L’Italia accelera ancora sul gas e conferma la sua volontà di spingere il più possibile l’Europa verso una soluzione comune per ridurre le impennate dei prezzi. Nel giro di 48 ore sarà pronta la proposta del Governo (l’attuale, ma in stretto contatto e sintonia con la guida del prossimo) da presentare in vista del vertice dei capi di Stato di giovedì e venerdì a Praga. Raccogliendo i contributi di tutti i Paesi membri, l’obiettivo è di arrivare “a una decina” di linee guida comuni che poi la Commissione utilizzerà nella nuova legislazione sul prezzo da attuare il più velocemente possibile per disinnescare la spirale infernale degli aumenti delle bollette che stanno stremando famiglie e imprese ormai ovunque, fiaccando l’economia in tutta Europa; la vera emergenza, infatti, ora sono i prezzi dell’energia e non le quantità a disposizione. Dopo il vertice europeo di venerdì scorso, inevitabilmente dominato dalla decisione della Germania di agire con una sostanziale autonomia, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha assicurato il pieno impegno per i prossimi appuntamenti.
Mettere d’accordo tutti i 27 non è un’impresa semplice; non per questo bisogna però abbandonare il progetto, ci vuole tempo e bisogna proseguire passo passo, facendo tesoro dei progressi raggiunti, ha spiegato Cingolani, illustrando l’ipotesi su cui l’Italia sta lavorando. Innanzitutto, sganciarsi dal mercato di Amsterdam, dall’indice Ttf di piccole dimensioni e per questo estremamente volatile e speculativo, poco rappresentativo e privo di connessione con la realtà e con le regole basilari dei meccanismi di domanda e offerta. Il prezzo del gas dovrebbe essere indicizzato “agganciandolo a Borse un po’ più stabili”, come sono quelle del Brent per il petrolio ad esempio o dell’Henry hub per il gas naturale. Bisogna avere il coraggio di cambiare, di superare decisioni prese in passato: “È il momento di un indice europeo che sia più veritiero”, ha sottolineato Cingolani. Anche perché, guardando per esempio all’indice di riferimento italiano, il PSV, in pratica la Borsa di scambio in cui s’incontrano domanda e offerta del nostro Paese, “il prezzo è più basso”.
Non a caso è proprio a quell’indice che l’Arera ha deciso di legare a partire da novembre il prossimo aggiornamento delle tariffe del metano. Nel secondo giorno di assenza di forniture da parte di Gazprom all’Italia lungo il gasdotto Tag, causate da un problema apparentemente tecnico legato ai rapporti tra il gruppo russo e il gestore del dispacciamento austriaco, il Ministro ha rassicurato sulle disponibilità: “Bisogna distinguere i timori economici-inflattivi dai timori sulle quantità. In Italia in questo momento stiamo esportando”, ha garantito Cingolani numeri alla mano, “Oggi ci sono oltre 40 milioni di metri cubi di gas per gli stoccaggi e tra i 18 e i 20 milioni esportati”. Il Governo sta dunque andando avanti con un impegno assoluto, ma informando e avvisando “chi viene dopo” e quindi Giorgi Meloni.
Per la Meloni e il suo futuro Governo la priorità è il dossier energia
Giorgia Meloni continua a lavorare alla costruzione del Governo che verrà e punta a chiudere entro il 20 ottobre. Tra 18 giorni si riunirà il Consiglio europeo e, una volta ricevuto l’incarico dal Quirinale e se avrà la squadra pronta, la presidente di Fratelli d’Italia potrebbe forse giurare in tempo utile per portare il dossier energia personalmente a Bruxelles, partecipando al vertice da premier accanto agli altri leader internazionali. È quella l’emergenza più sentita e che la preoccupa maggiormente; in questo quadro, proseguono i contatti con Mario Draghi, un filo diretto che consente a Palazzo Chigi di tenere informato il prossimo capo del Governo su tutti i dossier aperti. E allo stesso tempo un’opportunità, per la Meloni, per valutare insieme all’esecutivo uscente tutte le strade possibili in vista del quarto probabile decreto Aiuti che, pensato per sostenere famiglie e imprese contro la stangata d’autunno tra boom bollette e inflazione, sarà esclusiva del successore di Draghi, ma è tutto da costruire, a cominciare dalle coperture da trovare. Tra le ipotesi circolate ci sarebbe l’aumento della base Isee per i bonus o le aliquote del credito d’imposta, che però assottiglierebbero non poco il tesoretto di 10 miliardi a disposizione per i nuovi sostegni.
