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La corte costituzionale si pronuncia: bocciati i controlli sulle Regioni

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IQ. 22/07/2013 – di Sergio Altizio

La sentenza 219/2013 della Corte Costituzionale si è espressa sulla legittimità della cosiddetta “relazione di fine legislatura”, che stabiliva il fallimento politico e l’interdizione dei funzionari e dei revisori responsabili di scelte errate che conducevano al fallimento dell’Ente Regione.

I controlli bocciati dalla sentenza erano stati introdotti con decreto legislativo su “premi e sanzioni” del federalismo fiscale (Dlgs 149/2011), e successivamente rafforzati dal decreto Monti sui “costi della politica” (Dl 174/2012) dopo lo scandalo della vicenda di Fiorito nella Regione Lazio, e le vicende simili esplose in altri consigli regionali. I decreti introducevano la possibilità di riconoscere il “fallimento politico”: una misura che scioglie il consiglio regionale e ne rimuove il presidente, rendendolo interdetto dai pubblici uffici per 10 anni nei casi di “grave dissesto finanziario”, purchè la Corte dei Conti avesse accertato il “dolo o colpa grave” del Governatore.

La Corte Costituzionale ha invece decretato che l’attribuzione alla Corte dei Conti del potere di creare nei fatti le condizioni per l’espulsione (anche temporanea) dalla politica del Governatore, anche se macchiatosi di gravi responsabilità, offre ai magistrati contabili un compito eccessivo per la loro funzione; inoltre, non è possibile prevedere tempi e procedure certe nell’iter che porta al decreto presidenziale di interdizione, e ciò delinea nei fatti un «procedimento sanzionatorio, di per sé contraddittorio rispetto all’urgenza del decidere, e comunque dai tratti così indefiniti, da rendere incerte le prospettive di esercizio della carica, in danno dell’autonomia regionale».

Eliminata anche la relazione di fine legislatura (articolo 1), con cui il federalismo intendeva rendere trasparenti i risultati delle. Nei primi tre mesi dalle elezioni, gli organi politici della Regione erano infatti chiamati a certificare in un documento ufficiale la situazione economico-finanziaria dell’ente, in particolare per la sanità, lo stato certificato del bilancio regionale, eventuali rilievi ricevuti dalla Corte dei conti e così via. L’idea, abbastanza giusta e lungimirante in sé, perché pensata con l’intenzione di fare un resoconto della politica, e impedire nuove elezioni “errate”, è stata strappata via all’uso comune come effetto collaterale, dal momento che tutte le regole in questione discendono dalla legge delega sul federalismo fiscale (la legge 42/2009), ma tra previsioni originarie e rafforzamenti successivi sono uscite dai binari tracciati dall’incarico originario.

Di tutto l’apparato di norme e regole che dovevano rendere più spinose le poltrone delle Regioni, si salva soltanto la decadenza immediata dei direttori generali, direttori amministrativi e sanitari in caso di “grave dissesto finanziario”. Decadenza, questa, che non può comunque portare alla interdizione dagli uffici amministrativi. Come a dire, uscire dalla finestra per rientrare dalla porta. Con la sentenza di ieri decadono anche le sanzioni per le Regioni a statuto autonomo che sforano il Patto di stabilità, e le ispezioni automatiche dell’Economia centrale per i conti pubblici in difficoltà.

In altre parole, quel poco che si era fatto per mantenere appesa a un filo, sia pure un filo sottile, la fiducia dei cittadini nelle amministrazioni pubbliche dopo la vicenda Fiorito, viene oggi cancellato e dimenticato, con la facilità con cui si distrugge un castello di sabbia. In piena recessione economica, un provvedimento del genere si assomma ai “soliti” provvedimenti che vorremmo non vedere più, quei provvedimenti che invocano la giustizia e l’equità della Legge per salvare baroni, mangioni e corrotti invece che cittadini onesti e lavoratori. In una società che subisce i colpi della crisi da ogni lato, alle Regioni oggi gli arraffoni tengono banchetto, e tirano un sospiro di sollievo. Tagliare i costi della politica non passa solo per la riduzione degli stipendi dei parlamentari (che sono un’inezia in confronto al disavanzo pubblico): passa invece attraverso la riduzione degli sprechi, delle folli spese, dei conti amministrati come se non ci fosse un domani; e in questo le Regioni (come le altre amministrazioni pubbliche) sono al centro del mirino, e noi tutti lo sappiamo, senza bisogno di essere economisti del Ministero delle Finanze.

Un’altra volta ancora, i grassi fannulloni hanno detto ai cittadini in perdita “fate un altro sacrificio, così che noi possiamo continuare a spendere”. Un altro buio giorno per la nostra Italia.

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