il lavoro, è stata condotta in sette diocesi: Novara, Verona, Forlì, Siena, Roma (con due distinti campioni di scuola statale e cattolica), Cagliari e Acireale. Le risposte degli studenti sono sicuramente rappresentative delle realtà diocesane ma vanno lette distintamente, senza fare medie nazionali, pur trattandosi nel loro insieme di un campione cospicuo che può suggerire qualche generalizzazione almeno sulle macrotendenze. Emergono infatti significative e non univoche oscillazioni tra le diocesi.
Per quanto riguarda la prima parte della ricerca, mediante un questionario on line sono stati raggiunti nel corso dell’anno scolastico 2015-16 un totale di 2.982 insegnanti di religione cattolica, 2.279 di scuola statale e 703 di scuola cattolica. Nella scuola statale il 96,0% sono laici; nella scuola cattolica lo sono il 65,7%. Meno della metà sono di ruolo nella scuola statale, ma più della metà valuta la propria esperienza professionale pienamente soddisfacente e l’86,9% non intende prendere in considerazione l’ipotesi di abbandonare questo insegnamento. Valutando su una scala da 1 a 10 i propri rapporti con le diverse componenti scolastiche, sono ottimali quelli con gli alunni (in media sopra il 9) ma sono buoni anche i rapporti con colleghi, genitori e dirigenti scolastici (oltre l’8).
Tra i punti di forza dell’Irc gli insegnanti di scuola statale individuano soprattutto la capacità di rispondere alle domande di senso degli studenti (67,4%), i rapporti che si creano tra insegnante e studenti (62,0%), la possibilità di affrontare problematiche morali ed esistenziali (61,5%), la promozione del dialogo interreligioso e del confronto interculturale (57,3%).
Non mancano ovviamente i punti di debolezza, individuati dagli insegnanti soprattutto nella poca incidenza della valutazione (59,1%), nello scarso numero di ore (49,0%) e nella persistente confusione con la catechesi (46,3%). Ma è interessante notare che gli studenti smentiscono clamorosamente quest’ultima valutazione dei loro docenti, dato che in tutti i campioni solo percentuali tra il 4 e il 6% nel primo ciclo ritengono che a scuola si faccia catechismo come in parrocchia, mentre tra i diciottenni la stessa valutazione è condivisa addirittura da meno dell’1% degli intervistati.
Tra i motivi della scelta di avvalersi dell’Irc tende a prevalere l’appartenenza religiosa. Secondo quasi tre quarti degli insegnanti la tenuta dell’Irc è dovuta soprattutto a questa motivazione e anche il calo delle adesioni è spiegato in circa due terzi dei casi con la presenza di stranieri con diversa appartenenza religiosa. Anche gli studenti confermano questa valutazione, indicando sempre ai primi posti tra i motivi che inducono ad avvalersi dell’Irc il fatto di essere credenti. Tuttavia il 91,7% degli insegnanti di scuola statale e il 56,8% di quelli di scuola cattolica dichiarano di avere in classe anche alunni non cattolici, che ugualmente seguono le lezioni di religione. Del tutto irrilevanti, agli ultimi posti nelle dichiarazioni degli studenti, sono le motivazioni conformiste o di comodo (seguire le scelte della maggioranza o fare contenti i genitori). Per la stragrande maggioranza degli insegnanti (75,1% nella statale e 68,7% nella cattolica) la trasformazione della scuola e della società in senso multiculturale e multireligioso favorisce il dialogo e l’apertura alla diversità, mentre solo il 3% ritiene che possa creare problemi all’interno della scuola.
L’Irc non è l’ora dei cattolici. Gli studenti dichiarano di essere nella grande maggioranza dei casi cattolici, con percentuali che superano il 90% nella primaria ma scendono a circa il 75% nelle scuole superiori, dove percentuali oscillanti tra il 15 e il 30% sentono di non appartenere a nessuna religione (anche nelle scuole cattoliche di Roma!). Piuttosto stabile negli anni la quota di studenti di altra religione (tra il 2 e il 6%) che si avvalgono regolarmente dell’Irc.