Il lavorio costante si sposa con la cautela e la sobrietà mostrata dalla leader di destra dopo il trionfo elettorale. Il presidente del Consiglio uscente si starebbe limitando a impostare le linee guida della situazione e prima di lasciare il Palazzo non è escluso che possa tornare in Parlamento e presentare la relazione sul Piano nazionale, in sostanza, la fotografia dello stato dell’arte dell’Italia, anche per sancire il passaggio di consegne sul lavoro fatto, in assoluta trasparenza. Il governo Draghi starebbe, quindi, definendo tutti i dossier ancora aperti e quelli in chiusura, così da garantire una transizione ordinata e lineare a chi verrà dopo.
Per reperire altri fondi, oltre al tesoretto, si ipotizza un nuovo scostamento di bilancio, una possibilità che potrebbe mandare in fibrillazione i mercati, aspetto considerato delicato da tutti gli interlocutori, alla luce anche della recessione in atto in Germania (che ha già messo sul piatto 200 miliardi), nel Regno unito e della recessione tecnica degli Stati Uniti. Di conseguenza in questo difficilissimo quadro internazionale un extra deficit italiano potrebbe rappresentare più una complicazione che un aiuto. Sta di fatto che qualsiasi decisione potrà essere presa solo ed esclusivamente dall’esecutivo entrante, a prescindere da qualsiasi suggestione o considerazione di opportunità politica.
Sul fronte del prossimo Governo, nei giorni scorsi Meloni ha raccolto i desiderata di Lega e Forza Italia ma non ha sciolto il rebus sui ministeri chiave: Economia, Esteri e Interno. In ballo ci sarebbero i sì attesi da esperti non legati ai partiti come Fabio Panetta, ora nel comitato esecutivo della Bce e che la Meloni vorrebbe alla guida del Tesoro. Un nodo delicato anche perché, a prescindere dalle volontà dei singoli, il passaggio di Panetta al Governo lascerebbe scoperta la strategica casella europea che poi andrebbe sostituita con un nome dello stesso livello, una scelta, quella del ministro dell’Economia, che insieme a un eventuale prefetto al Viminale (in alternativa a Matteo Salvini), mette in allerta FI. Non a caso Antonio Tajani avverte: “Può accadere che ci siano personaggi con un’esperienza tale da essere nel Governo, pur non essendo parlamentari, ma siano dei casi, non la regola”.
Bossi agita la Lega: via libera alle correnti
L’annuncio di Umberto Bossi di puntare alla costituzione dei Comitati del nord per rilanciare il tema dell’autonomia agita la Lega. L’autonomia sarà realizzata in questa legislatura e la Lega sarà “protagonista di questa pacifica rivoluzione”, è la reazione, con l’auspicio, dietro le righe, che il ministero delle Riforme e degli Affari regionali venga assegnato proprio ad un esponente del Carroccio. Solo che in ballo per quel dicastero c’è anche Fratelli d’Italia, che punta al presidenzialismo. Per il momento l’exit strategy sembra quella di dare il via libera alla formazione delle correnti nel partito; Bossi per ora ha fatto capire di aver pensato a questa iniziativa all’interno della Lega ma il timore tra i big del Carroccio è che il Senatur possa essere manovrato e strumentalizzato e che la mossa sia solo la prima pietra di una spaccatura per ritornare alla Lega delle origini.
