Mentre la missione dell’Agenzia Spaziale Europea Euclid è in viaggio verso il suo punto privilegiato di osservazione, situato a 1,5 milioni di km dalla Terra, in posizione opposta al Sole, vale la pena di ripercorrere la sua storia e di proiettarci avanti per descrivere il suo possibile contributo alla storia del nostro Universo.
La missione, che è partita il 1 luglio, deriva da due proposte volte allo studio della cosmologia che furono presentate all’ESA nel 2007. La prima, intitolata Dark Universe Explorer, voleva investigare la distribuzione della materia oscura sfruttando il fenomeno del weak lensing, la sottile e quasi impercettibile distorsione della forma delle galassie dovuta alla presenza, ingombrate ma sfuggente, di materia oscura che fa deviare il percorso della luce. La seconda, chiamata Spectroscopic All-Sky Cosmic Explorer, si voleva concentrare sulle Barion Acustic Oscillations che ci riportano a subito dopo il Big Bang, quando l’Universo era una zuppa di gas e fotoni non direttamente osservabile.
Le oscillazioni in questione, però, hanno lasciato la loro impronta nella distribuzione della separazione delle prime galassie che riusciamo a vedere circa 500 milioni di anni dopo il Big Bang. La prima voleva lavorare in ottico per mappare la distorsione della forma delle galassie, la seconda, invece, aveva bisogno dell’infrarosso per misurare la distanza tra le galassie più antiche la cui emissione è scivolata nell’infrarosso a causa dell’espansione dell’Universo.
Visto l’interesse delle due missioni, nel 2011 l’ESA decise di fonderle in una sola che prese il nome di Euclid in omaggio al fondatore della geometria. Lo specchio di 1,2 m di diametro di Euclid deve quindi essere condiviso da uno strumento ottico e da uno infrarosso, una caratteristica che comporta notevoli difficoltà tecniche risolte (dopo qualche tentativo fallito) con una struttura in carburo di silicio, scelto perché è molto stabile in funzione della temperatura.
La missione si prefigge di coprire 1/3 del cielo, in zone “pulite” scelte perché non disturbate dalla polvere del nostra sistema solare e della nostra galassie. Dovendo studiare almeno un miliardo e mezzo di galassie, i risultati verranno dopo un monumentale lavoro di analisi dati per il quale i 2000 colleghi che sono coinvolti in Euclid si stanno preparando da anni. Quello che nessuno si aspettava è stato il lancio con un Falcon9.
È la prima volta che l’ESA si affida ad un privato per il lancio di una sua missione che, secondo i piani, sarebbe dovuto partire da Kourou, lo spazioporto Europeo in Guyana francese, con un razzo Soyuz. Purtroppo l’invasione dell’Ucraina ha reso impossibile utilizzare i lanciatori russi, che coprivano con successo i lanci di classe media, cosa che ha lasciato l’ESA, e tutte l’Europa spaziale, senza una valida alternativa. In effetti, nel contratto di lancio di Euclid si diceva che, in caso di problemi con il lanciatore Soyuz, si sarebbe optato per un lancio con Ariane VI, il nuovo nato della famiglia Ariane. Tale possibilità, però è subita apparsa remota dal momento che Ariane VI, che avrebbe dovuto fare il volo di prova a fine 2022, è stato ritardato a inizio 2024 e, in ogni caso, Euclid avrebbe dovuto mettersi in coda, aspettando il terzo lancio disponibile. La cosa avrebbe implicato un significativo ritardo per la missione che era pronta a partire ed è stata la comunità scientifica ad insistere per lanciare il prima possibile con quanto di meglio si trovasse sul mercato.
Così è comparso il Falcon9 che è stato giudicato adatto a portare in orbita Euclid dal momento che la capacità di carico e le frequenze delle vibrazioni che sono prodotte durate il lancio non sono troppo diverse da quelle del Soyuz e quindi non avrebbero danneggiato gli strumenti. La trattativa è stata conclusa nel luglio 2022 e, grazie alla straordinaria efficienza di SpaceX, è stato possibile lanciare il 1 luglio 2023 utilizzando la piattaforma 40, nella parte militare di Cape Canaveral (questo rende il panorama un po’ diverso da quello che vediamo per i lanci che avvengono dalla piattaforma 39A nella parte civile della base).
Il lancio, il 44esimo di quest’anno per SpaceX, è stato perfetto ed il primo stadio, che veniva usato per la seconda volta (quindi seminuovo per SpaceX che è già arrivata a 16 riutilizzi), è poi atterrato sulla piattaforma nell’oceano Atlantico. La partenza è avvenuto esattamente nel momento previsto, e non avrebbe potuto essere diversamente dal momento che la finestra di lancio era di appena 15 secondi. Con la meccanica celeste non si scherza e, visto che il lancio non utilizzava una base sull’equatore, come sarebbe stato il caso se il lancio fosse avvenuto da Kourou, era necessario dare la spinta giusta al satellite nel momento giusto proprio sull’equatore per inserirlo nell’orbita che la porterà in L2 a 1,5 milioni di km dalla Terra verso l’esterno del sistema solare dove la combinazione delle forze gravitazioni di Terra e Sole lo farà muovere se fosse “legato” alla Terra sempre in posizione opposta al Sole.
Era la prima volta che SpaceX lanciava una missione in L2 e si direbbe che abbiamo fatto un ottimo lavoro. Tutto è andato secondo i piani e 41 minuti dopo il lancio il secondo stadio ha finito il suo lavoro e si è staccato offrendoci una visione del satellite che si avviava a compiere il suo lungo viaggio che richiederà circa un mese. Nel frattempo gli strumenti verranno lasciati raffreddare, poi saranno accesi e controllati e, una volta a destinazione, in un non posto di grande stabilità gravitazionale, inizierà la fase di calibrazione che richiederà circa 3 mesi. L’ESA pensa di poter mostrare le prima immagini in autunno.
Nell’attesa, godiamoci uno bellissima immagine che NASA, ESA ed Agenzia Spaziale Canadese hanno pubblicato per festeggiare il primo anno di attività del James Webb Space Telescope che ha rese pubbliche le sue prime immagini in una conferenza stampa il 12 luglio 2022. Si tratta di una nube dove si formano nuove stelle a circa 400 anni luce da noi, nella costellazione dell’Ofiuco, il cacciatore di serpenti. La visione infrarossa di JWST penetra la polvere e ci fa vedere cosa succede nelle regioni di formazione stellare.
Patrizia Caraveo