Nell’insieme gli insegnanti appaiono ben integrati nel mondo scolastico: sono in possesso di regolari titoli di studio; circa un terzo nella scuola statale e quasi la metà nella scuola cattolica ricoprono incarichi all’interno della scuola (due terzi di questi sono responsabili di progetto o coordinatori di varie attività; il 15,9% sono collaboratori del dirigente nella scuola statale e il 14,1% sono coordinatori di classe); sono in generale soddisfatti della formazione iniziale ricevuta, ma avvertono la necessità di approfondirla soprattutto negli ambiti educativo-pedagogico-didattico, comunicativo-relazionale e interculturale-interreligioso, segnalando quindi una peculiare attenzione alle emergenze della scuola più che ai contenuti disciplinari.
La prassi didattica è piuttosto varia e orientata verso forme attive e partecipate: gli insegnanti di scuola statale dichiarano di far uso soprattutto di una lezione dialogata (83,9%), seguita dal ricorso ad audiovisivi (61,6%), lavori di gruppo (55,4%), lezione frontale (55,0%), collegamenti interdisciplinari (51,7%), sussidi digitali (48,7%). Gli studenti confermano sostanzialmente queste dichiarazioni, evidenziando soprattutto come col crescere dell’età scolare aumenti la partecipazione e la discussione anche di esperienze personali, al punto che la confusione da essi rilevata in circa un terzo dei casi nei primi livelli scolastici si dimezza nettamente negli ultimi anni di scuola superiore, dove l’attenzione sembra crescere in proporzione alla trattazione di tematiche etiche o esistenziali.
L’Irc risulta essere una materia che piace. Il gradimento verso le lezioni di religione è stato valutato dagli studenti su una scala da 1 a 10, registrando risultati esaltanti soprattutto nella scuola primaria, dove metà degli alunni assegna un bel 10, producendo una media superiore al 9; negli anni successivi si scende un po’, ma si rimane quasi dappertutto al di sopra dell’8 o poco meno.
Una delle caratteristiche della ricerca è il confronto tra scuola statale e scuola cattolica, un confronto che mostra in genere una situazione migliore nella scuola statale, forse perché la scuola cattolica tende a vivere di rendita in questo campo. Si rileva in genere la differenza di alcuni punti percentuali in gran parte degli indicatori, ma va detto che i risultati della scuola cattolica sono migliori rispetto all’analoga indagine di dodici anni prima e dunque mostrano come anche la scuola cattolica si vada uniformando verso i migliori standard.
La seconda parte della ricerca intende misurare il sapere religioso degli studenti, non tanto in astratto quanto in relazione a ciò che richiedono in ogni fase del percorso di studi le vigenti Indicazioni didattiche (2010 per il primo ciclo, 2012 per il secondo ciclo). Nell’insieme sono stati verificati 20.382 studenti, ai quali è stato somministrato un questionario anonimo con 50 domande di verifica a risposta chiusa più alcune domande personali per incrociare le principali variabili.
Nell’insieme, in linea con i risultati di tante indagini nazionali e internazionali che vedono diminuire le competenze con il crescere dell’età scolare, gli studenti più preparati risultano essere quelli di quarta primaria, ma non c’è una coerente tendenza né positiva né negativa. Le prove sono state somministrate ovviamente solo agli studenti che si avvalgono dell’Irc e quindi non è possibile fare confronti con le conoscenze di chi non frequenta le lezioni di religione. Può essere però interessante notare come le risposte corrette si correlino in genere con l’appartenenza religiosa degli studenti (cattolica o di altre fedi), mentre gli studenti che non si riconoscono in alcuna religione hanno di solito risultati peggiori: si conferma dunque che per i risultati scolastici conta soprattutto la motivazione personale, data in questo caso dal valore che per ognuno ha la dimensione religiosa in genere, a prescindere dalla specifica appartenenza confessionale.