Il via libera alle correnti sarebbe comunque una grande novità per la Lega, anche se la stragrande maggioranza dei gruppi parlamentari, come si è notato nell’assemblea convocata la settimana scorsa a Roma, risponde a Matteo Salvini. Ma l’ok al correntismo permetterebbe di dare rappresentanza alla minoranza, di aprire una discussione su come rilanciare il partito per frenare il malessere che sta aumentando nei territori, a partire dalla Lombardia e dal Veneto. Proprio in Lombardia si gioca la partita più delicata per la Lega: Attilio Fontana ha preso tempo riguardo alle deleghe del vicepresidente e assessore al Welfare della Regione; il candidato per le elezioni dell’anno prossimo resta il governatore ma c’è chi non esclude che alla fine si possa virare su Giancarlo Giorgetti qualora Letizia Moratti restasse in campo. I fari comunque adesso sono puntati sulla formazione del nuovo Governo e sulla prossima agenda del dopo-Draghi.
Domani ci sarà un Consiglio federale proprio “per scegliere i nomi più adatti” e la spinta è quella di aprire al nuovo corso, a chi è stato al fianco di Salvini alle Politiche, dando un segnale di discontinuità con il passato e con l’esecutivo di Mario Draghi. La Lega punta su Interni, Agricoltura, Riforme e Affari regionali e Infrastrutture: secondo i leghisti, infatti, la casella del Viminale sarebbe ancora aperta. In ballo c’è il ruolo di Matteo Salvini nel Governo, con un confronto interno al centrodestra che è destinato ad accentuarsi nei prossimi giorni. Si attendono le mosse di Giorgia Meloni, ma la consapevolezza è che non si possano certo fare le barricate, anche per dare un segnale agli elettori e a chi è sempre più colpito dalla crisi economica.
Calenda e Renzi pensano già alle regionali. Entrambi non chiudono al Pd
Il terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi tira le somme delle elezioni nazionali ma nel medio termine mette le basi anche per le prossime sfide elettorali nelle regioni. “Mi incontrerò con Renzi e parleremo anche delle regionali definendo una linea per il Lazio e la Lombardia”, ha dichiarato Carlo Calenda; il leader di Azione, interpellato in merito, ha quindi ribadito che con Renzi i progetti del partito vanno avanti e se si parla di compagni di viaggio sottolinea di avere una consapevolezza: “Il sistema elettorale è quello che è, non prevede ballottaggio e ne terremo conto per le eventuali alleanze”. Calenda non chiude quindi al Pd e forse traccia una strada. Per il terzo polo delle certezze ci sono: un risultato ottimale raggiunto alle ultime elezioni nel Centro Nord, con la Lombardia e il Lazio che possono diventare terreno per cementare il risultato.
Poi c’è, appunto, un sistema elettorale che, a differenza delle città, non prevede il ballottaggio e questo porta senz’altro a favorire le alleanze. Nella regione guidata fino ad oggi dal neo eletto alla Camera Nicola Zingaretti sia Azione che Italia Viva fanno parte della maggioranza, con Valentina Grippo e Marietta Tidei; Calenda serra quindi i ranghi almeno sui contenuti e punta a ristabilire le priorità: “Nel dibattito surreale su cosa debba fare la sinistra per rappresentare i più deboli si dimenticano le basi: la ricostruzione del welfare, a partire da istruzione e sanità”.
Pure Matteo Renzi ribadisce quali sono le priorità del nuovo partito, tornando sulle sfide future e su quello che attende il paese guidato dal centrodestra. A Giorgia Meloni “servirà intelligenza, visione e buona politica per convincere i colleghi europei a darci una mano. Noi facciamo il tifo per l’Italia e per l’Europa”. Se tra qualche mese, “una volta affrontate le sfide internazionali che oggi mi tolgono il sonno, vorranno aprire il dialogo sulle riforme, noi ci saremo”. Per l’ex premier alle prossime politiche la sfida sarà a tre, sovranisti di destra, populisti di sinistra e l’area macroniana “liberal democratica”. In ogni caso, come il compagno di partito, Renzi torna sul risultato di Azione-Iv: “In un mese di campagna abbiamo preso l’8%, siamo il partito più votato nelle università e, secondo molti sondaggi, quello più scelto dai giovani, abbiamo eletto più donne degli altri. Da qui alle europee del 2024 possiamo diventare il primo partito”.