Il sapere biblico è quello che ha dato i migliori risultati, pur alternando buone conoscenze a lacune talora gravi. L’informazione sui racconti fondamentali della storia biblica appare buona: percentuali oscillanti tra l’80 e il 90 per cento nei diversi campioni degli alunni di quarta primaria sanno che è stato Mosè a guidare gli ebrei nell’uscita dall’Egitto o danno il giusto significato ai racconti della creazione, sanno chi ha battezzato Gesù e che il principale contenuto della sua predicazione era il Regno di Dio, conoscono il contenuto della parabola del padre misericordioso e sanno riconoscere i nomi degli evangelisti. Ancora in prima media circa l’80% sa cosa vuol dire essere profeta e pochi di meno conoscono i motivi della condanna di Gesù. Meno della metà, però, in prima media e prima superiore sanno quali sono i vangeli sinottici e, in prima superiore, conoscono l’esistenza di fonti extrabibliche su Gesù. In terza superiore tre quarti conoscono il contenuto del primo comandamento, ma meno della metà sanno cos’è la Torah. Nell’anno della maturità, dove peraltro la conoscenza della Bibbia è poco richiesta dalle Indicazioni, circa il 70% ricorda il contenuto della parabola del buon Samaritano, ma solo poco più di un quarto sa che l’espressione “Vanità delle vanità, tutto è vanità” si trova nel libro di Qohelet.
Buone prove si hanno anche con il sapere etico-antropologico, con le solite prevedibili oscillazioni. In quarta primaria solo poco più della metà hanno le idee chiare su chi sia il nostro “prossimo”. In prima media più di due terzi sanno che per un cristiano la vendetta è sempre sbagliata ma meno della metà sanno spiegare il significato del perdono cristiano. In prima superiore meno di un terzo sa spiegare il valore della libertà di coscienza, ma forse è un po’ presto per parlarne dato che già due anni dopo la consapevolezza su questo principio comincia a crescere. Nel quinto anno più dell’80% sanno che per il cristianesimo vi è pari dignità tra uomo e donna e più di due terzi sanno riconoscere i comportamenti più gravi condannati dalla morale cattolica. In generale, in questo campo si rileva un progressivo miglioramento dei risultati con il crescere dell’età degli studenti.
Più deludenti sono i risultati in campo teologico-dottrinale. L’unica domanda presente in tutti i questionari chiedeva quale fosse il nucleo centrale della fede cristiana: potendo scegliere tra la resurrezione di Gesù, il messaggio della fraternità, i miracoli e la Chiesa, solo una maggioranza relativa che poche volte supera la metà si è orientata sulla resurrezione, risultando spesso attratta soprattutto dal valore della fraternità. Il risultato in sé può essere indicativo delle convinzioni diffuse più che delle conoscenze, ma c’è da riflettere sulla solidità di alcuni principi teologici. Sempre sullo stesso tema, agli studenti del terzo anno superiore è stato chiesto su cosa si fondi la speranza cristiana della vita dopo la morte e la maggioranza relativa si è orientata sull’immortalità dell’anima, riservando alla resurrezione di Gesù percentuali oscillanti tra il 25 e il 40%.
In prima superiore il rapporto tra scienza e fede è correttamente inteso in termini di comune impegno per la ricerca della verità solo da un terzo degli studenti, mentre sono un po’ di più quelli che invece ritengono che non abbiano nulla in comune (ma anche queste risposte possono essere indicative di una posizione o di una tendenza culturale più che di una conoscenza). A questo proposito, nel quinto anno superiore meno della metà sanno che la Chiesa non è contraria alla teoria dell’evoluzione, mentre poco meno di un terzo ritengono che la rifiuti perché in contrasto con la creazione divina. Sempre nell’ultimo anno migliorano un po’ le cose con il rapporto tra fede e ragione, descritto in termini di complementarità da poco più della metà degli studenti, ma quasi un terzo ritiene che la fede possa fare a meno della ragione.
In particolare risulta carente la competenza linguistica degli studenti. Il fatto che la Chiesa si dichiari cattolica è interpretato spesso come sinonimo di cristiana, mentre solo quote oscillanti tra il 20 e il 45% nei diversi anni di corso sanno che cattolica vuol dire universale. Non diversamente vanno le cose sul significato di carità, che vuol dire amore per meno della metà gli alunni della primaria e spesso è confusa con pietà o elemosina. Vanno meglio le cose con il significato di politeismo e agnosticismo, in genere correttamente interpretati da più della metà degli studenti di scuola superiore, ma le competenze crollano – nel quinto anno della superiore! – su termini tecnici come secolarizzazione (interpretata più come fede nel progresso che come modo di vivere a prescindere dalla religione) o ecumenismo (scambiato per il dialogo tra tutte le religioni o la ricerca della pace).
Piuttosto deludenti le competenze storiche, un risultato che dovrebbe preoccupare anche e soprattutto i docenti di storia, dato che più del 60% degli studenti di terza superiore ritiene erroneamente che sia stato l’editto di Costantino a rendere il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero, mentre l’editto di Teodosio è riconosciuto correttamente da meno di un quarto delle risposte. Gli stessi studenti sanno però, nella misura di circa tre quarti, in cosa consista lo Scisma d’Oriente.
È invece imbarazzante che in prima superiore solo due studenti su cinque sappiano indicare correttamente i risultati del Concilio di Trento mentre uno su cinque ritiene che sia servito ad accogliere le idee di Lutero. E ancora, forse traditi da un confuso ricordo del suo processo, solo poco più del 40% degli studenti dell’ultimo anno sa che Galilei era cattolico, mentre un quarto circa lo reputa ateo; e solo la metà, sempre nell’ultimo anno quando è oggetto di studio anche nelle lezioni di storia, sa dire che la Rerum Novarum è stata la prima enciclica sociale della Chiesa.
A proposito dell’ultimo anno superiore, dove le Indicazioni richiedono una specifica trattazione del Concilio Vaticano II, solo poco più della metà sanno che è stato convocato da Giovanni XXIII e meno di un terzo sa riconoscere la Lumen Gentium come uno dei suoi documenti.
Sul versante della multireligiosità le conoscenze appaiono piuttosto disuguali. Mentre percentuali crescenti negli anni riescono a individuare il corretto ordine cronologico delle cinque principali religioni, fino ad arrivare a quasi il 60% in terza superiore, il principio fondamentale del buddismo è indicato erroneamente nella reincarnazione da una maggioranza relativa di oltre un terzo di studenti di prima media. Nello stesso anno, la sinagoga è indicata correttamente come luogo di culto ebraico da due terzi degli studenti, ma il fattore distintivo del cristianesimo rispetto alle altre religioni è indicato erroneamente nel monoteismo (anziché nella Trinità) da una maggioranza relativa di oltre un terzo.
Interessante può essere inoltre l’equivoco che induce gli studenti di prima media a dire che la Chiesa ha più punti in comune con gli ebrei (oltre metà delle risposte) che con i protestanti (meno di un quarto): ciò può rivelare un progredito dialogo ebraico-cristiano (nell’ultimo anno più del 60% ritiene che per i cristiani gli ebrei siano fratelli con cui si condivide un grande patrimonio) ma delude profondamente sul piano dei rapporti ecumenici (sempre nell’ultimo anno, una maggioranza inferiore alla metà degli studenti sa che per Lutero la salvezza viene dalla sola fede, mentre una cospicua minoranza di quasi un terzo ritiene che per Lutero ci si salvi mediante le opere buone).
In compenso, percentuali crescenti negli anni (fino a superare il 70% in terza superiore) sanno che Gesù è riconosciuto come profeta dai musulmani e quasi tre quarti degli studenti di maturità conoscono i cinque pilastri dell’Islam. Sempre nell’ultimo anno quasi tre quarti degli studenti sanno che il dialogo interreligioso serve a promuovere rispetto e collaborazione tra tutti i credenti, mentre solo poco più del 10% ritiene che ciò voglia dire che tutte le religioni sono uguali.
L’insieme dei risultati deve indurre ad un cauto ottimismo. Il sapere religioso degli studenti che frequentano l’Irc è ancora modesto, ma i risultati possono essere letti come eccezionali se si pensa che la disciplina non ha una valutazione ordinaria. Del resto, tra le fonti del sapere religioso non c’è solo la scuola ma anche altre agenzie educative: gli insegnanti ritengono che sulle conoscenze degli alunni incida soprattutto l’Irc, immediatamente seguito dalla famiglia; anche gli studenti tendono a privilegiale l’Irc come origine del loro sapere religioso, ma ad esso aggiungono subito dopo la frequentazione della parrocchia, lasciando più distante la famiglia. Scarsamente significativi per gli studenti e soprattutto per gli insegnanti i media vecchi e nuovi o il gruppo dei pari.